DIARIO GENOVESE Per non dimenticare
luglio 2001
E' passato poco più di un mese dall'incubo di Genova e ancora non mi do' pace, ne risento gli effetti soprattutto psichici ed emotivi. E' a Genova che penso al mattino quando mi sveglio. E' Genova che mi accompagna la sera alla soglia del sonno. Sonno agitato, sogni ricorrenti, bruschi risvegli. E' Genova il mio pensiero fisso durante il giorno, che si intrufola ancora costantemente nella mia mente in questo fine agosto assolato, in queste notti di calma estiva qui in campagna, in compagnia dei grilli. No, la mia mente, il mio cuore, il mio tutto non è andato in vacanza, ha voluto continuare ad esserci a Genova, mentalmente, sempre presente, per non abbassare la guardia della memoria, degli avvenimenti, di quanto accaduto, di questa pagina nera della storia italiana. Esserci a Genova, era questo che volevo, e non mi sono infatti preoccupata di eventuali, probabili problemi, disagi, pericoli. Nella mia testa c'era solo la voglia di stare insieme a tutti gli altri e le altre che sarebbero stati lì per il mio stesso scopo: essere in tanti per dare una misura, anche quantitativa, del nostro dissenso a questa ostentazione di forza, di arroganza, di prevaricazione che è ormai diventato il G8. Sentivo che queste giornate sarebbero state come uno spartiacque nella mia vita ed in quella della società. Nulla sarebbe stato più come prima, ma nel senso positivo: le nostre istanze sarebbero state prese d'ora in poi molto più sul serio, l'economia mondiale, le risorse, le politiche avrebbe preso la piega giusta, in direzione di un mondo solidale, pacifico e sostenibile. Già, era proprio questo quello che pensavo e volevo esserne parte attiva.
Ho tenuto un diario scritto e fotografico dei miei giorni a Genova, per uso personale innanzitutto, per non perdere nemmeno un filo di quanto visto, di quanto accaduto, dei miei pensieri e sentimenti, e anche per poterne fare testimonianza e averne documentazione. Quello che è passato sui media è stato, come al solito, l'aspetto più cruento, tragico, sensazionalistico degli avvenimenti. E' stato del tutto ignorato il vero volto, le vere intenzioni, le vere aspettative di chi ha organizzato e partecipato al controvertice. Ritengo invece necessario, anzi, indispensabile, raccogliere documenti, foto, video, testimonianze, resoconti, articoli e quant'altro della nostra realtà per lasciare a coloro che verranno, alla storia, l'"altra verità", la nostra.
Metà di me era a Genova per motivi professionali perché giornalista freelance ambientale, l'altra metà perché non potevo non esserci visto che ho vissuto una vita intera a diffondere e praticare concretamente ciò di cui si stava discutendo lì, sia nei Public Forum del Global Social Forum, sia nei colloqui dei cosiddetti "grandi della terra". Che fastidio mi da' sentirli chiamare in questo modo!! Ma no, forse è vero, sono veramente dei grandi: grandi sfruttatori, grandi bugiardi, grandi ipocriti, grandi mistificatori, grandi egoisti, grandi assassini. Questa è la loro vera grandezza.
Man mano che si avvicinava il giorno della partenza per Genova, si assottigliava il numero delle persone che avrebbero dovuto far parte del mio gruppo. Razionalmente non potevo dar loro torto, bisognava veramente essere straconvinti e stracaricati idealmente per mettersi in un viaggio in cui le uniche certezze erano il disagio estremo, la precarietà, la fatica.
Mercoledì 18 luglio 2001 Eravamo in sei alla partenza da Firenze, in rappresentanza di noi stessi, prima di tutto. Il viaggio di tre ore e un quarto è durato invece 5 e mezzo causa inizio strategia governativa di rompere le palle il più possibile ai manifestanti (ora si potrebbero chiamare più esattamente "dissidenti", visto il regime che si è instaurato in Italia). Ci sentivamo un po' come ragazzini in gita scolastica. Abbiamo pensato le frasi da scrivere sui cartelli che poi abbiamo indossato giovedì pomeriggio al corteo dei migranti, il primo e ahimè, l'unico svoltosi serenamente in un clima di gioia e solidarietà fraterna.
