"Apri il cuore e accontentati di quello che la vita ti concede. Siamo tutti invitati alla festa della vita,
dimentica i giorni dell'oscurità, qualsiasi cosa possa essere successa non è la fine"
  Augusto Daolio

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ECONOMIA CONSAPEVOLE
Etica e spiritualità per una nuova
economia consapevole e sostenibile
ECONOMIA CONSAPEVOLE
DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO
L'ETICA E' INSUFFICIENTE

DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO<BR>L'ETICA  E' INSUFFICIENTE
Raoul Vaneigem
Di fronte al feticismo del denaro, l'etica, necessaria quanto si vuole, è insufficiente. Sperare di moralizzare gli affari é vano quanto incitare ad una maggior igiene chi vive su un cumulo di spazzatura. Niente, in compenso, é più apprezzabile della libertà di parola concessa a tutti affinché una fioritura di idee nuove presieda alla ricostruzione dell'esistenza individuale e della società in un momento in cui un sistema fondato sulla ricerca esclusiva del denaro che rovina i
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LA SERENITA' INTERIORE
Plutarco

Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
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IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?
IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?

di Maurizio Di Gregorio

Tutti gli insegnamenti spirituali hanno sempre riconosciuto che qualsiasi uomo non deve lavorare solo per tenersi in vita ma anche per tendere verso la perfezione. Per i bisogni materiali sono necessari vari beni e servizi che non potrebbero esistere senza il lavoro dell’uomo, per perfezionarsi però l’uomo ha bisogno di una attività dotata di senso che magari anche attraverso l’affronto e la soluzione delle difficoltà gli permetta di esprimersi, di”trovarsi”, di realizzare un opera con cui si senta in armonia e che gli permetta anche un rapporto armonico con la società e con tutto l’universo. Per Schumacher i fini del lavoro umano sono: 1) provvedere a fornire i beni necessari ed utili; 2) permettere a ciascuno di utilizzare e di perfezionare i propri doni e talenti, come buoni amministratori di se stessi; 3) Agire al servizio degli altri per liberarci del nostro egocentrismo ...Continua...
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO


di E.F. Schumacher

Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...

IN FRANCIA ARRIVA
LA BANCA DEI POVERI

Francia, ecco la banca dei poveri. Ma dietro c’è ex top manager di SocGen.
L’iniziativa risponde a un’esigenza di "light banking" emersa da tempo perché le famiglie con scarse risorse vedono rifiutarsi e sempre di più dalle banche tradizionali l’apertura di un conto. All’origine del progetto, totalmente privato, Hugues Le Bret, ex direttore della comunicazione della Société Générale, vittorioso stratega nell'affaire

Senza l’obbligo di avere redditi fissi. Senza alcuna condizione legata al patrimonio o ai depositi disponibili. Senza discriminazioni”. Viene presentato così un nuovo conto bancario, che sarà operativo in Francia nelle prossime settimane. Gli ideatori lo chiamano “Compte-nickel”. Ma i media francesi scrivono già di “banca dei poveri”. Che in realtà non avrà sportelli propri, perché chiunque potrà aprire il suo nuovo conto in una tabaccheria o presso un rivenditore di giornali.

L’iniziativa risponde a un’esigenza di “light banking” emersa da tempo in Francia, dove le famiglie con scarse risorse vedono rifiutarsi e sempre di più dalle banche tradizionali, in questi tempi di crisi, l’apertura di un conto. Senza contare che nel Paese il reddito minimo garantito esiste da oltre vent’anni e spesso si pone il problema di come consegnarlo ai più indigenti, che vivono per strada, in particolare a Parigi, senza fissa dimora. Nella stessa ottica, in questo momento è in discussione al Parlamento francese una legge di riforma bancaria, che prevede fra le altre cose (il suo primo obiettivo è la separazione delle attività creditizie da quelle speculative) un “diritto al conto bancario” e l’obbligo per gli istituti che ne negano l’apertura a rilasciare un documento al malcapitato, dove spiegano il perché di quel rifiuto. Servirà, se si vuole, per appellarsi alla Banca di Francia, procedura che potrà essere innescata anche dalla cassa pubblica che paga il reddito minimo garantito.

Ma ritorniamo al “Compte nickel”. Si tratta di un progetto totalmente privato. Il nome fa allusione all’espressione gergale “c’est nikel”, che significa che tutto è a posto, pulito, trasparente. Speriamo. All’origine dell’iniziativa Hugues Le Bret, ex direttore della comunicazione della Société Générale, uno dei colossi bancari francesi. E’ un personaggio da sempre a metà tra il mondo della finanza e quello dei media. E’ stato pure amministratore delegato di Boursorama, una filiale di SocGen, che gestisce una banca online e il sito di informazioni borsistiche più cliccato in Francia, il riferimento numero uno per i malati della Borsa. Socio di Le Bret è Ryad Boulanouar, mago delle nuove tecnologie applicate al mondo della finanza, che ha già brevettato un sistema innovativo per l’identificazione e la registrazione di un cliente mediante un semplice scanner.

Insomma, non siamo proprio di fronte a una Ong… Le Bret, capelli brizzolati e bella presenza, divenne noto anche al francese medio quando, nel febbraio 2008, si trovo’ a gestire l’”affaire Kerviel“, dal nome del trader che con i suoi giochini in Borsa, a suon di strumenti derivati, rischiò di affondare Société Générale (e comunque le fece perdere 4,9 miliardi di euro). Le Bret si ritrovò spesso, allora e nei mesi successivi, dinanzi alle telecamere a giustificarsi per conto del suo datore di lavoro su come si fosse arrivati a quel punto, come un ragazzino avesse potuto gestire indisturbato masse di soldi così ingenti, per conto di una banca che nell’immaginario collettivo francese era quella del buon padre di famiglia. Nel frattempo Jérome Kerviel è stato condannato a cinque anni di prigione in appello nell’ottobre 2012: SocGen è riuscita a scaricare le responsabiliutà su quel “trader impazzito”, come i media francesi hanno iniziato a definirlo. Le Bret riuscì vittorioso nella strategia di comunicazione destinata proprio a farlo passare per una “scheggia impazzita” del sistema. Poi, nell’ottobre 2010, il manager pubblicò un libro sulla vicenda (dal titolo, in italiano, “La settimana in cui Jérome Kerviel ha rischiato di far saltare il sistema finanziario mondiale”), che si voleva un atto d’accusa nei confronti del datore di lavoro, anche se si rivelò molto più pacato e rispettoso del previsto. In ogni caso il personaggio dovette lasciare la banca. Adesso diventa il paladino dei poveri. Speriamo sia vero. Confidiamo nel contrappasso. Qulcuno teme, invece, la nascita di un nuovo business. di Leonardo Martinelli | 30 maggio 2013 da Il Fatto quotidiano
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