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711 ECOLOGISTI UCCISI NEGLI ULTIMI 10 ANNI
Global Witness, una Ong che si occupa dei diritti umani legati allo sfruttamento delle risorse, ha raccolto in uno sconvolgente dossier intitolato "A Hidden Crisis?" i dati sugli assassinii di attivisti ambientali e dei diritti umani, giornalisti e leader delle comunità indigene che difendono i diritti alla terra e le foreste, una vera e propria cruda e crudele conferma di quanto sia spietata la lotta per l'accesso e il possesso delle risorse naturali. Il rapporto ricorda che «E' un ben noto paradosso che molti dei Paesi più poveri del mondo ospitino le risorse che guidano l'economia globale. Ora, mentre la corsa per assicurarsi l'accesso a queste risorse si intensifica, sono i poveri e gli attivisti a trovarsi sempre più si trovano in prima linea». Il rapporto rivela che per motivi "ambientali" negli ultimi 10 anni nel mondo sono state assassinate almeno 711 le persone, più di una alla settimana. Nel solo 2011 il bilancio è salito a 106 persone, raddoppiando quasi gli omicidi degli ultimi tre anni.
Global Witness con "A Hidden Crisis?" vuole ricordare alla Conferenza sullo sviluppo sostenibile "Rio+20" «Una crisi nascosta della tutela ambientale, evidenziando una cultura diffusa di impunità attorno a quyesto tipo di violenza, la mancanza di informazione, segnalazioni o monitoraggio del problema a livello nazionale ed internazionale e il coinvolgimento dei governi e del settore privato nazionale ed internazionale in molti omicidi». Billy Kyte, campaigner di Global Witness spiega che «Questa tendenza evidenzia la sempre più agguerrita battaglia globale per le risorse e rappresenta il più allarmante richiamo per i delegati di Rio. Più di una persona a settimana è stata uccisa per aver difeso i diritti alla terra e alle foreste». Il rapporto, frutto di consultazioni con le comunità locali, Ong, università e di una raccolta di database on-line, rivela: «Un'allarmante mancanza di informazioni sulle uccisioni in molti Paesi, e non il monitoraggio internazionale ad ogni livello. Queste cifre sono probabilmente una sottostima grossolana della portata del problema; Gli omicidi sono aumentati nel corso dell'ultimo decennio, più che raddoppiati negli ultimi tre anni; Una cultura dell'impunità pervade questo settore, con poche condanne comminate contro gli autori».
Il Paese con il più alto numero di omicidi di ambientalisti, giornalisti ed attivisti indigeni è proprio il Brasile dove si sta tenendo Rio+20, seguito da Perù, Colombia e Filippine, «In questi e altri Paesi (Cambogia, Repubblica democratica del Congo, Indonesia), ci sono preoccupazioni riguardo al coinvolgimento del settore privato nazionale ed estero nelle uccisioni dei difensori» - sottolinea Global Witness - Con l'aumentare del consumo a livello mondiale, la battaglia per l'accesso alla terra, alle foreste ed alle altre risorse naturali si sta intensificando con risultati mortali». Chi cerca di denunciare il land grabbing ed il saccheggio delle risorse naturali viene spesso punito con la violenza, gli sgomberi forzati e gli omicidi. Secondo "A Hidden Crisis?" «Gli omicidi hanno preso una varietà di forme, tra cui gli scontri tra le comunità e le forze di sicurezza statali, le sparizioni seguiti da morti confermate, le morti in custodia o gli omicidi mirati di una o più persone». Il rapporto descrive alcuni casi come quello di Eliezer "Boy" Billanes, un leader comunitario delle Filippine che lottava contro una nuova miniera di rame nuovo e progetto di estrazione di oro, che nel 2009 è stato ucciso da due sicari in sella di una motocicletta, mentre comprava un giornale. Billanes pochi giorni prima aveva denunciato di essere stato minacciato dai militari.
E' invece più recente, il 26 aprile di quest'anno, l'uccisione di Wutty Chut, direttore del Natural resource protection group della Cambogia, freddato dalla Polizia militare cambogiana mentre effettuava indagini sulla deforestazione e gli espropri illegali. Global Witness dice che «L'inchiesta governativa sulla sua morte è stata aperta e chiusa in tre giorni. Nessuno è riuscito a sapere come e perché Chut sia stato ucciso, intanto il governo a vietato qualsiasi indagine indipendente sullo sfruttamento delle risorse naturali della Cambogia. Global Witness sottolinea: «Se questo problema non viene affrontato con urgenza, è destinato a peggiorare, in particolare in quanto possiamo aspettarci maggiori investimenti in Paesi con un debole Stato di diritto e dei diritti di proprietà fondiaria. Questo significa conflitti più violenti sui progetti di investimento e controversie sulla proprietà della terra, con conseguenze potenzialmente tragiche».
I fattori che contribuiscono a questa strage continua e ignorata sono: «L'aumentare dell' agribusiness, delle concessioni minerarie, dell'idroelettrico e delle controverse iniziative per la terra e le foreste; La proprietà della terra nelle mani delle élite con forti connessioni tra governi e business; Grandi popolazioni di cittadini relativamente poveri e diseredati, che dipendono dalla terra o dalle foreste per il loro sostentamento». Il rapporto chiede ai governi che garantiscano che «I cittadini preoccupati per come i terreni e le foreste vengono gestiti siano messi in grado di parlare senza timore di persecuzioni e che i progetti di investimento e gli accordi sulle terre e le foreste siano aperti e leali. Questo significa cercare un consenso libero, preventivo e informato delle comunità toccate, prima che le offerte vengano approvate. Deve essere garantito anche il ricorso alla giustizia per gli assassinati». Kyte conclude: «La comunità internazionale deve smettere di perpetuare questo circuito vizioso per le foreste e i terreni. Non è mai stato tanto importante proteggere l'ambiente e non è mai stato più mortale».
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