L'autrice racconta un viaggio attraverso il tempo e lo spazio per scoprire una nuova modalità di approccio al bambino, dalla vita prenatale all'adolescenza: è la visione di Maria Montessori, che ha dato origine ad un sistema educativo rivoluzionario diffuso in tutto il mondo ma ancora poco noto da noi in Italia. Le sue scuole sono un vero e proprio laboratorio creativo in cui, in un clima di estremo rispetto e di autentica libertà di scelta,le potenzialità del bambino possono svilupparsi e sbocciare in tutta la loro forza e bellezza. Ma quello montessoriano non è solo un metodo educativo, è molto di più: è un modo di guardare il mondo e le creature che lo abitano con gentilezza e amore, nella consapevolezza che siamo tutti parte della stessa grande ragnatela.
Prologo
L’adulto e il bambino,
una relazione tutta da reinventare
“Dite: è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi al loro livello,
abbassasi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi
fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.”
Janusz Korczak
“Si diventa adulti equilibrati solo se si è stati pienamente bambini” Maria Montessori
“L’educazione dei bambini è il problema più importante dell’umanità. …Bisogna ricostruire una nuova educazione che cominci fin dalla nascita. Bisogna ricostruire l’educazione basandola sulle leggi della natura e non sui preconcetti e sui pregiudizi degli uomini” Maria Montessori
Le sere d’estate mi incanto a osservare nel mio giardino la luce del sole che si prepara a tramontare: ha qualcosa di speciale, è come se rendesse tutto più luminoso. Non è la luce forte del mezzogiorno che ferisce gli oc chi, è una luce che sembra tirar fuori l’anima delle cose: il prato sembra più verde, i fiori più vividi nei loro colori, il legno delle sedie più caldo e più intenso. Amo questa luce. È come se desse profondità a ogni creatura. È come se facesse sentire anche me più luminosa dentro. Sia io sia il mio giardino siamo sempre gli stessi, ma questa luce così particolare è come se ci offrisse una diversa percezione di noi: ci fa sentire speciali. Mi chiedo se questo fenomeno non si verifichi anche nelle nostre relazioni e in particolare in quelle fra adulti e bambini.
Con quale luce guardiamo i nostri figli? Con quella al neon dei supermercati, fredda e sempre uguale, o con la calda luce del tramonto che fa emergere la loro bellezza interiore?
Quante volte ci è capitato di sentire per strada, a scuola o in casa, adulti che ammonivano un bambino con questa enigmatica affermazione “Fai il bravo!”? Quante volte questa stessa ammonizione è stata rivolta a noi quando eravamo bambini? Il tempo non sembra essere passato, in questo caso. Le parole sono le stesse, lo stesso il tono con cui vengono pronunciate. Probabilmente l’unica cosa che cambia è la reazione dei bambini che oggi, sempre più, sembrano far finta di niente. Ma che cosa significa “fare il bravo”? Per un bambino non vuole dire nulla. Per un genitore forse significa “Stai fermo, non ti muovere, non toccare, non ti sporcare, non rispondere male, non gridare, non piangere” e soprattutto “non dare fastidio”! Ma che cosa vuole l’adulto dal bambino, ce lo siamo mai chiesti? C’è un grosso fraintendimento, a mio parere, sulle aspettative dei genitori e degli insegnanti nei confronti dei bambini, che comincia fin dalla nascita. Come il neonato modello è quello che dorme tutta la notte (situazione peraltro non fisiologica), che non piange mai, che fa pasti distanziati a ritmo di orologio, in una parola non disturba l’adulto e non interferisce più di tanto nei suoi programmi e nelle sue attività, così il bambino ideale è quello che dice sempre di sì, che fa sempre ciò che gli viene detto, che sta fermo il più possibile, che non sbaglia mai, che non esprime la sua rabbia, il suo dolore, la sua tristezza ma sorride sempre: insomma un bambino congelato, finto, artificiale come un robot. Un bambino privo di desideri e di emozioni. È davvero questo che vogliamo dai nostri figli? Che adulti cresciamo in questo modo? Persone libere e dotate di spirito critico o automi da catena di montaggio?
Come ci ricorda il nativo americano Manitonquat, sono molti i modi in cui noi adulti neghiamo l’espressione dei sentimenti ai più piccoli: “Quando sono tristi, diciamo loro di essere allegri, che tutto va bene. Quando hanno paura, diciamo loro che non c’è nulla di cui avere paura. Agli adulti non piace sentire queste emozioni e così le negano ai propri figli. Non capiscono che l’espressione del sentimento non è il male, bensì la cura del male.”1 Eh sì, è proprio così, giacché le lacrime represse si cristallizzano e diventano dure come pietre, difficili poi da sciogliere o frantumare, mentre le lacrime espresse purificano e portano via i detriti proprio come acqua che scorre. “L’anima non potrà vedere alcun arcobaleno se prima gli occhi non hanno pianto” dicono gli indiani Minquass.
