Di ciò di cui non si può parlare si tace. - Ludwig Wittgenstein

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Info
rilegatura: brossura
formato: 15 x 21 cm.
pagine: 288
ISBN: 978-88-6118-001-7
Editore: FioriGialli edizioni
Anno di pubblicazione: settembre 2006
Euro: 16.00
Approfondimenti
Prefazione di Satish Kumar
Indice dell'opera
Dichiarazione di Dipendenza
Capitolo 8: Le 5 pratiche
Comunicato Stampa
Notizie sull'autore
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Resurgence
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Capitolo 8: Le 5 pratiche << torna indietro
Il giorno in cui presi l’abito bianco da monaco gurudev Tulsi mi chiamò, insieme ad alcuni altri novizi, per ricevere l’insegnamento religioso. Egli sedette su un basso sedile di legno e noi prendemmo posto su una soffice coperta sul pavimento.
“Vi insegnerò”, disse, “le pratiche fondamentali del monaco per la liberazione della propria anima. Mahavir seguì queste stesse pratiche eroiche, noi dovremmo fare altrettanto, se vogliamo liberarci dalla schiavitù e dall’angoscia causate dai nostri desideri meschini.
“I princìpi da ricordare sono cinque. Il primo è la nonviolenza (ahimsa), che significa non fare del male a se stessi o agli altri. Significa evitare i pensieri dannosi, le parole dannose e le azioni dannose. Implica il fatto di liberarsi da ogni traccia di cattiva volontà e di rifiutarsi di intrattenere pensieri negativi. In pratica significa evitare il contatto con scene di crudeltà, discorsi maligni e attività che possono causare dolore. Per praticare la nonviolenza dovreste sviluppare una disciplina che aumenta la buona volontà, il pensiero positivo, il parlare gentile e l’azione amorevole”.
Gurudev fece una pausa, quindi il mio compagno monaco Tara, domandò: “Come possiamo imparare queste qualità?”.
Gurudev rispose: “L’autocontrollo è la chiave, pensa di meno, parla di meno e fa’ di meno. Sii di più, medita di più, pratica il silenzio e servi gli altri”.
Seguì una pausa più lunga. Mi domandavo se gurudev avesse dimenticato che cosa stava per dire e, impaziente, domandai: “Qual è il secondo principio?”.
“Hai fretta? Hai già capito il primo principio? Allora, il secondo principio è la verità (satya), che significa comprendere la vera natura dell’esistenza, inclusa la vera natura di se stessi: accettare la realtà così com’è, essere veritieri, cercare di vedere le cose come sono, senza giudicarle buone o cattive. Significa ‘Non mentire’ nel suo significato più profondo, non avere illusioni riguardo a se stessi: quanto sei importante o quanto poco lo sei, quanto sei buono o quanto sei cattivo. Sospendi ogni giudizio. Affronta la verità senza paura. Le cose sono come sono, non sono né buone né cattive, né deboli né forti. Queste sono tutte interpretazioni”.
Eravamo ancora novizi, eppure gurudev non pensava che fossimo incapaci di comprendere i pensieri più profondi. Egli stava seminando nelle nostre menti i semi che avrebbero fruttificato nella pienezza del tempo. Gurudev proseguì: “Una persona veritiera va oltre la mente e oltre le parole per realizzare l’esistenza così com’è. Vivere nella verità significa evitare di manipolare le circostanze, le persone o la natura per soddisfare i propri desideri. Noi accettiamo che le altre persone abbiano una propria verità perché non esiste una verità unica, una verità che ogni mente può comprendere e che ogni lingua può esprimere. La verità è gemella di ‘non una sola conclusione’ (anekhant). La maggior parte delle religioni evidentemente crede che vi sia un'unica verità e che i saggi la esprimano in modi differenti. La percezione giainista è che la realtà ha molti centri. Ogni essere umano, ogni albero, ogni fiore, è il centro di un universo infinito. Non può esistere un solo centro, tanto meno una sola verità. Nessun monismo”.
