di Roberto Marchionatti
Stone Age Economics, frutto di un lavoro iniziato a metà degli anni Sessanta tra Stati Uniti e Francia, si pone nel solco dell’interpretazione sostanzialista che si richiama all’insegnamento di Karl Polanyi, intellettuale mitteleuropeo emigrato negli Stati Uniti nel 1940,(...), il testo che elabora i principi della scuola sostanzialista e rifiuta l’approccio della scienza economica applicato alla spiegazione delle società primitive (o selvagge) e tradizionali, perché mancanti di quel contesto istituzionale che impone agli individui l’allocazione ottimale delle risorse. Il lavoro di Polanyi e del suo gruppo aprì il dibattito tra formalisti e sostanzialisti in antropologia – tra coloro che ritenevano i principi della scienza economica universalmente validi e quindi applicabili anche alle società primitive e chi riteneva necessario elaborare, per dirla con Sahlins, un’analisi nuova «più consona alle società storiche in questione», con la fondazione di una «economia antropologica» che soppiantasse l’antropologia economica troppo subordinata alla visione economicista. Nella prospettiva dell’economia antropologica, l’economia è una categoria della cultura, «distintiva creazione umana simbolica», come afferma Sahlins, che ha a che fare con il processo materiale di vita delle società «per quel che sono»: è questo l’oggetto di Stone Age Economics, il libro pubblicato nel 1972.
La prima parte del libro è dedicata alla descrizione del modello di produzione e distribuzione primitivo, a partire dalla critica del tradizionale concetto di economia di sussistenza, che descriveva le società primitive come il luogo dell’incessante ricerca del cibo, quello che Adam Smith, nel procedere alla fondazione dell’economia politica classica, aveva descritto come lo stadio «rozzo e primitivo» dell’umanità, lo stadio iniziale, quello finale essendo la società «civile» di mercato. Non questo stato di profonda arretratezza materiale emergeva però dalle ricerche etnologiche recenti (tra le allora più recenti quelle fondamentali di Richard Lee sui Boscimani del Kalahari), che peraltro, ricorda Sahlins, confermavano molte testimonianze del passato: uno stato di relativa abbondanza caratterizzato da una limitata attività lavorativa, ritmi di lavoro lenti e apporto dietetico largamente adeguato in base agli standard occidentali. Dunque, scrive provocatoriamente Sahlins, possiamo definire la società selvaggia una società dell’abbondanza (affluent society), un’idea per la prima volta presentata da Sahlins nel 1966 alla conferenza Man the Hunter organizzata a Chicago da Richard Lee e Irven DeVore, i cui atti vennero poi pubblicati nel 1968 a cura dei due organizzatori.
Per cogliere la «struttura profonda» delle economie primitive, Sahlins introduce il concetto di «modo di produzione domestico», istituzione produttiva dominante di tali società. Sua caratteristica è che la produzione è inferiore alle possibilità esistenti, dovuta al sottoutilizzo delle risorse e della forza-lavoro, come mostrato dai molti studi citati nel libro, pur essendo la tecnologia disponibile sufficientemente produttiva da non poter essere ritenuta causa di assenza di surplus, come invece ipotizzato senza eccezioni nella visione economicista da Smith in poi. Il modo di produzione domestico, sostiene Sahlins, contiene un principio anti-eccedentario: «finalizzato alla produzione di mezzi di sussistenza, è contraddistinto dalla tendenza ad arrestarsi a quel punto». I suoi obiettivi economici sono limitati, «definiti nei termini di un sistema di vita».La spiegazione di questo, che per la scienza economica appare come un paradosso, sta nel fatto che, sostiene Sahlins, le comunità primitive hanno adottato una «via zen all’opulenza»: adottando una strategia zen, ovvero limitando i propri bisogni materiali, l’uomo primitivo può assaporare «un’incomparabile abbondanza materiale».
L’organizzazione produttiva dei primitivi è cioè il risultato della scelta di riprodursi limitando l’accumulazione e i bisogni e creando un’entità socio-culturale capace di adattarsi all’ambiente e godere di una vita ad alta intensità di tempo libero. Stante la tendenza generale alla sottoproduzione, nota Sahlins, la singola unità domestica potrebbe non essere in grado di far fronte ai propri bisogni. Questo rischio è normalmente evitato dalle regole sociali prevalenti nella comunità primitiva, attraverso il ruolo della parentela e della politica. I rapporti parentali comportano solidarietà e cooperazione, mentre la politica, quando si supera la fase della semplice solidarietà parentale, rappresenta, attraverso il particolare ruolo che il capo vi svolge, uno stimolo a produrre, ma non a fini di accumulazione: il capo, scrive Sahlins, agisce come un «parente superiore» che incarna le finalità collettive. La posizione di capo esclude la possibilità di accumulare beni per sé stesso; al contrario, impone la generosità assoluta, e per essere prodigo, il capo deve possedere beni da donare ai membri della comunità, quindi, insieme ai suoi familiari, deve produrre beni da donare per ottenere e mantenere il suo prestigio. Più in generale il dono, sostiene Sahlins commentando il Saggio sul dono di Marcel Mauss, è l’analogo primitivo del contratto sociale, è il contratto sociale primitivo. Reciprocità, attraverso lo scambio di doni (all’interno della comunità e tra comunità a fini di alleanza), e strategia zen sono dunque i pilastri del funzionamento della società primitiva.
In effetti Sahlins, come prima di lui Mauss, riprende la grande tradizione umanistica che si sviluppa con Michel de Montaigne e poi Denis Diderot, che offriva dei selvaggi una descrizione, fondata sul ricchissimo materiale fornito dalle relazioni di viaggio, alternativa a quella della teoria degli stadi, interpretazione dell’evoluzione delle società umane che rappresentò la base ideologica dell’economia politica smithiana, sempre riproposta, in forme diverse, negli sviluppi successivi della scienza economica e che Sahlins critica radicalmente e mostra scientificamente inconsistente. Non sorprende dunque che il suo libro sia stato oggetto di un lungo dibattito critico di grandi proporzioni. Continua...