I famigerati “temper tantrum”, quei terribili capricci dei bambini piccoli che li portano a sbattere i piedi o a gettarsi per terra urlando disperati non sono altro che tentativi di buttare fuori la rabbia, di scaricarla proprio come fanno i fulmini con l’elettricità. Attraverso i piedi l’energia in accumulo esce e viene assorbita dalla terra che funge in questo caso da conduttore. La rabbia trattenuta invece si accumula nel corpo e crea tensioni, specialmente a livello di denti e mani ed ecco allora comparire problemi come ascessi e carie dentali o fenomeni come il bruxismo (digrignamento dei denti) o da adulti le artriti alle dita…
Eppure, come scrive Maria Montessori, “Se i bambini si mostrano malcontenti, agitati, si racconta loro che non mancano di nulla, che sono fortunati d’avere un padre e una madre, e si finisce ‘bambini, siate felici; il bambino deve essere sempre lieto’; ed ecco come il bambino viene soddisfatto nei suoi bisogni misteriosi.
L’equivoco sta tutto nel fatto di confondere il bambino reale con il bambino ideale, esistente soltanto nella mente e nella fantasia degli adulti, di associare l’immobilità alla disciplina, le risposte preconfezionate e tutte uguali alla conoscenza, l’educazione all’accondiscendenza e la maschera dell’ipocrisia, del sorriso a denti stretti, alla “buona educazione”… “I capricci e le disobbedienze del bambino – scriveva Maria Montessori – non sono altro che aspetti di un conflitto vitale fra l’impulso creatore e l’amore verso l’adulto, il quale non lo comprende.”3 E cita a questo proposito un bellissimo esempio: il bambino che quando va a letto la sera vuole il genitore di fianco a sé e gli dice: “ Guardami, stammi vicino!”. In genere questa richiesta viene interpretata dall’adulto come un capriccio e – come ci ricorda Maria – la risposta che viene data al bambino è “Non ho tempo, non posso, ho da fare!” oppure – potremmo aggiungere noi – “Sei grande! Non fare il bebè!”. I genitori pensano che non sia giusto accontentare il bambino perché altrimenti finiranno per diventare suoi schiavi e cercano di liberarsi di lui per non rinunciare alle proprie comodità (il che significa magari guardare la televisione). Sentite invece cosa dice Maria Montessori riguardo all’atteggiamento del bambino: “L’adulto passa accanto a questo mistico amore senza riconoscerlo: ma badate, quel piccino che vi ama crescerà e scomparirà. Chi vi amerà come lui? Chi vi chiamerà andando a letto, dicendo affettuosamente ‘Stai qui con me’, anziché dire con indifferenza ‘Buonanotte’? Chi desidererà altrettanto ardentemente starci vicino mentre mangiamo, soltanto per guardarci? Noi ci difendiamo da quell’amore e non ne troveremo mai un altro uguale!”
Lo stesso vale per il bambino che la mattina appena alzato corre a svegliare i genitori, come se volesse – per usare le parole di Maria – chiamare il loro spirito. “Il padre e la madre dormono tutta la vita, tendono ad addormentarsi sopra tutte le cose e hanno bisogno di un nuovo essere che li svegli e li rianimi con l’energia fresca e viva che in essi non esiste già più: un essere che si comporti diversamente da loro e dica loro ogni mattina: ‘Alzatevi per un’altra vita, imparate a vivere meglio’. Sì, vivere meglio: sentire il soffio dell’amore. Parole forti queste, che scuotono e fanno riflettere.
Se il bisogno del bambino di essere considerato e compreso – che è poi l’esigenza primaria di ogni essere umano – non viene soddisfatto, ecco che questi reagisce ribellandosi oppure annullandosi. Nel primo caso l’adulto risponde con la punizione o lasciando correre, soluzioni entrambe scorrette e controproducenti; nel secondo caso, in realtà più grave, in genere si ritiene fortunato ad avere un figlio così buono e ubbidiente e non si accorge nemmeno del dramma sotterraneo che invece questi sta vivendo.
Il bambino è capace di compiere imprese impossibili pur di farsi vedere e considerare dai genitori: rinuncia a parti di sé, ad aspetti della sua individualità pur di piacere e farsi amare dagli adulti che lo circondano. Ma quale sarà poi il prezzo da pagare per tale sforzo? La perdita della sua autenticità, della sua libertà, della sua vera natura.
Oggi, in un’epoca in cui si sbandiera tanta attenzione all’infanzia, i bambini sono in realtà per lo più abbandonati a se stessi, lasciati fin da lattanti per otto ore al giorno (orario di un operaio) nelle istituzioni (nido, scuola ecc.) o affidati al turnover delle baby-sitter e nel migliore dei casi ai nonni quando sono piccoli; poi, quando sono un po’ più grandicelli, verranno lasciati soli in casa davanti agli schermi televisivi. Nello stesso tempo però sono per lo più soffocati di attenzioni e ipercontrollati: stravestiti, rimpinzati di cibo e imbottiti di farmaci.
Ma dare troppo è dannoso come dare troppo poco… specie se ciò che si dà non è quel che viene richiesto o di cui il bambino ha bisogno. In realtà si tratta di una forma mascherata di non-considerazione. Anche il lasciar correre e il non sapere mai dire di no, il non riuscire a mettere confini, è in fondo una forma di abbandono, anche se più subdola e difficile da riconoscere.
