Spese militari: all’Italia costano come il welfare
di Vincenzo Scrutinio*
Un’anomalia tutta italiana: si spende in armi e forniture la stessa cifra impiegata per il lavoro
Molto si è discusso a proposito della spesa militare in Italia. In particolare rispetto all’annosa vicenda del acquisto di 90 caccia bombardieri F-35. In un periodo segnato da vincoli di bilancio estremamente stringenti e la necessità di trovare risorse per finanziare programmi mirati al sostegno della crescita, pare opportuno tornare su questo punto per fornire qualche numero riguardo la spesa militare italiana.
Secondo le stime del Sipri, lo Stockholm International Peace Institute (1), l’Italia ha speso per il 2012 circa 26,46 miliardi di euro, con un calo di circa il 6 per cento rispetto al picco storico a del 2008 in cui la spesa militare aveva toccato i 28,16 miliardi di euro. La crisi e il conseguente aggiustamento hanno quindi avuto un impatto – seppure relativamente modesto – sulle spese militari italiane. Se si osservano i dati in termini reali, ci si accorge che la diminuzione della spesa militare era iniziato prima della Grande Recessione. La figura 1 compara un indice della spesa militare reale per le maggiori economie europee, il Canada e gli Stati Uniti. Come si può notare, la spesa militare italiana è tornata a un livello paragonabile a quello di 20 anni fa.
Ma quante risorse sono assorbite dalla spesa militare rispetto al Pil (e quindi alle risorse dell’intera economia) e rispetto ad altre funzioni dello stato come l’istruzione e la protezione sociale? (2). Un breve confronto delle risorse impiegate rispetto ad altri paesi europei è fatto nella figura 2. Come si può osservare, la spesa militare risulta più o meno in linea con quella di altri paesi europei, leggermente superiore rispetto alla spesa della Germania (+0,4% del Pil) e di quasi un punto percentuale superiore a quella spagnola, che, come abbiamo precedentemente osservato, ha visto una notevole riduzione negli ultimi anni. Se, tuttavia, confrontiamo le altre voci di spesa si distingue subito l’anomalia italiana. La spesa militare è infatti pari alla spesa per politiche del lavoro e solo marginalmente inferiore alla spesa per politiche sociali.
Se il primo elemento non è una peculiarità solo italiana e dipende in larga parte dalle scelte di intervento nel mercato del lavoro, che variano notevolmente da paese a paese, la seconda emerge come tratto distintivo italiano. Negli altri paesi queste spese ammontano da un punto percentuale di Pil in più (Portogallo) a 4,5 punti in più nel caso della Spagna. Questo è sicuramente determinato dalle condizioni restrittive di accesso a misure di sostegno del reddito durante la disoccupazione. Simbolo della chiara carenza della spesa pubblica italiana che impiega relativamente poche risorse per la protezione delle fasce più svantaggiate.
In conclusione, sebbene il peso della spesa militare del nostro paese rispetto al Pil sia abbastanza in linea con le altre economie considerate, la ripartizione della spesa pubblica italiana mostra delle evidenti carenza nella protezione degli elementi più deboli della società. Purtroppo, non è immediato desumere che sia possibile spostare parte delle risorse impiegate in spesa militare. La presenza di impegni internazionali e il fatto che una parte consistente della spesa militare sia impiegata in stipendi. Pare opportuno ricordare anche in questa sede che anche le spese per forniture hanno un impatto annuale relativamente modesto se si considera che i costi per forniture vengono sostenuti nel corso di anni. Nonostante ciò, la gravità dell’attuale contingenza e la necessità di trovare risorse in tempi rapidi potrebbero portare a riflettere su un possibile spostamento di risorse a favore di altre voci di spesa.