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Nuovo cinema aborigeno
Arriva nei cinema "10 canoe" di Rolf de Heer, premiato a Cannes con il premio speciale della giuria nella sezione "Un certain regard" Rolf de Heer, regista di "10 canoe" dopo il successo di Cannes (premio della giuria nella sezione "Un certain regard"), dice di essere stato più che un regista, il tramite fra i finanziatori del film e gli attori, la popolazione aborigena della zona di Ramingining nell'Australia del Nord. E anche la locandina lo conferma: "Un film di Rolf de Heer e la popolazione di Ramingining". Il film, girato dopo due anni di contatti periodici del regista con questa tribù e 3 mesi di riprese, racconta una storia ancestrale, precedente a qualsiasi contatto con i colonizzatori dell'ultimo continente scoperto sulla Terra. La narrazione avviene su due piani distinti, il secolo scorso e un tempo antico non identificabile, un tempo tribale. La storia: un giovane aborigeno si invaghisce della terza moglie del fratello, la più giovane. Questi gli racconta una storia di molto tempo prima che parla di un amore proibito, di un rapimento, di stregoneria, di una uccisione e del rito risarcimento che ne segue. Il film ha un narratore d'eccezione, il grande attore, danzatore, musicista aborigeno David Gulpilil, un vero mito in Australia.
Alla conferenza stampa seguita all'anteprima del film il regista Rolf de Heer ha parlato proprio dell'interpretazione di questo attore, che purtroppo nell'edizione italiana del film si è perduta completamente per via del doppiaggio. «David è veramente un attore straordinario. Abbiamo lavorato stendendo una bozza di quello che sarebbe stata la sua narrazione, conoscendo lui molto bene e conoscendo bene il suo modo di raccontare le storie e di parlare. A quel punto gli ho fatto vedere il film, lui ha pianto moltissimo e abbiamo iniziato a lavorare insieme sulla lingua, sul suo idioma. Del film esistono infatti due versioni diverse, una per la grande distribuzione australiana in versione inglese, e l'altra invece per il pubblico indigeno. Sono due versioni diverse in realtà proprio nella parte della narrazione perché parlano a degli spettatori diversi. Un esempio: nell'incipit nella versione occidentale David dice: "C'era una volta in un tempo lontano lontano" poi si mette a ridere e dice che è uno scherzo. Questo non sarebbe stato possibile raccontarlo al pubblico locale e la storia inizia diversamente nella versione della loro lingua: "Questa è una storia sui Balanda, sugli uomini bianchi" e poi dice che è uno scherzo e si mette a ridere. In entrambi i casi David ha dato una straordinaria interpretazione nella parte della voce narrante».
Il film nasce da una serie di foto in bianco e nero risalenti al 1937, scattate dall'antropologo Donald Thomson e a queste foto si ispira. Le foto storiche raccontano la vita quotidiana di una tribù aborigena, la caccia alle oche, la raccolta delle uova e la costruzione di canoe dalle cortecce degli alberi. Gli aborigeni delle foto di Thomson rappresentano il legame con il passato e la cultura degli indigeni australiani. Un passato e una cultura di cui vanno molto fieri e che hanno voluto regalare, in questo film, agli occidentali. «La notizia del premio a Cannes li ha resi molto felici - ha raccontato De Heer - e ha fatto comprendere loro che verso il mondo degli aborigeni c'è molto rispetto anche da parte nostra».
Per gli appassionati di cinema australiano, segnaliamo la quinta edizione della manifestazione "Sguardi australiani", a Genova il 9 giugno 2006. Nel cortile maggiore di Palazzo Ducale, una nuova piacevole immersione nei paesaggi desertici del centro Australia. Le visioni e le indagini di un giovane regista e documentarista, David Vadiveloo, che è anche un avvocato specializzato nella difesa dei diritti della gente di cultura indigena. Quest'anno al festival del cinema australiano si parla di "Diritti sovrumani. Un cinema di verità" con il patrocinio di Amnesty International. Nel corso della manifestazione si potranno vedere episodi televisivi in webstreaming: un corto sulla gioia e l'energia dei ragazzini che pedalano nel deserto rosso su vecchie biciclette messe insieme con i rottami della discarica; e due documentari sul che fare per fermare un gigante minerario nel Kakadu National Park, e su una donna che decide di tornare a vivere nel bush, dopo una vita da "europea". Insomma, l'occasione di vedere dei film appassionanti, visivamente splendidi, e che costringono a prendere posizione.
Daniele Passanante da http://magazine.libero.it
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