IL VIRUS SIAMO NOI
di Paolo Quircio
Chi, tra i lettori di FioriGialli, ha avuto la pazienza e la bontà di leggere alcuni dei miei precedenti articoli, tutti incentrati su temi inerenti lo Yoga e il Vedanta, avrà forse notato che cerco di evitare il più possibile di esprimere opinioni personali; in genere mi attengo agli Shastra, i testi tradizionali, scritti dagli antichi Rishi, e ai loro commentari, scritti da divulgatori ed esegeti più recenti. Oggi, per la prima ed ultima volta, voglio approfittare della piccola tribuna offertami da Fiori Gialli per fare alcune osservazioni, personali sì, ma comunque legate allo Yoga e alla spiritualità. Il tema, naturalmente, non può che essere quello che è sulle pagine di tutti i giornali e tutti i siti web del mondo, oltre che nella mente di due o tre miliardi di persone chiuse in casa per cercare di limitare il diffondersi del contagio. Tutti conoscono la storia del Re nudo, e qui di re nudi mi pare di vederne diversi.
Sulla nudità dei re della politica, nazionale, europea e mondiale, nutrivamo pochi dubbi anche prima. È interessante notare la corsa allo stato autoritario, giustificato dall’emergenza sanitaria, di molti governanti, da Duterte nelle Filippine, dove l’esercito ha l’ordine di sparare a vista ai contravventori del coprifuoco; a Orbàn in Ungheria, che ha chiesto e ottenuto, da un parlamento servizievole, i pieni poteri; al primo ministro indiano, Modi, che alle 21 ha annunciato il blocco totale di qualsiasi attività, cominciare dalla 24. Tre ore di preavviso! Col risultato che i milioni di lavoratori che dai piccoli villaggi dell’immenso subcontinente si erano recati nelle smisurate metropoli indiane, si sono trovati, così, di punto in bianco, senza casa, senza lavoro e senza un soldo. Treni e bus bloccati, alcuni, molte migliaia, hanno cominciato a camminare, con bambini e fagotti, verso i villaggi d’origine, distanti anche mille chilometri! L’Europa che si disfa, frontiere chiuse, egoismi nazionali e locali sempre più accesi. Uno spettacolo avvilente.
Un altro re, la cui nudità è apparsa evidente, è la scienza, quella medica in particolare. Che la medicina non fosse una scienza esatta già si sapeva (senza nulla togliere agli immensi progressi fatti negli ultimi decenni e alle tante vite che ha salvato o reso più dignitose), ma vedere il gotha degli scienziati e clinici italiani e non solo, virologi, immunologi, oncologi, infettivologi e altri ‘ologi’, prendersi pubblicamente a pesci in faccia, dandosi dell’incompetente a vicenda, proclamando con straordinaria sicumera delle tesi, per poi, con altrettanta sicumera, dopo pochi giorni affermare tutt’altro. Mentre i medici e gli infermieri in prima linea sgobbavano come matti e molti di loro, purtroppo, hanno anche perso la vita, eroicamente. Disgraziato il popolo che ha bisogno di eroi! Un altro spettacolo avvilente.
Che la statistica non fosse una scienza esatta, malgrado tutti gli sforzi dei suoi addetti per accreditarla come tale, forse alcuni già lo sapevano. Con grafici, algoritmi e tutti gli armamentari informatici di cui dispone oggi, non sembra essere andata oltre il famoso ‘mezzo pollo a testa’ di Trilussa. I dati forniti sono spesso contraddittori già all’origine, a seconda della fonte da cui provengono, e la loro elaborazione risente di interpretazioni (manipolazioni?) quanto mai soggettive. Ognuno dice la sua, creando, invece di chiarezza e sicurezze, dubbi, incertezze, timori. Anche qui rimane difficile non avvilirsi.
Poi, visto che stiamo quasi tutti a casa e molti non hanno granché da fare, si va a ruggire sulla tastiera del computer. Come diceva Umberto Eco: “Internet? Ha dato diritto di parola agli imbecilli: prima parlavano solo al bar e subito venivano messi a tacere". Naturalmente, mi metto automaticamente in questa schiera. Sui cosiddetti social si può leggere di tutto. Così come durante i mondiali di calcio diventiamo tutti commissari tecnici della nazionale, ora siamo tutti esperti di tutto. Chi sostiene una cosa e chi il suo contrario. E come ci si insulta nei commenti! Ci sono i complottisti, gli antivax, i sostenitori della clausura forzata e quelli che pensano che è solo una manovra per prepararci allo Stato di Polizia; c’è chi dice che il virus viene dai pipistrelli e chi dai laboratori cinesi o americani; ma anche qui ci si divide a suon di insulti, perché c’è chi pensa che gli Americani lo abbiano portato a Wuhan durante i giochi militari, e chi dice che è sfuggito accidentalmente dai laboratori dell’OMS, situati proprio a Wuhan. C’è poi chi, tra i complottisti più estremi, o più smaliziati (?), ritiene che tutta questa confusione sia creata ad arte da quell’élite di potere parzialmente o totalmente occulto, quella che gli americani chiamano il ‘deep state’, per far dire ai complottisti delle sciocchezze facili da smontare, affinché si coprano di ridicolo e perdano credibilità. A me pare che il vero ‘deep state’, in italiano ‘stato profondo’, sia quello simile al coma in cui versa la maggior parte dell’umanità, l’ipnosi di massa da cui non riesce a svegliarsi.
