Leggevo il libro di Giacchi ed in me cresceva sempre più una nostalgia nei confronti di un mondo in cui l’aspetto etico del nutrirsi, del cibo, la gioia di sedersi a tavola con gli altri, il gusto di un manicaretto, erano cosa normale. Oggi questo sembra un mondo perso nelle nebbie di un passato chissà quanto lontano… e invece sono passati poco più di 100 anni, un’eternità. Un tempo durante il quale abbiamo progressivamente scelto la religione del "fa presto "; celebriamo quotidianamente riti frettolosi e solitari davanti al televisore o al computer; il cibo è solo qualcosa di necessario per riempire il senso di vuoto che, sottilmente, avvertiamo. E così non importa che sia monotono o insapore, basta che riempia il nostro vuoto. Quanti ingredienti abbiamo smesso di usare! Non conosciamo più le qualità nutrizionali e il pregio di tanti cibi; abbiamo perso un patrimonio non solo culturale ma anche etico.
Complice l’industria alimentare che spinge all’utilizzo solo di alcune varietà, migliaia di vecchie piante, non più coltivate, rischiano di estinguersi rapidamente e con loro il loro gusto e le tradizioni a queste legate. A breve si presenterà il problema dell’insostenibilità ecologica del modello: forte vulnerabilità agli stress climatici e ambientali, forte impatto sociale sulle economie locali.
Invece Giacchi ci parla, con una correttezza scientifico-nutrizionale sorprendente per l’epoca, del cibo della festa, del riutilizzo degli avanzi, del "rispetto per il cibo" e per la sua importante funzione di nutrimento del corpo e dello spirito. Le ricette del libro sono incredibili, variegate e… appetitose, ho provato a rifarne alcune e ho ritrovato, con gioia, sapori della mia infanzia!