Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1576 al 1611, è molto amato dalla letteratura, ma poco dalla storia. La sua vita e il suo regno non furono segnati da eventi particolari: accadde tutto prima di lui – il nonno Carlo V diede vita all’impero più vasto mai conosciuto, sul quale «non tramontava mai il sole» – o dopo di lui – la Guerra dei Trent’Anni scoppiò nel 1618, poco dopo la sua morte. Appena incoronato re di Boemia, Arcimboldo lo ritrasse in uno schizzo ironico, in cui lo vediamo sormontato dalla corona di san Venceslao, troppo grande per la sua testa. Eppure senza Rodolfo, Praga non sarebbe la città che oggi conosciamo e di cui subiamo il fascino ammaliatore.
Ispirato cultore del bello e dell’arcano, Rodolfo II popolò la sua corte stravagante di artisti, scienziati, esoteristi e stregoni in un clima di tolleranza, particolarmente favorevole al progresso della scienza e alla circolazione delle idee, di cui si avvalse anche Giordano Bruno. La sua passione per l’occulto – nel Castello aveva fatto allestire laboratori dotati di enormi fornaci e crogioli per ottenere la Grande Opera – attirò alchimisti come Oswald Croll e maghi come John Dee ed Edward Kelley, che guardavano in sfere di cristallo e traevano auspici parlando con gli angeli; intanto gli astronomi dovevano conquistare la sua volubile generosità elaborando oroscopi e interpretando l’apparizione di nuove stelle e il passaggio delle comete (come quella di Halley del 1607).
L’oroscopo più funesto, però, era scritto dentro di lui. L’ombra della depressione e la tendenza all’isolamento, che lo avevano condizionato fin dalla giovinezza, lo spinsero a ignorare i nemici consacrando la propria vita alla ricerca della Pietra Filosofale e alla contemplazione delle opere d’arte e degli oggetti rari della sua Kunstkammer. Ma l’ambizione imperiale del fratello Mattia, le pressioni del Vaticano e le crescenti pretese della nobiltà protestante finirono per schiacciarlo. Esautorato dai suoi nobili, lasciò la corona scagliando una maledizione su Praga e sulla nazione ceca, che in qualche modo si avverò. Durante la Guerra dei Trent’Anni ogni esercito di passaggio saccheggiò il Castello e le sue inestimabili collezioni e la Boemia perse la propria indipendenza per trecento anni.
Peter Marshall ha scritto questo libro per amore di Praga, della sua storia scintillante e tragica, e di un uomo che ha saputo incarnare lo spirito di un’epoca, dando vita ai suoi demoni e alle sue speranze.