Da decenni gli ambientalisti, di varie estrazioni e di vari livelli di intransigenza, stanno avvertendo l’umanità del gravissimo stato in cui versa il nostro pianeta, la nostra amata Madre Terra. Ma noi, niente. Proseguiamo imperterriti per la nostra strada. Ci avvertono che stiamo correndo verso un baratro, e noi continuiamo a correre incuranti, sicuri che il baratro sia ancora lontano, che tutt’al più il problema riguarderà i posteri. Mi viene in mente una battuta di Groucho Marx :”Perché dovrei preoccuparmi dei posteri? Cos’hanno fatto i posteri per me?” Il grande Groucho naturalmente scherzava, ma secondo me sono davvero tanti quelli che la pensano così, perché, probabilmente, non credono nella reincarnazione e nella legge del Karma. Non si rendono conto che i posteri siamo noi, noi che, quando ci reincarneremo tra dieci o venti generazioni, o forse prima, ci troveremo questo mondo infetto, avvelenato, tossico e imbruttito, che è stato creato sempre da noi, prima di diventare i posteri. E quella sarà la lezione che dovremo imparare, lo scotto da pagare.
Nota bene, non una punizione divina, ma una punizione tutta umana. Se ti dai una martellata su un dito, non te la puoi prendere col martello. Il buon Dio ci ha consegnato un mondo splendido, siamo noi ad averlo reso così. Una buona parte dell’umanità, per limiti intellettuali e culturali, a malapena si rende conto del disastro in cui stiamo precipitando. Altri se ne rendono conto, ma con fatalismo supremo, non pensano di avere i mezzi per cambiare nulla. Altri ancora sono ben intenzionati ad agire, ma purtroppo le loro ottime intenzioni raramente, forse mai, sono coronate dal successo. Perché? Einstein una volta disse che ”Non si può risolvere un problema con la stessa mente che lo ha creato”. Nulla di più vero.
Il vero responsabile della catastrofe incombente sul nostro pianeta, di cui l’attuale crisi sanitaria è, probabilmente, solo una piccola avvisaglia, un buffetto bonario, non è il virus, non è la plastica, né il mutamento climatico, ma quello da cui derivano i comportamenti umani che producono questi affetti. Se noi umani sapessimo vivere e convivere con la Natura non come suoi presunti padroni, ma come rispettosi e passeggeri inquilini, se capissimo che ogni ferita inferta a Gaia, quell’essere vivente che ci ospita per i pochi anni della nostra esistenza terrena, è una ferita inferta a noi stessi, i cui effetti prima o poi si manifesteranno. Se ci rendessimo conto che umani, animali, piante, persino i minerali, sono tutti composti della stessa energia, della stessa sostanza divina, e che quello che differenzia gli uni dagli altri è esclusivamente il livello di consapevolezza, cominceremmo a capire che noi umani, proprio perché dotati, per motivi karmici, del livello di consapevolezza più elevato, abbiamo il dovere preciso di accudire, proteggere e salvaguardare gli altri esseri, viventi o meno, non di sfruttarli e torturarli. Alcuni pensano che gli uomini stanno uccidendo la Terra. Stolti! La Terra non si farà certo uccidere da un gruppo, per quanto numeroso, di creature egoiste, prepotenti e presuntuose.
Ma qual è la causa di questi comportamenti umani così distruttivi? Nello Yoga e nel Vedanta la risposta è abbastanza semplice: la mente. Questa mente di basso livello che usiamo quotidianamente. La mente pratica, quella che lo Yoga definisce Manas. La sua funzione è quella di coordinare i cinque sensi di percezione, gli Jnanaindriya, di capire i loro segnali e di reagire attraverso i cinque sensi di azione, i Karmaindriya, di gestire, insomma, il livello più grossolano dell’esistenza. Non è molto dissimile da quella che usano anche gli animali, almeno i più evoluti. Grazie a questa mente grossolana, l’uomo riesce a svolgere le sue funzioni vitali, ma è per causa sua che si identifica con il corpo e con la mente stessa, dimenticando la sua vera natura, che è divina. Questa identificazione, erronea e limitante, dettata dall’ignoranza spirituale, a sua volta genera l’attrazione e la repulsione; attrazione per ciò che riteniamo ci sia favorevole, che ci possa dare piacere sensuale, e repulsione per ciò che potrebbe arrecarci dolore e danni. Tra questi danni, il peggiore è sicuramente la morte, il cui terrore ci fa perdere completamente quel po’ di raziocinio di cui disponiamo. Ignoranza spirituale (Avidya), senso dell’io (Asmita), attrazione (Raga), repulsione (Dvesha) e paura della morte (Abhinivesha) sono definite, negli Yoga Sutra di Patanjali Maharishi, i cinque Klesha, le cinque afflizioni dell’umanità.