Qualche giorno prima di partire avevo inviato un messaggio di posta elettronica al Global Social Forum per comunicare la mia partecipazione come giornalista freelance in rappresentanza delle testate "alternative" con le quali collaboro. Non erano passate nemmeno due ore e il mio cellulare comincia a fare le bizze, ma ovviamente non collego i due fatti. Arrivata a Genova il mio cellulare continua a fare i capricci mentre quello dei miei compagni no. Comincio ad insospettirmi. Può essere vero ciò che si legge sui giornali del ventilato oscuramento di alcuni cellulari?
Il tempo è grigetto, meglio così, diciamo, altrimenti il pieno sole ci avrebbe sfiancato di più. Abbiamo gli zaini carichi di cibo e bevande per l'autosopravvivenza perché, come ci avevano preavvertiti, tutti i negozi erano chiusi, e non solo i negozi, ma anche finestre, portoni, cancelli. C'è stato un fuggi fuggi (volontario?) in massa dei genovesi, da mesi martellati da informazioni fuorvianti relative ai pericoli ai quali sarebbero andati incontro se fossero rimasti in città all'arrivo dell'orda dei barbari manifestanti (noi).
Contrariamente a quanto segnalato dai giornali e dai tg della sera prima, Brignole è chiusa ed arriviamo quindi a Genova Quarto. L'associazione di idee è troppo forte. Da qui son partiti in mille, guarda caso con le camicie rosse, per unire l'Italia. Dopo poco meno di 150 anni siamo ancora qui, con ancora il colore rosso dominante, per batterci per un'unità mondiale di solidarietà e di pace. Genova si vede che ha questa vocazione!! Con l'autobus arriviamo a Piazza Rossetti, la piazza tematica riguardante l'ambiente, l'agricoltura, i consumatori, i Verdi ecc. Il tendone dell'Aiab è il più gettonato perché lì danno da mangiare e bere (e noi con gli zaini pieni di roba!!). La pioggia fa la sua comparsa non gradita ed abbassa di molto la temperatura che è quasi autunnale, governo ladro! I Public Forum sono organizzati sul lungomare, a Punta Vegna, con incontri, dibattiti, gruppi tematici, conferenze stampa. Si è fatto il punto della situazione a livello mondiale dei vari argomenti trattati, salute, povertà, agricoltura, commercio equo solidale, diritti umani e civili, il debito finanziario, ambiente ecc. Seguiamo con attenzione alcuni incontri, vediamo di persona il famoso Bovè, con la sua inseparabile pipa, la mucca Carolina in carne e ossa, anch'essa divenuta simbolo mediatico, tante facce conosciute sia fra i relatori sia fra gli spettatori. I tendoni sempre stracolmi, i temi seguitissimi, gli interventi spesso sottolineati con applausi di approvazione, alcune testimonianze commoventi. Mi chiedo però, a chi è venuto in mente di mettere dietro al tavolo degli oratori le gigantografie di Bush e Berlusconi? Perché mai sono costretta a trovarmeli davanti agli occhi anche in questa occasione e anche sulle foto che scatto? Anche dopo cena assistiamo per un po' al Forum sul controllo della finanza ma poi decidiamo di cominciare a dirigerci verso l'ostello, (che è situato molto distante, in collina, sulla panoramica, a Righi). Ero riuscita a prenotare gli ultimi sei posti liberi, visto che la scuola che era stata dapprima assegnata dall'amministrazione comunale di Genova agli occupanti della piazza tematica, Piazza Rossetti, era stata negata un giorno prima dell'inizio di tutta la manifestazione, alla faccia della collaborazione con il GSF sventolata dal governo!
