Il cibo è datore di vita ed è inteso come alimento materiale e spirituale. Nella suo significato più alto, la fame di cibo, nella forma sia fisica, sia spirituale, non è "fame" di questo o di quello, ma fame di armonia, cioè di Unità. Quando l'armonia è raggiunta, la "fame" apparentemente cessa, con la realizzazione dell'Unità energetica. Al di là delle forme e degli apparenti cibi, non vi è che la dualità erronea o l'Unità interiore raggiunta, cioè l'armonia in sé, di cui tutte le apparenti forme non sono che simboli.
Il bisogno di amare è anch'esso fame di Unità, sia che tu venga a me (mio cibo) sia che io mi dissolva in te (tuo cibo): nell'Unità raggiunta non c'è che l'Uno. In realtà, noi non siamo che immagini: ciò che realmente "è" è l'Essere. Di qui il significato supremo della frase di Cristo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue sta in me e io in lui". Nello stesso senso l'Autore interpreta il canto della Tattirya Upanishad: "Io sono il cibo... e colui che mangia il cibo... nel cuore dell'immortalità". La gioia dell'amore è nel donarsi alla "fame" dell'altro, e assumere il dono dell'altro, annullando l'io e l'altro nell'Uno.