“Come posso sapere”, domandò il monaco Tara, “se sono veritiero, dal momento che non esiste una sola verità?”.
Gurudev rispose: “Essere veritiero implica essere umile e aperto a nuove scoperte, pur accettando che non esiste una scoperta finale o suprema. La verità è quello che è. Mentalmente, verbalmente e fisicamente noi accettiamo ciò che è così com’è, ne parliamo così com’è e lo viviamo così com’è. Non abbiamo bisogno di imporre la nostra opinione su ciò che dovrebbe essere. Qualsiasi individuo o gruppo che affermi di conoscere l’intera verità afferma il falso”.
“Ma se diciamo la verità come noi la conosciamo, non è forse possibile ferire gli altri?” domandai. “Qui ci troviamo di fronte a un paradosso. Si deve affermare la verità senza provare timore, ma si deve anche imparare ad affermarla con garbo. Devi essere onesto, aperto e trasparente. Non devi nasconderti dietro delle banalità, né guardare altrove quando ti trovi di fronte a una falsità. Questa è l’abilità essenziale che, come monaco, devi imparare. La tua verità dovrà emergere dal pozzo profondo della tua compassione. Quando dici la verità devi evitare le parole aspre, devi dire la verità e tuttavia essere flessibile. Devi essere pronto ad affrontare la possibilità di esserti sbagliato. Devi essere preparato a cambiare la tua percezione e il tuo punto di vista se scopri di esserti sbagliato. Oltre a questo devi riconoscere che gli altri hanno la propria verità”.
Gurudev aveva l’abitudine di fare delle pause durante gli insegnamenti, lasciandoci spazio e tempo per assorbire il significato delle sue parole. Egli attese finché fu pronto a parlare. Disse: “Il terzo principio è non rubare (asteya). Questo significa astenersi dall’acquisire cose che non sono assolutamente indispensabili. È difficile scoprire quali sono i vostri bisogni essenziali: dovreste quindi valutare ciò che possedete, esaminare e porre in discussione la vostra vita, giorno dopo giorno, per scoprire quali sono le vostre necessità. La distinzione tra necessità e avidità potrebbe non essere evidente, e quindi è indispensabile che la valutazione delle necessità sia compiuta con onestà.
“Il commercio dei beni deve essere fondato sullo scambio onesto, per mezzo del quale il lavoro, il tempo e l’abilità delle due parti in causa devono essere misurati in termini giusti e leali.
“Prendere prima di dare significa rubare: quindi, in quanto monaci, prima di andare a elemosinare il cibo, dovreste offrire insegnamenti, consigli e benedizioni. Voi aiutate chi vive nella confusione, nell’agitazione e nella depressione. Dopo aver aiutato gli altri allora potrete ricevere da loro”. Terminata la breve spiegazione del terzo principio, gurudev parlò del quarto: “Dovreste praticare la castità e l’astinenza (brahmacharya). Brahma significa essere puro e charya significa dimorare; dunque, castità significa dimorare nella purezza. Questo è il principio dell’amore senza lussuria. Per i laici castità significa fedeltà nel matrimonio; per i monaci significa astinenza totale. Qualsiasi pensiero, parola o azione che avvilisca, degradi o offenda il corpo, è contrario al principio della castità (brahmacharya). Il corpo è il tempio della pura esistenza. Non si dovrebbero compiere azioni che lo contaminano.
“La castità amplia la santità del corpo umano fino al corpo della natura. Poiché Brahma, l’essere puro, è il principio essenziale della natura da lui permeata, la natura è il corpo di Brahma.
Riconoscere la sacralità dell’esistenza è vivere fedeli alla natura, il che significa portarle rispetto, consapevoli che la natura non è altro che noi stessi”.