Giovedì 19 luglio 2001 Al mattino assistiamo al Tribunale sui grandi crimini di questo ordine mondiale. Al ristoro attrezzato con tendoni e panchine per picnic facciamo fuori i viveri portati da casa e alle 14,30, dopo aver indossato i nostri cartelloni, ci dirigiamo verso Piazza Sarzano, punto di ritrovo del primo corteo dell'antiglobalizzazione, il corteo internazionale dei migranti. Partenza prevista ore 17. Nel frattempo ci gustiamo lo spettacolo che ci offre la piazza. La creatività degli striscioni, i colori, l'abbigliamento dei dimostranti, la fantasia degli slogan fanno da padroni nella piazza che si sta via via riempiendo e che alla fine si rivelerà troppo piccola per contenere tutte le persone giuntevi. Fanno comparsa bandiere già conosciute, rosse, verdi, rosse e nere, l'immancabile evergreen del Che, e la bandiera del "quarto stato", il famoso quadro di Pelizza da Volpedo. Arriva uno striscione, che riscuote il riso e l'applauso di tutti, raffigurante tante belle mutande. Certo Berlusca se l'è proprio cercata...... Erano previste poche migliaia di persone e invece eravamo in 50.000! Se tanto mi da' tanto, al corteo di sabato arriveremo a 200.000 o più. Ci inseriamo nel gruppo della rete di Lilliput, partiamo con più di mezz'ora di ritardo e prima di prendere un ritmo di marcia regolare passa ancora del tempo. I miei amici fremono perché in serata devono riprendere il treno per tornare a Firenze e vorrebbero partecipare almeno un po' al corteo. Ci sono extracomunitari, ma non tanti quanti mi aspettavo. Il perché me lo spiega una signora. "A Padova, mi dice, due mesi dopo una manifestazione di protesta organizzata da immigrati, dei partecipanti non ne è rimasto in Italia nemmeno uno. Con una scusa o un'altra sono stati tutti rimpatriati." Questa è la libertà che si può esprimere in una democrazia occidentale quale è l'Italia! Nel corteo spunta un uomo che regge in alto con le mani una foto incorniciata di Sandro Pertini e grida "se fosse vivo sarebbe qui a manifestare con noi". Applausi scroscianti. Un altro personaggio sfila sotto forma di foto, è papa Giuliani, ucciso perché "anche lui stava dalla parte dei più poveri e deboli" così urla a perdifiato il suo sostenitore. Camminiamo lentamente scandendo slogan che immediatamente formano lo spirito di gruppo, ti senti veramente di essere fisicamente e psichicamente unita al tuo vicino, a chi ti sta dietro, davanti, di fianco, come un corpo solo, una voce sola, un cuore solo che batte per tutti. "No, no, no, col G8 non ci sto", "Berlusca, babbeo, beccate 'sto corteo" urla un romano a perdifiato gonfiando le vene del collo. "Cittadini che state a guardare, venite giù in piazza a dimostrare" ma di cittadini nemmeno l'ombra. Sfiliamo fra due ali di case con portoni, balconi e finestre serrate. A volte intravvedo qualcuno dietro i vetri, dietro le tende, timoroso perfino di stare a guardare e sparisce appena scoperto. Qualche volta, soprattutto donne anziane, ci applaudono, anzi ci applaudiamo a vicenda. Chi appare poi alla finestra o al balcone sventolando le "mutande" riceve ovazioni a scena aperta! Il mio cartello suscita tanti sorrisi di compiacimento e approvazione da parte degli altri manifestanti. Ne sono fiera. Ci sono due scritte: la prima: G8 tutti a(l) mare! e l'altra: G8 CaGas8. L'atmosfera è decisamente festosa, una fisarmonica intona Bella ciao e ci vien voglia di ballare mentre cantiamo gioiosi. Ecco che da un balcone appare un giovane che regge in mano una grande foto incorniciata di Che Guevara, bello come il sole, si alza un'ovazione titanica. Sono percorsa da brividi per tutto il corpo, mi si stringe il naso e la vista mi si annebbia dalla commozione. L'acustica del tunnel che attraversiamo potenzia l'emozione che le nostre voci sprigionano: "el pueblo, unido, jamàs serà vencido, el pueblo, unido, jamàs serà vencido, el pueblo unido, jamàs serà vencido......."
Sono ore che camminiamo, ma chi è che ha scelto il percorso? Perché ci vogliono sfiancare fin dal primo corteo? Sono già le sette e non siamo nemmeno arrivati al lungomare. Mi si affianca un uomo con un ragazzo, ma guarda chi è, Renzo Garrone, uno dei primi storici redattori di Aam Terra Nuova. Quanti anni son passati, eravamo agli inizi degli anni '80, ti ricordi Renzo, gli dico, quando lavoravamo insieme al giornale, a casa mia. La stanchezza comincia a farsi sentire pesantemente. Per niente allenata vado avanti solo con la forza di volontà, le gambe sono dure come legni. Alla fine del corteo, alle otto e trenta mi abbandono finalmente su una sedia in piazza Rossetti. Un mio amico mi allunga due fette di pane col pomodoro e zucchina. Non faccio a tempo nemmeno a finire il panino che all'improvviso eccoti nuovamente la pioggia, come la sera prima. Ma il tempo da che parte sta? Si è comprato perfino quello il nostro ducetto a 64 denti?
