L'IMPERATORE NUDO 2020
di Paolo Cesaretti
C’era una volta un imperatore che incedeva in una pomposa sfilata per le vie della sua città. Egli si pavoneggiava delle sue vesti ma nei fatti era ignudo; due impostori lo avevano convinto di saper tessere per lui “la stoffa più straordinaria che si poteva immaginare”, e “i vestiti che si facevano con quella stoffa” diventavano invisibili agli “uomini che non erano all’altezza della loro carica o erano imperdonabilmente stupidi”. Ma nessuna stoffa speciale era mai stata posta sul telaio, i due avevano solo simulato di abbigliare con fasto l’imperatore, ricevendo però da lui veri denari, in grande quantità, nonché insigni titoli d’onore. In effetti nessuno – imperatore compreso - “voleva mostrare che non vedeva niente”: tale era il timore di apparire stupidi e il sentimento della propria inadeguatezza! Ma un bambino infine esclamò che il sovrano “non aveva niente indosso”. Allora presto “tutta la gente urlò”, ripetendo le sue parole. L’imperatore fu così costretto a una ridicola conclusione della sua sfilata.
Sono passati quasi due secoli dal 1837, quando Hans Christian Andersen pubblicò I vestiti nuovi dell’imperatore, fiaba famosa che ciclicamente si offre alla sfida delle interpretazioni. Ma la coscienza collettiva – nonostante siano ora accessibili canali di conoscenza e di informazione che mai hanno avuto l’eguale – parrebbe avere compiuto passi indietro anziché avanti, perciò la realtà si mostra ben più irreale della fiaba. La folla di allora, al grido del bambino, aveva infatti saputo uscire dal sortilegio e riconoscere l’evidenza; oggi invece gli ambienti di informazione politica e culturale, cui competerebbe almeno informare il pubblico, preferiscono ritorcere e persino distorcere contro il bambino quella stessa evidenza che egli ha saputo dire. Così un enunciato veritiero si trasforma in colpa imperdonabile, e diventa invece socialmente e culturalmente appropriato (con rare eccezioni) etichettare l’evidenza come menzogna o come falso - quasi che sia consapevole, razionale e magari “laico” perdurare nell’inganno, e propagarlo, denigrando chi ha avuto il merito di smascherarlo.
È così successo che una frase di una giovane parlamentare, estrapolata dal contesto dell’intervento da lei pronunciato in Camera dei Deputati il 14 maggio 2020, sia stata commentata con livore corrosivo nelle prime pagine dei maggiori quotidiani. Come spesso accade, l’attacco alle sue parole (ma il suo testo sarà stato ascoltato per intero, o letto nella versione ufficiale stenografata della Camera?) è poi divenuto attacco diretto alla persona, e gli organi di stampa che arrogano a sé il ruolo di custodi della corretta informazione hanno definito la parlamentare una “personificazione farsesca del complottismo”, una “diseguale” (in altre parole: una disabile) della politica, persino un virus da eliminare, deprecando che “contro i no vax non c’è vaccino”.
I paladini del politically correct sono ben lesti a dimenticarsene nei confronti di chi non si omologa a loro, e questo si sapeva. Ma nel caso in questione, ciò che più conta è che fingendo di riportare le affermazioni di Sara Cunial (è di lei che si tratta) le hanno distorte, connotando come “offese”, e specialmente come offese a persone del potere costituito, quelle che sono invece enunciazioni di evidenze e di fatti alla luce del sole.
L’on. Cunial, ora nel Gruppo Misto della Camera, proviene dalle file del Movimento 5 Stelle: diventa pertanto agevole definirla ”simpatico regalo dei pentastellati”, eppure lo stesso ambito politico viene taciuto in riferimento a nient’altri che il premier Conte, nei cui confronti ci si astiene da ogni sarcasmo. Quanto poi a uno dei Signori del Mondo, se non proprio il suo imperatore, ossia Bill Gates, si deprecano le presunte offese e si tacciono i fatti, e cioè che il famoso (o famigerato) Event 201 ricordato dalla Cunial è stato promosso tra gli altri dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates nell’Ottobre 2019, e che si è trattato della simulazione di una imminente pandemia planetaria da coronavirus (www.centerforhealthsecurity.org/event201/); che la medesima Fondazione sia tra i principali finanziatori planetari dell’OMS (www.who.int/tdr/about/funding/funders/en/ nonché https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/oms-coronavirus-bill-gates-cina-stati-uniti-europa-comanda-davvero-covid-pandemia-5g-etiopia/8ca94b96-92dc-11ea-88e1-10b8fb89502c-va.shtml), i cui ondivaghi atteggiamenti rispetto al virus COVID 19 sono di evidenza comune; che ancora la Fondazione GAVI, sostenuta in modo decisivo dai coniugi Gates, sperimenti in zone tra le più povere del pianeta (Bangladesh per es., e questo lo specifichiamo noi), in accordo con i politici locali, piani di conferimento di “identità digitale” attraverso vaccinazioni forzate (https://solve.mit.edu/challenges/tiger-challenge-international/solutions/15408) su cui incombono le più invasive e meno sicure tecnologie 5G.
Tutte queste informazioni sono dichiarate e vantate sui suoi siti anche dallo stesso Gates, ma i nostri media le presentano come farneticazione e complotto “che sfiora la tragedia” da parte della Cunial. La quale ha altresì ricordato alla Camera che il premier Conte, in una telefonata con Gates, avrebbe promesso il sostegno dell’Italia alla Fondazione GAVI, con ben 120 milioni di euro per lo sviluppo di ricerche vaccinali che però sono oggetto di motivate riserve da parte di qualificati ambienti scientifici; nessun comparabile sostegno sembra invece previsto per le poco costose e molto incoraggianti ricerche sieroterapiche dei nostri ospedali sul territorio.
Ci si augura che l’incauta promessa del premier venga approfondita, vagliata e votata nel dibattito di un Parlamento libero e consapevole. O si dà già per scontato che i denari verranno sottratti agli italiani imbavagliati, avviliti, minacciati dallo spettro di una patrimoniale in autunno, per andare a sostenere i progetti del miliardario che si accredita come “filantropo” e che desta scandalo persino nel prudentissimo mondo cattolico? Se si “sfiora la tragedia” è per il sortilegio da cui tutto questo dipende, non per l’intervento di Sara Cunial - purché si abbiano occhi per vedere e parole per dire.
Paolo Cesaretti
Bergamo, 27 Maggio 2020
Paolo Cesaretti
Studioso e saggista, nato a Milano, è professore associato di Civiltà Bizantina all’Università di Bergamo, dove insegna anche Letteratura Greca e Storia Romana. La tradizione classica in età bizantina, il rapporto tra Oriente e Occidente mediterraneo nella Tarda Antichità e nel Medio Evo, la santità a Bisanzio sono tra i filoni di ricerca che predilige. Ha pubblicato, in Italia e all’estero, edizioni critiche e traduzioni commentate di testi bizantini nonché monografie, articoli di ricerca, repertori lessicali. Le sue tre opere di narrative non fiction di soggetto bizantino (Teodora, 2001; L’Impero perduto, 2006; Le quattro mogli dell’imperatore, 2015), tutte edite da Mondadori, sono state tradotte in varie lingue straniere. Partecipa a numerosi comitati editoriali e scientifici, a istituzioni e accademie. Ha collaborato con le pagine culturali di vari quotidiani e ha una significativa esperienza nell’editoria d’arte e illustrata.
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