Nata come tecnica utilissima agli oratori per esercitare la memoria, la mnemotecnica è diventata nel corso dei secoli, e in particolare nel periodo fra Raimondo Lullo e Bruno che ne segna il culmine, un nuovo regime delle immagini – intese come fantasmi mentali – e perciò anche una sorta di pratica teurgica, collegata a quella primordiale sapienza egizia che fu lo stendardo dell’ermetismo rinascimentale. A lungo considerate dagli studiosi un oggetto misterioso che non si sapeva in quale modo trattare, le opere mnemotecniche di Bruno si sono rivelate – specialmente dopo il capitale libro di Frances Yates, L’arte della memoria – il centro e il motore occulto di tutta la sua opera. Ma il loro carattere cifrato non cessa di stupire. Gli equivoci insorgono subito, già dalla definizione della disciplina.
Già nel De umbris idearum e nel Cantus Circaeus, che compongono questo primo volume e saranno seguiti dal Sigillus sigillorum e dal De compositione imaginum, Bruno mostra una prodigiosa inventiva nell’escogitare tecniche appropriate alla sua teoria. La presente edizione è la prima in Italia, dopo quella avviata negli ultimi decenni dell’Ottocento da Fiorentino, a offrire, accanto al testo critico (corredato di apparato filologico, delle fonti e dei loci paralleli), la traduzione e il commento storico-filosofico di questi due scritti dedicati all’ars memoriae, certo fra i meno conosciuti – ma anche fra i più importanti – di un pensatore a lungo equivocato e misconosciuto, che spicca tra le figure essenziali del Rinascimento europeo.