Aspetto che spiova per più di un'ora sotto il tendone dell'Acu, ma inutilmente. Mi avvio perciò alla fermata dell'autobus per andare in piazza Verdi, a Brignole a prendere l'altro bus che mi condurrà all'ostello. Aspetto, aspetto, quando arriva non si ferma perché già stracarico. Anche stasera gambe in spalla e a piedi verso Brignole. A letto non riesco a prender sonno dalle proteste che mi salgono dai miei piedi a mo' di fitte lancinanti. Alla fine la stanchezza vince e mi addormento.
Venerdì 20 luglio 2001 I sandali sono ancora bagnati, cosa mi metto? Ho solo le ciabattine, e indosso quelle. Oggi è un giorno importante. I vari gruppi di affinità si riuniscono nelle rispettive piazze, già concordate, per arrivare e manifestare davanti le barricate metalliche che chiudono la zona rossa. Ovviamente scelgo piazza Manin, la piazza destinata alla rete Lilliput, Legambiente, alle donne ecc. Scenderemo per via Assarotti per poi fare una dimostrazione simbolica con un sit-in pacifico e silenzioso. In piazza Manin, gazebo, mostre antiglobalizzazione, magliette e libri in vendita. Insomma la classica atmosfera e look visti tante volte nelle piazze italiane quando si riunisce il mondo ambientalista e pacifista. Nulla, proprio nulla, dava a intendere quello che poi sarebbe avvenuto. Giro per i banchi, fotografo, parlo, mi siedo su un panchina al sole mattutino per leggermi il Manifesto. Sì c'era perfino l'edicola aperta e anche un forno. Faccio la coda, più di mezz'ora per prendere due pezzi di focaccia. Sono stufa di mangiare sempre biscotti e frutta secca che mi son portata da casa.
La partenza del corteo, prevista per mezzogiorno, viene rimandata perché, come mi spiega il coordinatore del gruppo Lilliput, la polizia si è schierata davanti alla rete e non al di là, come era stato già concordato. Ci sono dei parlamentari a trattare. Lui stesso chiama al cellulare Mortola, capo della digos genovese, per protestare. Legambiente stende per terra lungo la via Assarotti uno striscione con varie scritte, alcune decine di palloncini colorati cercano di tirar su un altro striscione. Dalle donne della rete di Lilliput mi faccio disegnare, con la calce e vinavil mischiati, dei simboli bianchi sul viso. Tira un po' la pelle all'inizio ma poi mi ci abituo. Ho indosso, orgogliosa, la maglietta bianca del Global Social Forum con la scritta: Voi G8. Noi 6.000.000.000 comprata il giorno prima (e che ora tengo in camera, a vista, quasi come un cimelio). Poteva mancare l'inventiva napoletana anche in questa circostanza? Un anziano, pittoresco napoletano verace gira per la piazza a vendere fischietti e campanacci. Ecco le ultime istruzioni date al megafono prima della partenza. Per il primo tratto di strada si può far rumore, cantare, fischiare, ballare, scandire slogan, man mano che ci si avvicina alla "barricata della vergogna" i toni devono smorzarsi. Il sit-in programmato a una decina di metri dalla rete deve essere perfettamente silenzioso. All'una partiamo da piazza Manin verso via Assarotti, una strada in discesa. Si ripetono le stesse scene del pomeriggio prima, per ogni mutanda stesa, per ogni finestra o balcone con una bandiera rossa al vento, applausi scroscianti. La Tammuriata nera alla fisarmonica, tamburelli, chitarre e altri canti. Poi, per far felici gli inviati delle tv straniere, davvero numerosi, tutto il gruppo di Lilliput si ferma, si accuccia a terra silenzioso, e, dopo il passaggio veloce sopra le nostre teste del grande striscione che copre tutta la larghezza del corteo, ci alziamo di slancio gridando e facendo vibrare in alto tutte le mani dipinte di bianco. E questo per diverse volte e sempre con gioiosità e spensieratezza senza minimamente presagire quello che sarebbe successo di li a poco. Vediamo chiaramente i celerini appostati, una parte addossati alla rete, altri una quindicina di metri prima. Ci fermiamo a debita distanza, in silenzio. L'aria adesso è carica di un'altra vibrazione, no, non di paura, ma