Le sue avventure, anche le più sconcertanti, e improbabili, non sono mai cercate, ma precipitano su di lui come eventi della natura. «L’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori. E fra quelli che hanno messo per iscritto le loro storie, i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi» scrisse Walter Benjamin nel suo saggio su Leskov. Ed è la voce che torniamo a sentire – una «gradevole e manierata voce di basso» – appena il «viaggiatore incantato» comincia a raccontare le peripezie della sua esistenza. Siamo su un battello che naviga sul lago Ladoga e il narratore ci appare come «un uomo di enorme statura, con un viso abbronzato ed aperto e folti capelli ondulati d’un color di piombo». La morte lo sfiora più volte, ma sempre per rifiutarlo.
La vita lo usa per un suo disegno, oscuro a tutti salvo alla madre morta, che aveva promesso il figlio a Dio. Presto ci accorgiamo che potremmo ascoltare senza fine le storie di quest’uomo «che aveva molto veduto» e non pretendeva di sapere. Le sue parole spiccano sul fondo dorato della vecchia Rus’ di Kiev, immoto e solenne, ma le storie stesse sono un pulviscolo vorticoso. Entrano ed escono di scena vagabondi e prostitute, padroni e mercanti, principi e cavalieri nomadi – e infine, incidendosi nella memoria, la zingara Gruša, simile a «una serpe lucente». Leskov non era uomo che amasse le teorie.
Ma dietro questa inarrestabile dispersione e frantumazione di casi si avverte un azzardo teologico che risale a Origene e alle prime dottrine della Chiesa ortodossa: l’esigenza che tutto sia salvato, anche i suicidi senza confessione. E con la storia di un seminarista suicida si era avviato questo folto corteo. Landolfi tradusse Il viaggiatore incantato, quasi controvoglia, a cavallo fra il 1962 e il 1963, ma – come talvolta accade – raggiungendo un risultato magistrale: il tono dell’oralità è qui presente dalla prima all’ultima frase, come se tutto il libro fosse un unico respiro.
Il viaggiatore incantato è del 1873, mentre la traduzione di Landolfi apparve per la prima volta nel 1967.