Stanco di tutto e di tutti, Theodore Street esce di casa deciso a porre fine alla sua esistenza. Soluzione suicidio. Street ha fallito su tutti i fronti: la sua carriera universitaria si è inceppata, il suo matrimonio a rotoli. Nemmeno l’amore per i figli e le scappatelle con le studentesse gli bastano più. E mentre a bordo della sua Lancia si sta recando al luogo prescelto per togliersi la vita, viene centrato da un camion. Risultato: un corpo senza testa e una testa. Decapitato.
Nel bel mezzo del suo funerale, Street, a cui la testa è stata malamente riattaccata, si risveglia; come se niente fosse esce dalla bara e, tra lo sgomento dei presenti – lì, cerimoniosi a porgere quello che pensavano fosse l’ultimo saluto –, li squadra “ad uno ad uno ricordandone la voce e ciò che di buono o di cattivo avevano detto o fatto nei suoi confronti”, liberandosi così del male che aveva dentro.
E dev’essere stata una purificazione singolare perché da quel momento, da morto, Theodore Street è un altro uomo. È, però, l’inizio dell’inferno. I media strepitano, si accampano di fronte a casa sua, si contendono l’intervista esclusiva con il morto, anche perché un uomo così – cioè un morto redivivo – fa gola a molti: ai fondamentalisti e ai fanatici religiosi che lo credono rispettivamente un demonio incarnato e il messia; all’esercito, smanioso di poter creare (e clonare) un plotone di soldati invincibili.
Sì, perché Ted Street, apparentemente, non può più morire, è invulnerabile, non ha alcuna funzione vitale, eppure è lì, più uomo di prima, vivo nella sua vita a spiegare perché non è morto, a fare i conti con la crisi del suo matrimonio, col terrore che i figli provano nei suoi confronti e con l’inaspettata capacità di entrare nella mente e nel passato delle persone.