di estrema attenzione a non fare nessun passo falso, a non fare alcunché che possa essere di disturbo o equivocato e che possa scatenare reazioni da parte della polizia. La nostra logica è che se noi non provochiamo loro non reagiscono, così tutto filerà liscio, noi avremo fatto la nostra dimostrazione pacifica e loro avranno svolto il loro compito. Ci vien detto che sarà permesso di avvicinarsi alla rete soltanto ad una delegazione di 50 donne che potranno sfilare in fila indiana davanti la rete. Io sono fra quelle. Scendiamo lateralmente al corteo, in fila indiana, tenendo le mani sulle spalle della compagna che ci precede. Giungiamo alla rete cantando dolcemente, quasi a mo' di ninna nanna "siamo la luna che muove le maree, cambieremo il mondo con le nostre idee....., siamo la luna che muove le maree, cambieremo il mondo con le nostre idee......" Viene legato alla rete un filo con appese diverse mutande e indumenti da donna, senza commenti, senza applausi. Sembra che stiamo recitando un copione, che stiamo rappresentando uno spettacolo. Una donna comincia a battere lievemente sulla rete, quasi per saggiarla. Provo anch'io, fa male alle mani, facciamo poco rumore, ma continuiamo a battere la rete e a cantare sommessamente, siamo la luna .... Scatto varie foto alla zona rossa, c'è un idrante in bella vista, i furgoni corazzati, cerco di guardare negli occhi questi uomini, questi ragazzi. Mi domando se avrebbero davvero il coraggio di attaccarci, di farci del male... Uno dei poliziotti, passata la cinquantina, che sta vicino alla rete, mi dice con accento meridionale, "meno male che ci siete voi donne..." Ci fanno segno poi di tornare su a raggiungere gli altri dimostranti che sono rimasti a guardarci tranquilli, seduti per terra. Scatto altre foto ai poliziotti, anche a quello che mi sembra il loro capo, il più imponente, dall'aspetto più severo. Hanno una divisa che da sola mette paura, mi vengono in mente i robot coi quali da piccino giocava mio figlio. Il capo si allontana. Mi avvicino ad un gruppo di giovani poliziotti e comincio a parlare, non mi ricordo neppure di cosa. Mi rispondono a monosillabi, si capisce che hanno l'ordine di non familiarizzare con noi. Torno su accanto allo striscione della rete di Lilliput. Nel mentre una donna si avvicina al coordinatore dicendo che c'è un gruppo di stranieri che vorrebbe passare da lì per poi dirigersi in una piazzetta che c'è verso il fondo di via Assarotti, di lato. Il sit-in quindi si sposta ai lati della strada per lasciar passare questi ragazzotti e ragazzotte molto chiassosi, allegri, colorati, esuberanti, variopinti. Scatto un paio di foto e mi finisce il rullino. Sento intanto una vocina dentro che mi dice: "ora va via, hai fatto quello che volevi, volevi toccare la rete, fotografarla, parlare coi poliziotti, dimostrare pacificamente ora allontanati, vai via". Mi incammino in su, di nuovo verso piazza Manin da dove era partito il corteo. Per riposarmi mi siedo sui gradini di un portone accanto a due donne, una all'incirca della mia età e l'altra, probabilmente sua figlia. Sento che parlano con l'accento genovese. Finalmente ho l'occasione di un contatto diretto. Dico chi sono, cosa faccio lì ecc. Sono incazzatissime contro le barriere e quindi avrebbero preferito una dimostrazione più vigorosa da parte nostra e infatti sono un po' deluse dal nostro comportamento troppo pacifico. Si rammaricano che i genovesi sono andati tutti via, sarebbero stati utili ai dimostranti anche per aiutarli a districarsi in mezzo alle stradine, le scorciatoie.. Loro, mi dicono, sono in grado di passare dalla zona gialla a quella rossa senza passare dai controlli. Mi fa presente che l'ostello è sorvegliatissimo, ci sono 240 della Folgore di Pisa alloggiati, anzi, nascosti, presso il convento degli ex frati, su pressione di Tettamanzi (ndr l'arcivescovo di Genova). Hai visto la Chiesa, da un lato ufficialmente si schiera con noi del GSF e dall'altro aiuta la controparte!
