Immaginate che, in un paese moderatamente civile, esista una categoria di persone il cui hobby sia quello di danneggiare i monumenti.
Pagando una piccola tassa (che viene in piccola parte impiegata per restaurare i danni da loro provocati), il governo locale autorizza questi appassionati a guastare (a volte irrimediabilmente) il patrimonio storico e artistico della nazione.
Una simile situazione farebbe orrore a chiunque avesse una sia pur minima idea di quel che significa la parola “civiltà”. Ebbene, se mettiamo al posto degli oggetti storici e artistici quelli “naturali”, ecco che l’assurda e metaforica situazione che avevamo illustrato in apertura può essere benissimo riferita all’Italia.
La categoria dei cacciatori, infatti, ritiene suo insindacabile diritto danneggiare, distruggere e impossessarsi di una cospicua parte del patrimonio naturale del Paese, quale la sua preziosa fauna. Se la loro attività si esplicasse solo ai danni di specie facilmente riproducibili e la cui consistenza sia nota al fine di consentire un prelievo razionale (come avviene, ad esempio per le foreste soggette ad utilizzo), la cosa sarebbe forse accettabile (a parte il chiedersi se sia etico e morale uccidere per divertimento). Ma non è così.
Oggi in Italia, l’1 per cento della popolazione (a tal percentuale corrispondono i 600.000 cacciatori) è autorizzato a uccidere esemplari, spesso rari e in forte declino, di animali, molti dei quali, vedi gli uccelli migratori, appartenenti ai patrimoni faunistici dei paesi del nord Europa, ove nidificano, e di quelli africani, ove svernano.
Ma c’è di più. La protervia dei cacciatori si spinge fino ad imporre per legge la loro presenza nei terreni privati pur contro il parere dei proprietari (privilegio accordato, in base al Codice Civile, ai soli cacciatori e a nessun’altra categoria, compresi i pescatori). Inoltre, leggi compiacenti e condizionate dalle lobby potentissime e danarose dei fabbricanti di armi e di munizioni vietano a Regioni e Province di chiudere alla caccia più del 30% del loro territorio, lasciando tutto il resto a disposizione dei fucilieri, dediti, per la grandissima maggioranza, alla mattanza di piccoli e piccolissimi uccelli, sia col consenso di leggi da loro imposte, sia in maniera illegale. Infine non si può non ricordare l’opposizione che questa categoria oppone ad ogni proposta di Parco Nazionale.
Basti pensare al Parco Nazionale del Gennargentu, previsto dal Piano di Rinascita della Sardegna e compreso nella Legge Quadro per le aree protette del 1992, che non è ancora stato possibile realizzare per la proterva contestazione dei cacciatori che hanno condizionato i Comuni locali contro questa civile struttura.
Ecco, è contro questi abusi e prepotenze che Carlo Consiglio si batte da decenni, forte della sua conoscenza scientifica e della sua passione civile. Io, che ho avuto il piacere di essere suo allievo all’Università e suo compagno di tante battaglie contro gli eccessi della caccia, non posso che augurare il miglior successo a questo libro scritto insieme a Vincenzino Siani che, con energia e competenza, autorevolezza e ardore affronta tutti i temi legati a questi, ancora insolubili, problemi della nostra società. - Fulco Pratesi
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