di Gloria Germani
Al centro della credenza nella Modernità, c’è di fatto una convinzione di ordine conoscitivo. Essa consiste nella certezza che l’uomo occidentale abbia finalmente scoperto la vera essenza del reale. La vera essenza è nella materia, nell’aspetto esclusivamente materiale dei fenomeni. È così che si ritenne di dare avvio alla modernità. Finalmente si sarebbe usciti dalle tenebre del Medio Evo, dalle nebulose delle concezioni religiose cristiane, dalle contese e dalle battaglie che avevano insanguinato l’Europa. Attraverso i Lumi della Ragione, si sarebbero scacciate le superstizioni ed aperto finalmente la strada al Progresso della civiltà.
Il movimento si diffuse dall’Inghilterra, ai Paesi Bassi, alla Francia. La sua origine filosofica sta senza dubbio nelle opere di Cartesio, il quale intraprese una grandiosa demolizione della tradizione e dell’autorità precedente che risaliva indietro fino almeno ad Aristotele, per raggiungere finalmente certezze salde. Egli infatti reputò necessario dubitare su tutto il sapere e le credenze precedenti. «Noi rifiutiamo ogni conoscenza che sia soltanto probabile, e giudichiamo che si dovrebbero credere solo quelle cose che sono perfettamente note e sulle quali non può sussistere alcun dubbio», sosteneva nel suo Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze del 1637. L’unica cosa che gli sembrò accedere all’evidenza chiara e distinta – inattaccabile ad ogni scetticismo – fu il frutto del suo pensare: «Penso, dunque sono».
Questa affermazione è riportata da tutti i manuali come la pietra miliare del pensiero moderno. Va notato che tanto i buddisti, che gli indù o i taoisti o i gianisti, l’avrebbero considerata completamente erronea. La Bhagavadgita, che è il testo principe del pensiero indù, per l’appunto recita: «Colui che pensa: sono io che agisco, costui ha la mente traviata dal senso dell’Io». L’agglomerato che chiamiamo io o ego (ahamkarain sanscrito) è la radice di ogni illusione, ribadiscono le filosofie Samkhya e Vedanta, mentre proprio la credenza di essere un io, secondo il buddismo, è l’essenza dell’ignoranza – il primo dei tre veleni che avviluppano l’esistenza e la radice ultima di ogni sofferenza. La letteratura, l’arte, perfino la musica buddista, ci ricorda ad ogni istante che siamo solo composti di aggregati e nessuno di essi ha una sostanza, siamo sempre e solo impermalenti: “nonsè”: anatta in pali.
Ciononostante, a metà Seicento, Cartesio dedusse la certezza del mondo esterno, fuori dall’io partendo dall’unica certezza dell’“io pensante” e scriveva:
E notando che questa verità: io penso dunque sono, era così solida e sicura che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano capaci di scuoterla, giudicai di poterla accogliere senza scrupolo come il primo principio della filosofia che cercavo […]. Pervenni in tal modo a conoscere che io ero una sostanza, la cui intera essenza o natura consiste nel pensare, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale. Di guisa che questo io, cioè l’anima, per opera della quale io sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo.
A partire da queste considerazioni – del tutto contestabili – il mondo si divise in due, e il famoso dualismo cartesiano rese possibile ed esplicitò la “Scienza Moderna”. Da una parte ci furono le “cose che pensano” (il soggetto umano, inesteso, senza dimensione spazio temporale) dall’altra, le “cose estese”, la realtà fisica, la materia grezza, inconsapevole, estesa nello spazio e nel tempo, limitata, e dunque misurabile. Tale operazione fece sì che tutta l’attenzione si posò da allora in poi sulla realtà oggettiva materiale esterna. Solo su questa materia esterna si possono compiere osservazioni e misure creando ipotesi esplicative e conducendo esperimenti destinati a verificare le ipotesi iniziali. Le osservazioni e misurazioni si posavano su due coordinate indispensabili: il tempo e lo spazio. La prevedibilità diventò infatti il tratto distintivo del metodo scientifico e il futuro diventò il tempo per eccellenza. Una volta che si conosce la causa, si conosce – e poi si potrà produrre – anche l’effetto, e la nostra esistenza si progettò verso il futuro.
Questo paradigma materialista domina ormai la cultura mondiale. Si crede infatti che la realtà esista indipendentemente dalla mente e dalla coscienza. La consapevolezza, ammesso che sia riconosciuta, è considerata una qualità fugace ed effimera della mente fisica. Tuttavia nessuno ha mai sperimentato o potrebbe sperimentare, la materia in assenza di mente e, come ci sta svelando la fisica quantistica, il presupposto della realtà della sola materia è fondato su una credenza non verificabile. Continua...