Gurudev chiuse gli occhi respirando lentamente per alcuni minuti. Poi parlò ancora: “Il quinto è il principio di non accumulare né possedere (aparigraha). Non dovreste possedere nulla, ogni cosa appartiene a se stessa. Prendi ciò di cui hai bisogno e lascia il resto a se stesso. Se nessuno ammassa, possiede o accumula alcuna cosa, non può esservi scarsità. La natura è abbondante.
“Questa (aparigraha) è una modo per condividere. Proprio come i membri di una famiglia unita che condividono tutto senza senso di proprietà privata, così voi non dovreste avere proprietà privata.
“Aparigraha significa vivere semplicemente, senza ostentazioni, senza far sfoggio di ricchezza. L’abito, il cibo, l'arredamento dovrebbero essere semplici, eleganti ma austeri. Semplici nei mezzi, ma ricchi negli ideali. Se trascorri troppo tempo intento ad accumulare e a curare cose materiali, non avrai più tempo per la cura dell’anima.
“Il principio di aparigraha si applica anche alle idee, alla conoscenza, alla filosofia e ai pensieri religiosi. L’acquisizione di tale sapere immateriale diventa materialismo spirituale ed essi possono diventare gli attaccamenti più vincolanti in assoluto. Mantieni la semplicità nella vita esteriore e nei pensieri interiori”.
Dopo la consueta pausa gurudev domandò: “Avete qualche domanda?”.
Io ero molto loquace con mia madre, ma molto timido con gurudev, soprattutto quando voleva che facessi una domanda. Il monaco Tara non era timido. Egli s’inchinò a gurudev e domandò: “Non saranno difficili questi ideali per le persone che vivono in mezzo al mondo ordinario?”.
“Questi princìpi possono essere praticati in due modi”, disse gurudev. “I monaci e le suore seguono i princìpi più strettamente. Per esempio, i monaci non coltivano il cibo, né cucinano. Noi non usiamo alcun mezzo di trasporto, a parte le nostre gambe – nemmeno una barca per attraversare un fiume. Se non esiste un ponte noi non andiamo sull’altra riva. Noi non tocchiamo denaro, non usiamo candele, né elettricità, e non accendiamo mai un fuoco. Noi facciamo tutto alla luce del sole e, quando è notte, cantiamo e meditiamo nell’oscurità. I monaci fanno un uso minimale delle risorse materiali”.
“Alcuni monaci non indossano neppure abiti”, dissi.
“Sì, è vero, sono i monaci dell'ordine ‘vestito-di-cielo’ (digambara)”, osservò gurudev. “Essi usano le mani, messe a coppa, per elemosinare il proprio cibo e non possiedono altro che una scopa di piume di pavone per allontanare gli insetti dal sentiero, o dal proprio corpo, oltre a una ciotola di legno per l’acqua. Noi che indossiamo vesti bianche (shwetambara), siamo meno estremi. Noi utilizziamo due pezzi di tessuto privi di cuciture, due coperte, tre ciotole e alcuni manoscritti di testi religiosi”. Gurudev proseguì: “I laici sono meno rigorosi. Tuttavia anche per loro l’acquisizione di ogni singola pentola, sedia, tavolo o altro bene, è una decisione religiosa. Il materialismo non può andare d’accordo con il Giainismo. I giainisti limitano il tipo e la quantità di cibo che consumano ogni giorno e il numero di indumenti che indossano. Ogni giorno implica fare attenzione a limitare i consumi. Per un giainista fare o non fare una spesa è una decisione religiosa. E sempre la vita del monaco o della suora il modello da seguire. Un giainista è sempre intento a soppesare ‘l’avere’ contro ‘l’essere’ e la qualità della vita è sempre messa prima del tenore di vita."
“Per quale motivo vivere in modo tanto austero?”, domandò il monaco Tara.