Il problema vero è che per educare un bambino occorre prima di tutto educare se stessi… E questa sì è una grande impresa! Molto spesso noi non riusciamo a comportarci nei confronti dei nostri figli nel modo che vorremmo perché ci identifichiamo in loro, rivivendo nel loro dolore e nella loro sofferenza la nostra di quand’eravamo piccini: il loro pianto che non riusciamo a reggere o la loro rabbia che non riusciamo a sopportare è in realtà la nostra… Così reagiamo comportandoci come all’epoca si comportarono i nostri genitori con noi (perché è ciò che abbiamo inconsciamente assorbito e imparato) oppure facendo esattamente l’opposto, a costo di cadere nell’esagerazione contraria. Educare è un’arte che richiede la profonda conoscenza e padronanza di se stessi. “L’adulto non ha compreso il bambino e l’adolescente – scrive la Montessori – e perciò è in una continua lotta con lui: il rimedio non è che l’adulto impari qualcosa intellettualmente o che integri una cultura manchevole. No: è diversa la base da cui bisogna partire. Occorre che l’adulto trovi in sé l’errore ancora ignoto che gli impedisce di vedere il bambino. Se questa preparazione non è stata fatta e se non si sono acquistate le attitudini che stanno in rapporto con tale preparazione, non si può procedere oltre. La verità è che “La preparazione all’educazione è uno studio di se stessi; e la preparazione di un maestro [ma anche di un genitore, aggiungo io] che deve aiutare la vita implica assai più che una semplice preparazione intellettuale; è una preparazione spirituale”.
Il bambino e l’adulto – sostiene Maria – sono due facce della stessa vita e hanno due diverse missioni: l’uno di formare gli esseri, l’altro di guidare gli esseri formati. “Guai se si ritrovano in lotta: è solo dalla loro armonia che può nascere l’essere umano migliore di noi. Ma chi deve fare il primo passo è l’adulto: oltre gli sforzi esterni deve compiere uno sforzo immane su se stesso, per potersi avvicinare al bambino, per comprenderne l’animo: l’altra parte della sua stessa vita.
Diceva una famosa canzone di Giorgio Gaber: “Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi il cuore e la mente, stategli sempre vicini, date fiducia all’amore: il resto è niente”…
Ecco perché questo, che vi accingete a leggere, non è un testo di pedagogia ma un libro che parla di educazione.
Perché i bambini crescono e, dopo l’epoca del maternage, viene l’età in cui sono chiamati a confrontarsi con la realtà esterna, con tutti i problemi che questo comporta. E se è vero che ci preoccupiamo tanto di proteggere i nostri figli dalle malattie o di somministrare loro vitamine per farli crescere più sani e più forti, è altrettanto vero che non sempre pensiamo a offrire loro gli anticorpi necessari ad affrontare le sfide che la vita inevitabilmente presenterà a ognuno di essi. I nomi di queste “immunoglobuline” e “ammine della vita” naturali sono: rispetto, fiducia, libertà e amore. Sentite cosa dice Maria a questo proposito: “Ora i problemi dell’educazione si risolvono con la semplicità, la fiducia e la stima del bambino. Ci sono dei pedagogisti che dicono che bisogna conoscere la pedagogia, ma la cosa fondamentale è invece la fiducia nel bambino, la fede nelle sue forze, il rispetto della sua personalità, il riconoscimento che egli è superiore a ciò che crediamo.”9 La fiducia è essenziale per crescere bene. Come ci ricorda Jeannette Toulemonde, se un bambino non si sente apprezzato, stimato, ascoltato, se viene continuamente criticato e rimproverato (“Combini solo guai”, “Sei un buono a nulla”), può prendere strade diverse: o si scoraggia e interrompe il dialogo (“Tanto nessuno mi crede, nessuno mi capisce”) e si rifugia nell’immaginazione o ancor peggio approda al mondo delle dipendenze (alcol, droga ecc.); oppure si ribella e se ne va di casa o, al contrario, diventa un lavoratore accanito per provare a se stesso e a gli altri che è degno di stima, che ha il diritto di esistere. In ogni caso porterà con sé un bagaglio di cui sarà difficile disfarsi: il dubbio sulle proprie capacità (“Ce la farò da solo?”) che paralizza l’azione, rende problematiche le decisioni, in una parola rovina la vita.
Rispetto, fiducia, libertà e amore: queste sono le fondamenta di una casa sicura, di una dimora confortevole da cui si può partire per avventurarsi nel mondo. È di questo che ha bisogno un bambino e di ciò parleremo nelle prossime pagine. O meglio, è di questo che ci parlerà Maria Montessori, offrendoci un nuovo sguardo sul bambino, “una prospettiva nuova dalla quale guardare la vita”10, una nuova chiave di lettura per reinventare la relazione con i nostri figli, i nostri alunni, i nostri bambini. E per renderla veramente speciale, come dovrebbe e potrebbe essere se fosse semplicemente “secondo natura”…