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ROMA. PICCOLA VITTORIA PER L'ACQUA PUBBLICA
L'acqua è un bene necessario per la sopravvivenza di tutti noi e dunque è indispensabile che essa appartenga a tutti. Questo concetto, che forse appariva più chiaro nella società preistorica che in quella attuale, da qualche giorno ci appartiene un tantino di più. Esattamente dal 19 gennaio.
In quella data infatti il consiglio del XVI Municipio di Roma ha approvato a maggioranza assoluta una delibera, la prima a Roma, che impegna il Comune ad esprimersi sulla modifica del proprio Statuto, al fine di “dichiarare l'acqua un bene pubblico inalienabile”.
La proposta era stata presentata già ad ottobre da Marco Giustini della Lista civica Amici di Beppe Grillo di Roma e Massimiliano Ortu di Sinistra Arcobaleno e dopo essersi arenata per tre mesi in Commissione Ambiente è arrivata alla votazione al Municipio ed è stata approvata. In essa si dichiara necessario “riconoscere che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini”.
La delibera giunge in un momento cruciale. Da un po' di tempo infatti è in corso una sorta di attacco politico bipartisan all'acqua pubblica. Tutto iniziò nel 2002 con una legge che obbligava i servizi di gestione pubblica a snellirsi, diventare S.p.a. e lavorare con rigore. All'interno delle cosiddette “municipalizzate” entrarono in qualità di azionisti, seppur di minoranza, banche, industrie, società multinazionali.
Il secondo colpo è stato inferto, come spiega Paolo Rumiz in un articolo su Repubblica, nell'agosto 2008, con l'approvazione della legge 133 – quella stessa legge 133 che ha scatenato la rivolta della scuola. L'articolo 23 bis obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, anche qualora il servizio offerto funzioni perfettamente. Il tutto nel silenzio generale.
Si consacra la visione dell'acqua come bene economico e privato: le conseguenze sono gravissimeCompleta l'opera la legge Ronchi. Si tratta di una legge approvata alla Camera circa due mesi fa, il 18 novembre per l'esattezza, che sancisce definitivamente la privatizzazione dell'acqua. I comuni dovranno scegliersi un socio nella gestione del servizio e diminuire drasticamente la loro presenza in vantaggio dei privati. Nelle società a maggioranza pubblica quotate in Borsa la partecipazione dei comuni dovrà scendere al di sotto del 40 per cento entro il 2013 – attualmente è al 51 – e giungere a meno del 30 per cento entro il 2015. Pena la perdita delle concessioni.
Insomma si consacra la visione dell'acqua come bene economico e privato, con implicazioni gravissime. Un esempio: una società per azioni ha interesse nell'incentivare una crescita costante della domanda di acqua quando invece è necessario che si educhi al risparmio.
Il fatto è che fenomeni di portata planetaria come il riscaldamento globale e l'aumento della popolazione mondiale stanno trasformando l'acqua in un bene sempre più prezioso. Multinazionali e investitori privati se ne sono accorti ed è iniziata la folle corsa ad accaparrarsi fino all'ultimo rigagnolo. La politica, schiava, ha spalancato le porte con leggi ad hoc, ed ora rischiamo che il liquido in cui nacque la vita diventi un prodotto d'elite, riservato alla fetta più ricca della popolazione, mentre l'unica soluzione sarebbe una più equa ripartizione fra tutti ed una maggiore attenzione nel consumo.
In una situazione come questa la vittoria, seppur piccola, ottenuta al Municipio XVI di Roma ha un sapore del tutto speciale. Può essere un segnale, l'indice di una inversione di rotta. Certo, battaglie più importanti andranno combattute in Comune – importante sarà il contributo del movimento romano per l'acqua pubblica – e, perché no, in parlamento. Ma intanto niente ci vieta di brindare ad un primo, importante, successo. Allora in alto i bicchieri, d'acqua s'intende.
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