Negli ultimi vent'anni, le politiche neoliberiste hanno posto le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale, esaltando la libertà dell'individuo a scapito della dimensione collettiva. Ma una tale libertà, fondata sull'assenza di limiti, sul disinteresse al bene comune e sul conformismo, è in realtà illusoria per la sua sudditanza ai modelli e ai consumi imposti dal mercato, e ha come conseguenza l'aumento dell'impotenza collettiva e la paralisi della politica, diventata sempre più locale e insignificante.
Da qui, afferma Bauman, deriva la tormentosa sfiducia esistenziale che caratterizza l'uomo dell'Occidente, il suo senso di solitudine e di precarietà: come i passeggeri di un aereo che si accorgono che la cabina di pilotaggio vuota, e che la voce rassicurante del capitano era soltanto la ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima. E non servono a molto i tentativi dei governi di concentrare questa inquietudine sul solo tema della sicurezza personale. Si fa sempre più urgente, invece, la necessità di ridare il giusto spazio alla collettività e ridefinire la libertà individuale partendo dall'impegno collettivo. La politica deve ritrovare il suo spazio. Bauman lo individua nell'antica agorà, luogo privato e pubblico al tempo stesso.
Qui l'uomo occidentale potrà tornare a interrogarsi, e le sofferenze private potranno essere finalmente pensate e vissute come problemi condivisi, comuni e politici.