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ABOLIRE LA CASSA INTEGRAZIONE PER UN WELFARE UNIVERSALE
Abolire la Casssa integrazione introducendo forme di welfare comprensive per tutti i cittadini: questa è l'ipotesi che viene in mente leggendo i dati sulla disoccupazione recente della crisi economica:
La discussione sulla recessione economica continua a eludere un punto decisivo: il fatto che la contrazione occupazionale sia molto più forte nel lavoro autonomo che nel lavoro dipendente. Si tratta di una tendenza già chiara sin dal 2010 per una categoria di lavoratori che è cambiata moltissimo negli ultimi dieci anni e presenta ora una dualità crescente tra i grandi professionisti già affermati e i nuovi, esposti a una forte competizione. Una polarizzazione rispecchiata anche dai dati su reddito e consumi. Chi darà voce a questi piccoli invisibili?
di Costanzo Ranci* (lavoce.info)
In un dettagliato post (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/09/lavoro-autonomo-chi-dara-voce-a-questi-invisibili/287942/)si spiega: la contrazione occupazionale è molto più forte nel lavoro autonomo che nel lavoro dipendente. Si tratta di una tendenza già chiara sin dal 2010, quando, secondo i dati dell’Archivio statistico delle imprese attive dell’Istat, il decremento fu del 4,7 per cento per gli indipendenti contro il -1,5 per cento dei lavoratori dipendenti, con una forte concentrazione della crisi nelle microimprese (sino a 9 addetti) con tassi di contrazione pari al 15 per cento. Il trend appare confermato anche recentemente: la rilevazione dell’Istat sulle forze di lavoro registra, nel primo trimestre 2012, una contrazione occupazionale del 2 per cento per gli autonomi e un leggero aumento dello 0,2 per cento per i lavoratori dipendenti.
Nel lavoro autonomo è cresciuta negli ultimi anni quella componente del lavoro precario giovanile e femminile che costituisce la prima vittima nelle fasi recessive. Inoltre, la contrazione nei consumi ha massicciamente colpito una quota importante del lavoro indipendente tradizionale, costituito da commercianti al dettaglio, artigiani e microimprenditori. Infine, la recessione del settore edilizio ha colpito un settore in gran parte costituito da lavoratori indipendenti e da microimprese.
Si tratta di oltre 100mila lavoratori che hanno interrotto la loro attività non potendo contare su alcuna forma di protezione sociale e di sussidio contro il rischio della disoccupazione: cittadini esclusi dal nostro sistema di welfare, la cui occupazione è totalmente dipendente dall’andamento del mercato in cui operano, di fronte alle cui fluttuazioni non hanno alcuna difesa se non la loro capacità di reinventarsi, l’aiuto prestato dalla rete familiare (sempre più stretta e debole), il patrimonio eventualmente messo da parte.
Siamo di fronte a un cambiamento importante: se per diversi decenni il lavoro autonomo ha costituito nel nostro paese un importante ammortizzatore sociale (consentendo di assorbire una quota elevata della disoccupazione attraverso forme di autoimpiego), oggi costituisce un’attività esposta a forte vulnerabilità e alla destabilizzazione. Puntualmente rilevata anche nei sondaggi di opinione, dove le “partite Iva” costituiscono spesso la categoria sociale più colpita da ansie e incertezze e di conseguenza più estranea alla politica.
LA DUALITÀ DEGLI AUTONOMI
La crisi rivela dunque alcuni aspetti ancora trascurati del nostro sistema occupazionale, che solo recentemente si vanno scoprendo sulla base di dati puntuali. In Italia, circa un quarto dell’occupazione (24 per cento) è composto da lavoratori autonomi, pari a 5,7 milioni di persone: una quota quasi doppia alla media dell’Unione Europea. Questi lavoratori sono cambiati moltissimo negli ultimi dieci anni: i lavoratori in proprio tradizionali hanno gradualmente lasciato il posto a professionisti, tecnici del terziario avanzato, piccoli imprenditori forniti di elevato know-how tecnico, lavoratori manuali dei servizi a basso costo. I lavoratori autonomi si sono individualizzati (quasi tre quarti operano su base individuale), femminilizzati (la quota femminile si sposta dal lavoro familiare a quello professionale), istruiti e ringiovaniti. In linea generale, le differenziazioni interne a questo mondo sono aumentate fortemente, provocando una progressiva dualizzazione del lavoro autonomo. Da un lato, si collocano i grandi professionisti già affermati nel loro mercato di competenza, i piccoli imprenditori di successo, i nuovi tecnici operativi nei settori emergenti. Questi godono di redditi e patrimoni elevati, accresciuti grazie a regimi contributivi e fiscali assai compiacenti. Dall’altro lato, emergono i nuovi professionisti del terziario avanzato esposti a una forte competizione, i piccoli commercianti e gli artigiani che operano in settori o territori sempre più di nicchia, la massa crescente dei lavoratori autonomi con mansioni fortemente manuali, vittime delle esternalizzazioni cominciate negli anni Novanta.
(da il fatto quotidiano.it)
Non sarebbe il caso forse di passare a forme di assistenza universali per chi perde il posto di lavoro,(e per chi non lo ha mai avuto) sia esso dipendente, autonomo o pseudoautonomo?
Di questo, che pure sarebbe, oltre che giusto, anche semplice da realizzare e in linea con il welfare degli altri stati del nord Europa, non ne parla nessuno, nè le grigie forze politiche dello sfacelo italiano, nè i sindacati italiani anche loro fondamentalmente corrotti nella loro essenza.
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