L’altra faccia del maestro-insegnante.
Il maestro che non si pone l’obiettivo di “in segnare”, cioè di “imprimere i segni” di una presunta sua conoscenza, nell’esistenza del discepolo ma si “limita” a guidarlo “alle soglie della propria mente”. Questa figura è presente in tutte le tradizioni spirituali.
La doppia identità di Gesù: “didaskalos”, che individua il Gesù storico, e “kyrios”, il Gesù risorto. Il carattere magistrale, accanto a quello profetico, nella biografia di Muhammad. Il maestro taoista che “avanza regredendo” e “il maestro per eccellenza”, Confucio, il cui modello mira alla trasmissione della dottrina.
L’intrinseca insufficienza del “sapere su” nella Via del Buddha, e nella genesi di Mosè, “maestro di vita”. Lo zaddik, gli abba del deserto (“il deserto però – come dice Kafka- non è in loro”), i maestri sufi, Bonhoeffer nel carcere di Tegel, gli starcy, amati da Dostoevskij e da Florenskij, i maestri di dharma: figure in cui vive, tra analogie e differenze, quella propensione “estensiva” che nelle “Osservazioni preliminari” (Vorbemerkung) Max Weber assegna allo “stile”.
A questa opera, animata da una ispirazione interdisciplinare e comparatistica, che guarda all’esperienza religiosa nel suo farsi e divenire, e apprezza la filologia e l’esegesi nella ricerca sociologica, contribuiscono noti studiosi.