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L'aut-aut tra avere ed essere non è un'alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l'avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l'avere, e anzi l'avere sempre più, e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che «vale un milione di dollari», come può esserci un'alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l'essenza vera dell'essere sia l'avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla.
Per molti anni sono andato alla ricerca dei suoi fondamenti empirici attraverso lo studio concreto di individui e gruppi con il metodo psicoanalitico; i dati antropologici e psicoanalitici sembrano dimostrare che "avere ed essere sono due modalità fondamentali dell'esperienza, il rispettivo vigore delle quali determina le differenze tra i caratteri degli individui e i vari tipi di carattere sociale".
Per introdurre il lettore alla comprensione della differenza tra le modalità esistenziali dell'avere e dell'essere, mi sia lecito servirmi di due composizioni poetiche di contenuto affine. Una è un "haiku" di un poeta giapponese, Bash, vissuto tra il 1644 e il 1694; l'altra composizione è di un poeta inglese del diciannovesimo secolo, Tennyson. Ognuno dei due autori descrive un'esperienza affine: la sua reazione alla vista di un fiore in cui si imbatte durante una passeggiata.
Tennyson: «Fiore in un muro screpolato, / ti strappo dalle fessure, / ti tengo qui, radici e tutto, nella mano, / piccolo fiore ma se potessi capire / che cosa sei, radici e tutto, e tutto in tutto, / saprei che cosa è Dio e cosa è l'uomo».
Bash: «Se guardo attentamente / vedo il nazuna che fiorisce / accanto alla siepe!»
La differenza è enorme. La reazione di Tennyson alla vista del fiore consiste nel desiderio di "averlo", e infatti lo «strappa» e lo tiene in mano «radici e tutto». E, se è vero che Tennyson conclude i suoi versi con la riflessione intellettualistica sulla possibile funzione del fiore al servizio della sua comprensione della natura di Dio e dell'uomo, per quanto riguarda il fiore questo resta ucciso in conseguenza dell'interesse che per esso nutre il poeta. Come risulta dalla sua composizione, Tennyson può venire paragonato allo scienziato occidentale che cerca la verità col metodo consistente nel disgregare la vita.
Di tutt'altro genere è la reazione di Bash al fiore. Egli non desidera coglierlo, anzi neppure lo tocca. Si limita a a «guardarlo attentamente» per «vederlo». Ciò cui Bash aspira, è "vedere" e non soltanto guardare il fiore: essere tutt'uno con esso, «identificarsi» col fiore e lasciarlo vivere.
La differenza che corre tra Tennyson e Bash trova piena espressione in questa composizione poetica di Goethe: Per conto mio nel bosco / da solo me ne andavo, / e di trovar qualcosa / certo non m'aspettavo. // Ho scorto una corolla: / nell'ombra il fiore stava, / luceva come una stella, / come un occhio attirava. // Per coglierlo son stato, / ma allora mi ha ammonito: / Quando mi avrai strappato / vuoi vedermi avvizzito? // Con tutte lo cavai, / radici e radicina. / Nel giardin lo portai / accanto alla casina. // E poi l'ho trasferito / in una quieta zolla; / ed ora è rifiorito. / foglie nuove rampolla.»
Goethe, passeggiando senza una meta precisa, è attratto dal piccolo fiore splendente. Confessa di aver provato lo stesso impulso di Tennyson, quello di svellerlo. Ma, a differenza del poeta inglese, Goethe si rende conto che ciò significherebbe uccidere il fiore, e ai suoi occhi questo è talmente vivo, che sente il bisogno di rivolgergli la parola e ammonirlo; e risolve il problema in maniera diversa sia da Tennyson che da Bash: coglie il fiore «con tutte le sue radici» e lo trapianta in modo che la vita della pianticella non vada distrutta.
Goethe si colloca, per così dire, a metà strada tra Tennyson e Bash: per lui, quando s'arriva al dunque, la forza della vita è più possente che la forza della semplice curiosità intellettuale. Inutile aggiungere che, in questa splendida composizione poetica, Goethe esprime il nucleo stesso della sua concezione di studio della natura. Il rapporto che Tennyson istituisce con il fiore rientra nella modalità dell'avere ovvero del possesso, sia pure non materiale, trattandosi in questo caso del possesso della conoscenza. Il rapporto con il fiore di Bash e Goethe, è invece tale per cui entrambi lo vedono secondo la modalità dell'essere. Con «essere» intendo quell'atteggiamento esistenziale in cui non si "ha" nulla né si "aspira ad avere" alcunché, ma si è in una condizione di gioia, si usano le proprie facoltà in maniera creativa, si è "tutt'uno" con il mondo. Goethe, il grande innamorato della vita, uno di coloro che con più vigore hanno lottato contro la disgregazione e la meccanizzazione dell'uomo, ha espresso la condizione dell'essere contrapposta a quella dell'avere in molte sue opere.
La differenza tra essere e avere non è essenzialmente quella tra Oriente e Occidente, ma piuttosto tra una società imperniata sulle persone e una società imperniata sulle cose. L'atteggiamento dell'avere è caratteristico della società industriale occidentale, in cui la sete di denaro, fama e potere, è divenuta la tematica dominante della vita.
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