In Canada c’è una statua di bronzo. La statua di Joseph Brant, grande capo indiano. Il bronzo viene dai cannoni che a Waterloo sconfissero l’Armée di Napoleone, grande capo francese. In Italia c’è un collettivo di cinque scrittori con un nome cinese che ha scritto un romanzo sulla Rivoluzione americana. Nel romanzo c’è anche il capo indiano. Quello della statua. “Gone west”, in slang britannico, significa “morto”. Eppure eccomi qui.
Estate rancida, nel mezzo di un paese guasto. Viaggiare è il miglior cardiotonico. Viaggiare allontana la tristezza. Viaggiare evita il peggio per il rotto della cuffia. Ogni volta che lo afferra la voglia di sparare ai passanti dal balcone, Wu Ming decide: tempo di partire. Lo scrittore coglie al balzo una palla da lacrosse e si proietta in Canada. Québec, Ontario, British Columbia. L’America francese, anglosassone, indiana, l’America che non è Stati Uniti, patria di un multiculturalismo che brilla e scintilla ma mostra la corda. Un mese di visioni e pellegrinaggi, tra passato e futuro, vestiti pesanti di pioggia, piedi che affondano nella melma della Storia o battono le terre dure delle riserve, sulle tracce di Joseph Brant e sua sorella Molly.
Una storia di tanti anni fa: Joseph e Molly, guide della nazione Mohawk, nemici della Rivoluzione americana, ancora odiati nel paese delle stelle-e-strisce, omaggiati ma avvolti di oblio nel paese della foglia d’acero. Da Montreal alla sonnacchiosa Québec, dall’arcipelago delle Mille Isole alla riserva delle Sei nazioni, da Brantford a Vancouver (dove tutto è di più) si allunga la «via francigena» di Wu Ming, tra inukshuk e chitarre elettriche, caffè lunghi e fucili ad avancarica, lacrime e risate, totem e tabù. Un libro per chi ha amato Manituana, e per chi non ne ha mai sentito parlare.