Un libro di denuncia e insieme un atto d’amore verso una scuola di nobile tradizione. Il manager strapagato che incita a vincere come fece Napoleone a Waterloo, l’avvocato che scrive “l’addove”, il politico secondo cui Darfùr è il dialetto per dire “sbrigati”. La nostra classe dirigente è composta da mostri? Non proprio. La dura realtà è che non sono più ignoranti della media, cioè di noi.
Questo fallimento culturale ha un colpevole principale: la scuola. Per ogni persona che non capisce o non si fa capire c’è infatti un professore senza prospettive, un laboratorio senza apparecchiature, un preside senza portafoglio e una sfilza di ministri che hanno accumulato una sull’altra riforme sempre più inutili.
Non può pretendere di avere un futuro un Paese in cui non si rispetta l’istituzione che forma i cittadini, in cui i bravi docenti vengono ricompensati con carriere immobili e il patto di rispetto tra scuola e famiglia si è dissolto. Di fronte al declino della convivenza civile, della vita politica, dell’innovazione culturale, è ora che torniamo tutti sui banchi. Per rimetterli un po’ a posto.