Espongo che vorrei fotografare la barriera più vicina possibile a Palazzo Ducale. Mi spiegano come arrivarci, anzi, dice la madre, l'accompagno io per un po'. Così ci alziamo tutte e tre e torniamo giù verso la rete di via Assarotti per poi svoltare verso una via laterale. L'avevamo appena imboccata quando sento dietro di me un boato e vedo tutti che corrono in su. Non riesco nemmeno a capacitarmi di cosa possa essere successo per aver fatto reagire la polizia con una carica e comincio a correre anch'io. Vedo socchiuso un cancello, cerco di infilarmici dentro ma un signore anziano me lo chiude in faccia dicendomi, no, non posso. Le gambe mi tremano, sembrano di panna e non vogliono più muoversi. La signora genovese mi prende per mano e mi conduce in pochi secondi in un posto dove non c'è proprio nessuno ed è tutto tranquillo. La seguo giù per delle scale, ancora scossa anche se il pericolo immediato è passato. Mi rendo perfettamente conto di non essere tagliata per fare la reporter di guerra. La mia mente, il mio cuore, la mia lingua sono coraggiosi ma non posso dire altrettanto delle mie gambe e delle mie viscere! Da lontano la signora mi fa intravvedere un'altra barriera metallica dove non c'è nessuno, né polizia né dimostranti. "Vede quel muro la' di fronte, ecco quella è già zona rossa e basta un niente per arrampicarcisi su, un gioco da ragazzi. Sì, è un vero peccato che i genovesi se ne siano andati, potevano esservi molto utili" Ringrazio sentitamente e ci lasciamo. Mi ritrovo da sola, completamente da sola, giro lo sguardo intorno e non c'è anima viva, nemmeno quella di un poliziotto. Mi sembra di star vivendo dentro ad un film di Bergman. All'inizio prendo questa situazione un po' troppo alla leggera. Mi dico, va bene, vuol dire che oggi farò la turista, ho Genova tutta per me, senza auto, senza persone, quando mai mi si ripresenterà un'occasione simile?! Fotografo piazza Brignole deserta, mi dirigo verso piazza Verdi, alla stazione Brignole, circondata da doppie file di containers e poliziotti a tutto spiano. Mi guardo in giro, curioso, fotografo, parlicchio con i poliziotti dei posti di blocco. Dopo qualche minuto vedo che a turno entrano nei blindati e ne escono con le mitragliette dei lacrimogeni e indossano le maschere antigas. Da lontano infatti si cominciano a vedere gruppetti di persone che si stanno avvicinando verso di noi. Sono sicuramente i partecipanti al corteo che sono stati dispersi dalla carica. E' ora che me ne vada, mi dico, non voglio proprio per niente trovarmi in un'altra situazione di pericolo. Imbocco via San Vincenzo, passo per via Galiata, piazza Colombo, incontrando un paio di residenti. Una signora tedesca che vive da anni a Genova mi dice che stamani è uscita normalmente per andare a lavorare nella zona gialla e si è vista sbarrare le strade dai containers, posizionati durante la notte senza preavviso alcuno per la popolazione. Giungo a una delle barriere di via XX Settembre, la via principale che porta a Palazzo Ducale, sede dei lavori del G8. Qui c'è anche un metaldetector. Si vede che siamo vicini al cuore della zona rossa. Proseguo nel mio giro "turistico" con l'intenzione ora di dirigermi verso la Fiera, verso Piazza Rossetti, là so che c'è il ristoro, i gabinetti chimici e altre persone vive, umane. Mi imbatto, vagando, in un'altra barriera dove riparati dal sole, sotto una piccola galleria, ci sono poliziotti a cavallo. Li fotografo proprio nel mentre che, scalpitando, se ne stanno andando via. Mi ritrovo in uno spiazzo dal quale si dipartono larghe vie, deserte. Dall'aspetto dei palazzi, questa zona potrebbe essere la city di Genova, il cuore degli affari. Attraverso strade, incroci, piazze senza badare ai semafori, tanto chi passa?
