Lo Yogavasistha, del quale l’autore e l’esatta epoca di composizione ci rimangono ignoti, si presenta come la controparte filosofica della grande epopea indù del Ramayana: se quest’ultimo narra le gesta terrene dell’eroe divinizzato Rama, lo Yogavasistha ne narra in forma dialogica l’addestramento filosofico e spirituale per opera del precettore Vasistha, uno dei grandi veggenti della mitologia vedica. L’insegnamento di quest’ultimo è caratterizzato dall’alternarsi dell’esposizione dottrinale a racconti che la esemplifichino. Una scelta di racconti, efficace ma per forza di cose limitata - lo Yogavasistha è opera di sconcertante vastità, - è qui presentata dall’insigne indologo e sanscritista Michel Hulin.
Tali racconti sono atti a suscitare nel lettore occidentale il più vivo interesse per almeno due ragioni: in primo luogo quali esempi eccellenti della grande letteratura d’arte indiana (kavya) e in secondo luogo per la loro inquietante intensità metaforica, che va ben oltre il mero senso simbolico. Le sezioni narrative dello Yogavasistha sono innanzitutto illustrazioni del discorso filosofico attribuito a Vasisitha, che è quello della corrente idealistica più radicale della storia del pensiero indù. La morale delle storie narrate da Vasistha è che l’essenza del mondo è puramente fittizia: l’intero mondo (sarga) è solo un quadro dipinto, e su nessuna tela, oltretutto (un film proiettato su nessuno schermo, diremmo noi oggi), perché nulla esiste - se non forse la pura immota trasparente coscienza (cit), - e tantomeno qualcosa che possa fare da sostrato alla rappresentazione di un mondo di cose.
Tutto ciò che ci si manifesta è dunque frutto d’immaginazione. In secondo luogo, tuttavia, ciascuno di questi racconti descrive, o piuttosto forgia, proprio quell’universo del quale si predica incessantemente l’inesistenza. (Bruno Lo Turco)