La mente grossolana crea il nostro peggior nemico: il desiderio. La produzione di desideri è inarrestabile. Se non vengono soddisfatti destano ira e risentimento; se vengono soddisfatti, il senso di soddisfazione dura ben poco. Ben presto sopraggiunge la noia, e per scacciarla creiamo un nuovo desiderio, in una spirale perversa senza fine. Nella Bhagavad Gita (II, 62-63) così ne parla Sri Krishna: “62. "Pensare agli oggetti dei sensi causa attaccamento ad essi. Dall'attaccamento nasce il desiderio, e dal desiderio scaturisce la collera. Dalla collera nasce l'illusione; l'illusione genera perdita di memoria (del Sé). Dalla distruzione della memoria deriva la rovina della facoltà discriminativa. Dalla rovina della discriminazione segue l'annientamento (della vita spirituale).”
Questo è quello che, a mio avviso, intendeva Einstein. È questo tipo di mente grossolana, egoista e miope che, a causa dell’ignoranza spirituale, pur avvertendo il disagio esistenziale, pensa di poterlo risolvere acquisendo oggetti esterni, invece di puntare alla ricerca del divino in sé, unica fonte di profonda pace interiore. Questo errore di fondo spinge l’umanità alla conquista di un mondo materiale ed esterno, con arroganza e supponenza, un’umanità che ha dimenticato il suo ruolo su questa Terra, come un figlio degenere che uccide sua madre. Perché ciò possa cambiare, noi esseri umani dobbiamo cambiare radicalmente la nostra mente, dobbiamo usare sempre meno Manas e cominciare a dare spazio a Buddhi, la mente più sottile, intuitiva, sempre umana, ma più prossima alla componente vera del Jiva, l’insieme di anima, corpo, mente e Prana. La componente più vera del Jiva è quella divina, insita in ognuno di noi, ma di cui abbiamo perso consapevolezza.
Naturalmente, questo non può succedere così, semplicemente volendolo. Bisogna lavorarci sopra, con impegno e serietà. Bisogna capire che questo è il vero scopo della nostra vita, il vero ed unico motivo per cui ci siamo incarnati. Bisogna cambiare il nostro livello di vibrazione, renderlo più sottile, più spirituale, più vicino alla Fonte Suprema. Solo le pratiche spirituali possono far sì che questo avvenga, anche in tempi relativamente brevi. Il mio Maestro, Swami Vishnudevananda, sosteneva che un Sadhu solitario che medita in una grotta dell’Himalaya, può fare per la pace nel mondo molto di più di migliaia di persone che manifestano in una piazza, se questa folla non sviluppa la giusta vibrazione. Alla luce di questi cambiamenti epocali, che probabilmente si prospettano in un futuro non molto lontano, diventano più chiare le scelte altrimenti incomprensibili di tanti grandi Guru del recente passato. Quando Swami Vivekananda, Yogananda Paramahansa, Ramana Maharshi, Swami Sivananda ed altri Mahatma cominciarono, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, a diffondere le conoscenze dello Yoga e del Vedanta, fino ad allora riservate a pochi illuminati, tutti Brahmani, si gridò allo scandalo. Diffondere certe conoscenze esoteriche tra fuoricasta, donne, non Indiani, sembrava una bestemmia, un oltraggio alla tradizione.
Oggi forse si capisce il perché di queste mosse apparentemente avventate. La creazione in tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a prescindere da sesso, razza, credo e ceto sociale, di una nuova-antica mente superiore, in grado di creare una massa di vibrazioni spirituali positive in grado di cambiare l’assetto del mondo. Da questa esperienza di disagio, in molti casi di dolore e di gravi perdite, sia materiali che affettive, dobbiamo imparare, a mio avviso, a trarre alcuni insegnamenti. Dobbiamo imparare a sviluppare due qualità fondamentali: Santosha e Vairagya, appagamento e distacco. Solo così potremo smettere di cercare la felicità fuori di noi, con conseguenze disastrose per noi stessi, per tutti gli altri e per l’intero pianeta. Dobbiamo sviluppare al massimo le nostre pratiche spirituali. Creare una sorta di ‘massa critica’ spirituale che cambi l’energia del mondo intero. Più persone prendono coscienza di ciò, più questo sarà possibile.
Dobbiamo ‘infettare’ la Terra di energia spirituale, positiva. Se questo avverrà, come molti si augurano, le prove che il prossimo futuro ci riserva avranno un senso e uno sviluppo positivo. Dalle avversità del momento potrebbe nascere una nuova epoca, più luminosa e spirituale. Vite più semplici, senza tanti oggetti inutili e costosi, ma con più tempo libero, da riservare all’evoluzione spirituale e agli affetti, alla solidarietà, a ritrovare la parte di noi che abbiamo dimenticato, quella divina.
Utopia? Sogni ad occhi aperti? Chi può dirlo? Dipende solo da noi, da ognuno di noi.
Paolo Quircio
Roma, 12-04-2020
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