L’opera di Unamuno, che presenta tutti i tratti dell’organicità e della sistematicità, non sarebbe comprensibile pienamente se non se ne evidenziassero le basi filosofiche e le preoccupazioni teologiche. È infatti alla luce di una filosofia della religione che le ricerche incentrate sull’unico problema, quello dell’ansia immortale di immortalità dell’uomo concreto, pervengono a una prospettiva coerente e unitaria, anche se ciò non esclude un’evoluzione intellettuale ed esistenziale. Unamuno è un autentico uomo religioso che ha vissuto una struggente quanto tragica ansia di eternità, una sete di Dio, pur non avendo abbracciato totalmente nessun credo religioso positivo, giacché egli ha sempre reagito con veemenza contro ogni tentativo di volerlo incasellare. Unamuno è fautore di una religione poetica, issata sull’esperienza della parola creatrice, mediante la quale non soccombe alla tentazione del nulla.
I nuclei fondamentali della riflessione unamuniana ruotano intorno a due temi, che rappresentano, per così dire, due facce della stessa medaglia: l’ansia per il destino umano e la preoccupazione per la personalità, da non intendersi in senso psicologico, ma etico-esistenziale, come emerge sia nell’opera sul sentimento tragico della vita (1913) sia nei celebri poemi dove ribadisce che “il fine della vita è di farsi un’anima”. Esprimendosi in forma paradossale, ritenuta il linguaggio tipico della passione oltre che affermazione della volontà di creazione disperata, Unamuno assurge a pensatore tragico.