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Al termine della prima guerra mondiale l’epidemia di spagnola si abbatté sul continente europeo, già fiaccato dal massacro nelle trincee. Ma c’era anche un’altra epidemia che stava mietendo migliaia di vittime: l’encefalite letargica, malattia ignota e misteriosa, dai postumi devastanti. «Era come se il corpo si trasformasse in una prigione, irrigidito su se stesso. Il volto inespressivo, lento, senza mimica. La pelle lucida, cerea, lo sguardo assente, perso lontano verso spazi indefiniti. Come se il paziente stesse scivolando in un mondo a gravità maggiore che rendeva più ardui gli spostamenti. Il malato camminava a piccoli passi ravvicinati, simile a un automa. Talvolta restava immobile, bloccato in un equilibrio precario: il cucchiaio si arrestava fra il piatto e la bocca, per un tempo esasperante, in una situazione congelata».
È la malattia narrata da Oliver Sacks in Risvegli, ma ambientata qui al suo esordio, nel momento in cui si manifestò per la prima volta. La medicina dell’epoca sembrava del tutto impotente di fronte a questo nuovo male, fino a quando nella vicenda si inserì un oscuro guaritore bulgaro, che grazie all’appoggio insperato della regina Elena di Savoia riuscì a imporre la sua cura, basata su una pianta dai poteri pericolosi, l’Atropa belladonna, infida, letale, talvolta salvifica. Il dipanarsi di questa storia coinvolge il lettore e lo immerge in un mondo tra il magico e lo scientifico, tra l’Oriente bulgaro e l’Occidente moderno, che alla fine, grazie all’intercessione della regina d’Italia, dovette arrendersi al fatto che il decotto di belladonna funzionava davvero.
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