«Io sono ... Che ne è di quella sensazione globale di me stesso che provavo in passato quando pronunciavo queste parole in stato di ricordo di me?»
Così comincia questo libro: con una frase che colpisce dritto al cuore, e con la quale sembra quasi che Gurdjieff voglia svelarsi nella sua umanità rivelandoci qualcosa di sé e del suo cammino sulla via della conoscenza. Il libro fa parte della Terza serie, rimasta incompiuta, dell'opera che ha come titolo Di tutto e del tutto.
È composto da un prologo e da un'introduzione seguiti da cinque conferenze tenute a New York nel 1930. L'ultimo capitolo, intitolato Il mondo esteriore ed il mondo interiore dell'uomo, si interrompe a metà di una frase ed è, secondo John G. Bennet, l'ultima cosa scritta da Gurdjieff.
Dopo il grande affresco dei Racconti di Belzebù a suo nipote e la meraviglia di Incontri con uomini straordinari, Gurdjieff si rivela, in queste pagine, diretto ed essenziale al massimo grado. Il carattere organico delle prime due opere viene sovvertito a favore di una scrittura che ha il sapore di quelle note prese nell'urgenza di lanciare un ultimo appello a chi non si accontenta di risposte frettolose, ma desidera compiere il faticoso cammino della ricerca.
Posto in bilico fra il mondo esteriore delle sue acquisizioni e il mondo interiore dei suoi stati d'animo, l'uomo, secondo Gurdjieff, è chiamato a realizzare in sé un nuovo mondo, il «mondo dell'uomo» in cui «Io sono» diventa altro da una vuota affermazione di identità personale, il solo mondo che può, a ragione, chiamarsi «il mondo dell'anima».
L'uomo è un essere incompiuto che, per sua stessa natura, è chiamato a un lavoro per l'essere: è il lavoro dell'uomo, l'unico lavoro che apre e svela il senso della nostra umanità.
L' «Io sono» non sarà più qualcosa da affermare ma si trasformerà in una domanda che, nell'atto stesso di chiedere, chiama tutto ciò che ci costituisce a una rinnovata unità, a un ritrovato senso del proprio «Me». Solo allora la «realtà» della nostra vita potrà essere pesata alla luce di un gusto dell'essere che indica il lungo cammino dell'uomo verso la coscienza.