E' a dir poco inquietante ritrovarsi da sola per ore, senza incontrare nessuna anima viva, senza nessuno a cui chiedere informazioni. Mi sono limitata, finora, di bere perché poi dove andavo a fare pipì? Che stupida, mi dico, basta qualsiasi aiuola, tanto chi ti vede? Mi sembra di vivere "un day after". Ho sempre detto che non voglio sopravvivere a nessuna catastrofe e adesso, invece, la sto vivendo in diretta, non al cinema. E' come se, appunto, l'umanità fosse scomparsa dalla faccia della terra e che io sia l'unica sopravvissuta che vaga senza sapere dove andare, cosa è accaduto al resto degli esseri umani...... Chissà a quante persone una situazione del genere farebbe scattare una crisi di panico! Ma io non ho proprio paura, ma una sensazione di irrealtà, incredulità, disagio, di pericolo incombente. Un pensiero si insinua nella mia testa e mi rimbomba dentro dicendomi: "mariagrazia ti sei cacciata in un bel pasticcio, non hai mai avuto il senso dell'orientamento, ora come te ne tiri fuori da qui?. Sei sempre la solita incosciente, perché non sei voluta partire ieri insieme ai tuoi compagni! Ti credi di essere coraggiosa e invece hai visto come ha reagito il tuo corpo davanti al primo reale pericolo che ha affrontato?!" L'altra parte di me stessa, quella giornalista, mi dice invece: "stai vivendo una situazione irripetibile, unica davvero, la devi vivere fino in fondo per poi poterla raccontare, scrivere, documentare."
Altre rampe, altre salite, un altro posto di blocco sbarra la strada. Che faccio se non mi fanno passare e mi fanno tornare indietro. Dove vado? Mi ricordo poi che ho ancora la faccia dipinta coi segni bianchi dei pacifisti, li sento come un lasciapassare, Ma se "loro" non lo sanno, o peggio, credono che siano segni di guerra, come quelli che si vedono dipinti sui visi dei pellerossa nei film? Non ho scelta, devo rischiare, vado avanti. Sfodero tutta la mia aria disinvolta, come se stessi li a fare la turista, mi avvicino lentamente e domando a un poliziotto, quello che mi sembra il più giovane, la strada per andare verso il mare. Non è di Genova e chiede agli altri. E' metà pomeriggio e il sole è ancora implacabile. Mi indicano a grandi linee la strada e mi lasciano passare. Sono circondata da poliziotti, dietro, davanti, ai lati. Alcuni sono seduti per terra all'ombra delle due file di containers. Cammino il più naturalmente possibile, sento tutti i loro occhi addosso. Mi domando che cosa stanno pensando di me, non mi hanno neppure chiesto i documenti. Sento in lontananza un forte boato. Oh, madonnina, cosa è stato? Cosa sta succedendo nel resto della città? Vedo fumo nero che si sprigiona da diversi posti, sia in collina sia verso il mare. Saprò dopo che quei boati erano scoppi di auto incendiate. Sono sul corso Podestà e sempre dritto sarei arrivata al mare, la mia meta. Sul lungo viale alberato c'è un signore anziano seduto sulla panchina, mi avvicino, mi siedo accanto. E' genovese, non è andato via perché non sapeva dove andare. Mi racconta che poco prima ha assistito a una scena di violenza gratuita, 4 o 5 ragazzi che camminavano tranquilli sono stati picchiati dai poliziotti senza motivo. "Se vuole, continua, le faccio vedere le macchie di sangue che ci sono ancora sull'asfalto". "No, grazie, le credo sulla parola", rispondo, e me ne vado.
Proseguo, incontro due ragazzi, vestiti di nero, uno mi ferma e mi chiede se ho una bottiglia di vetro vuota. Ci sono altri ragazzi, una decina, con le bandiere di Rifondazione, che mi passano accanto. Alla rotonda di via Corsica, seduto sulla panchina incontro Giulio, dell'Acu di Venezia, che la sera prima, quando si era messo a piovere, mi aveva ospitato sotto il suo tendone in piazza Rossetti. Mi racconta della guerriglia che c'è stata in mattinata sul lungomare e davanti alla nostra piazza. Ora però pensa che sia di nuovo tutto tranquillo e che io ci possa andare.
