Questo libro fu scritto da Ouspensky nel 1914, durante un periodo di ricerche in India e a Ceylon precedente all'incontro con Gurdijeff. L'opera include due racconti, o «allegorie metafisiche», scritti da Ouspensky per render nota la sua convinzione che l'errore principale dell'uomo consiste nel credere che il mondo materiale sia l'unica realtà.
Le novelle di questo libro esaminano due problemi che Ouspensky reputava fondamentali. Il primo è quello del «male consapevole». L'Autore era profondamente convinto che il male è sonno, meccanicità e assenza di intenzione, cose delle quali siamo indirettamente responsabili, perché è nostro potere non dormire e non essere meccanici. Questo tema è il filo conduttore de «L'inventore», il quale arreca danno proprio quando crede di operare bene.
Il «Diavolo benevolo» protagonista del secondo racconto desidera che il genere umano sia felice e non si proponga di raggiungere un chimerico «altro mondo». Questa allegoria enfatizza la portata della delusione, dell'autoinganno dell'uomo, che rimane attaccato alla Terra perché dorme, perché non conosce la realtà, perché «non desidera» svegliarsi.
In ambedue le storie il diavolo non raggiunge i suoi obiettivi: è indifeso quanto le sue potenziali vittime. Ma ciò indica solo che il mondo è del tutto irrazionale, che non dobbiamo aspettarci né risposte ai nostri interrogativi, né una morale per le nostre storie.
In questa visione pessimista, Ouspensky propone un'unica, disperata speranza: «Noi non possiamo sapere se quest'opera è possibile. Non vi dobbiamo rinunciare, sebbene nulla provi che essa ci affrancherà dalle tenebre. Non esiste nient'altro, e quindi dobbiamo aggrapparci tutti a quest'unico appiglio».