“Sì, la gente ne parla”, aveva risposto il sultano, “ho sentito dire che sono state trovate cisterne in mare, e che da qualche parte, durante la costruzione della strada, era stato insabbiato del materiale tossico”. Poi era stato lui a guardarla dritto negli occhi. E alterando il tono aveva scandito le ultime parole dell’intervista. “Stia attenta, signorina. Da noi chi ha parlato del trasporto di armi, chi ha detto di aver visto qualcosa, poi è scomparso. In un modo o nell’altro è morto.
Somalia, 20 marzo 1994: Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 Rai, e il suo operatore Miran Hrovatin vengono uccisi da un commando in una via di Mogadiscio. Nei giorni precedenti hanno lavorato in uno scenario intricato e pericoloso, in cui agiscono politici somali e italiani, militari e funzionari dell’Onu, servizi segreti e imprese che costruiscono strade, contrabbandieri d’armi e trafficanti di rifiuti tossici.
I documenti e i filmati realizzati da Ilaria e Miran arrivano in Italia solo in parte. Per fare luce sulle cause e sui modi della loro morte non sono bastati quindici anni. Che cosa avevano scoperto i due giornalisti? Le parole dei testimoni, gli atti di magistratura e parlamento, le ammissioni e le omissioni, le mezze verità e le bugie palesi: un’inchiesta più voci che è il testardo tentativo di continuare a cercare la verità dei fatti, per ricordare Ilaria Alpi applicando al lavoro del giornalista l’etica che la distingueva.