“Questo stile di vita austero fu raccomandato da Mahavir, la cui filosofia riguardava la giusta collocazione dell’essere umano nello schema naturale delle cose. Mantenere controllato il numero della popolazione tramite la castità (brahmacharya), mantenere limitato il consumo tramite la non-acquisizione (aparigraha) sono pratiche che preservano l’equilibrio del mondo. Quanto più grande è l’equilibrio, tanto più grande è la libertà dalla paura. Essere liberi dalla violenza, dalla falsità, dal furto, dall’indulgenza e dalla possessività rende veramente liberi”.
Tara s’inchinò due volte, poi disse: “Ti sono grato, gurudev, per le tue risposte. Vorresti gentilmente guidarci più avanti e dirci per quale ragione dovremmo cercare la libertà?”.
Gurudev rispose: “Esiste un vasto mondo oltre la portata dei cinque sensi e un viaggio in quel mondo, il mondo dell’aldilà, il mondo del mistero infinito può essere sperimentato soltanto quando si è liberi dalla schiavitù delle meschine passioni di questo mondo. Tu cerchi la libertà da questo limitato mondo dei sensi per sperimentare l’universo del mistero.
“Noi non saremo capaci di scoprire quell’universo se scegliamo di dimorare unicamente e di farci intrappolare nel mondo della gratificazione sensuale, la quale cova insoddisfazione, malcontento e delusione. Il mondo dei sensi, il mondo delle idee e delle opinioni, il mondo della politica e del commercio ci trattengono. La libertà da questi mondi ci offre la possibilità di andare oltre. “Rispetta la materia ma sii libero dal materialismo. Essere ossessionati dalla materia, non vedere altro che la materia, guardare la materia come se esistesse soltanto per il controllo, la comodità e il tornaconto dell’uomo è materialismo. Valutare gli esseri umani in base ai loro possessi materiali, valutare le persone per ciò che ‘hanno’, piuttosto che per ciò che ‘sono’, valutare la materia per l’uso che se ne può fare, piuttosto che per ciò che è - anche questo è materialismo. Essere nella morsa di una simile ideologia materialista può rendere incapaci di vedere il quadro completo. “Quando sei guidato dallo spirito non hai alcun desiderio di combattere per acquisire terre, proprietà, potere. I giainisti non fanno guerre; per essere liberi, essi aiutano il male a trasformarsi in bene. Per risolvere i conflitti i giainisti utilizzano mezzi pacifici. Essi perdonano chi segue la strada della violenza e chiedono perdono a coloro che temono di aver danneggiato. In questo modo i giainisti si liberano dall’odio e dalla collera”.
Inchinandomi umilmente domandai: “Gurudev, è così facile essere risucchiati dalla collera e dal risentimento. Come possiamo liberarcene?”.
“Una volta l’anno” rispose gurudev, “abbiamo un ‘Giorno del Perdono’. In questa giornata tutti i giainisti digiunano per ventiquattr’ore durante le quali riflettono sull’anno trascorso e ricordano gli atti nocivi che hanno commesso nei confronti di altri esseri: terra, aria, fuoco, acqua, animali e umani. Mentre ricordano ogni azione, essi chiedono perdono. Quando tutte le azioni nocive sono state ricordate, i giainisti vanno dalle persone che credono di aver danneggiato o offeso con pensieri, parole o azioni e dichiarano di essere andati di persona per chiedere il loro perdono: ‘Io ti ho perdonato, non serbo alcun rancore nei tuoi confronti, non covo animosità ne ostilità nel mio cuore, sono tuo amico e d'ora in avanti non ho più nemici. Io ti chiedo di perdonarmi nel medesimo spirito’. Quando queste visite sono state compiute il giainista scrive una lettera a tutti quelli che non può incontrare di persona. Una volta che tutte queste azioni sono state portate a termine, allora e solo allora, al giainista è consentito di rompere il digiuno.
“È come fare tabula rasa. Liberandoti del passato puoi vivere la vita come se fosse sempre nuova. Quale sollievo poter respirare l’aria della libertà!”.
Tutti ci inchinammo a gurudev, e così si concluse l'insegnamento di quel giorno.
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