Sono arrivata sul lungomare. Non cammino sul marciapiede assolato ma sul lato opposto, all'ombra dei containers posizionati per difendere il porto. Corso Saffi, così si chiama, è percorso incessantemente da camionette, furgoni, blindati, ambulanze, motorette di agenti in borghese, che mi sfiorano nella loro corsa, ed io sempre da sola.... La strada lascia il lungomare e piega verso l'interno. Mi trovo sullo spartitraffico che si trova in mezzo tra corso Saffi e il viale Brigate Partigiane. Non c'è nessun riparo né dal sole né dal carosello dei mezzi della polizia e dei carabinieri che sembrano si siano radunati tutti lì, gli uni alla mia destra, gli altri alla sinistra, che schizzano veloci con le sirene spiegate, tutti in direzione di Brignole. Sopra la mia testa il rombo dell' elicottero che vola basso, troppo basso... mi sento presa tra tre fuochi senza via di scampo. "Dio mio, fammi diventare invisibile, ti prego", imploro in cuor mio. Sono l'unico essere umano a vista d'occhio (a parte i poliziotti, se ancora si possono chiamare umani), l'unico bersaglio "nemico", non ci sarebbero stati nemmeno testimoni scomodi..... Piazzale Kennedy, corso Marconi, che fino alla sera prima erano animati da bandiere di mille colori, da un'umanità multietnica, da pacifici e gioiosi dimostranti, sono ora di un unico colore, carta da zucchero, quello dei blindati.
Giungo in piazza Rossetti e mi sdraio su una sedia, esausta. Alcune donne verdi danno le notizie della giornata ascoltate via radio, parlano di due morti, un uomo e una donna e una terza persona in coma e feriti a centinaia. Mi raccontano come i blindati hanno sfondato le barriere di piazza Rossetti, che la polizia stessa avevano posto. Parlano della furia devastatrice, incontrollata di questi black block che agivano indisturbati sotto l'occhio della polizia..... impassibile! E le cariche, i lacrimogeni, gli idranti, pestaggi, manganellate anche a donne pacifiche, con le mani alzate.... Sì, tutto questo era accaduto mentre io mi aggiravo da sola nelle vie di Genova deserta.
Di mezzi pubblici per tornare all'ostello, logicamente nemmeno a parlarne. Mai visto un taxi per tutto il mio soggiorno a Genova. Come fare a tornare a Righi, in collina, lontanissimo dal mare? Mi propongono di dormire lì, dentro il tendone di Aiab. No, sento che devo andar via da lì, voglio tornare su all'ostello, anche a piedi, anche se mi rendo conto io stessa che è un'impresa impossibile, dovrò camminare ore, ore, ore..... e poi, quando sarà buio, quando sarà notte, a chi chiedo la strada? Potrei telefonare all'ostello e farmi dare le indicazioni via via, penso. Il cellulare si è scaricato. Quando ti serve per davvero è sempre scarico. Le cabine telefoniche sono ormai introvabili. Sono già distrutta dall'aver camminato tutto il giorno e ho la prospettiva davanti a me di camminare per tutta la notte. Alle 19.30 la mia vocina interiore mi impone di avviarmi. Seguo il mio intuito che anche stavolta mi salva da una situazione pericolosa. Infatti se fossi rimasta a dormire dentro la tenda di Aiab al mattino avrei avuto un incontro ravvicinato con i carri armati che proprio lì, in piazza Rossetti hanno dato il meglio di se'.
Il primo grande ostacolo è quello di arrivare e oltrepassare il tunnel accanto alla stazione di Brignole, dove c'è il posto di blocco, il concentramento massimo di polizia dopo gli scontri avvenuti durante tutto il giorno. Qua e là ci sono altri passanti, singoli come me, o in coppia, quasi tutti stranieri, lo vedo dall'aspetto. Mi si affianca una ragazza sola, giovanissima, non arriva ai ventanni, biondina, dall'aria innocente, pulita, mi sembra di averla vista lassù all'ostello, ma non ne sono sicura. Mi sorpassa, cammina più spedita di me. Si avvicina al posto di blocco della stazione di Brignole, la vedo che si ferma, parla con la polizia, torna indietro. Oddio, non si passa, penso, che faccio? Vado avanti lo stesso ma neanch'io passo. Hanno appena fermato un'auto che ha tentato di forzare il posto di blocco. Torno indietro di qualche passo, sono determinata a passare, prima o poi mi lasceranno passare, mi dico incoraggiandomi. Lì non è certo un posto sicuro per starci a lungo, ma devo risparmiare le forze, non posso continuare a camminare, a girare a vuoto. Sono sfinita fisicamente, è l'istinto di sopravvivenza che mi fa resistere. Mi fermo nei pressi del blocco per una decina di minuti cercando di stare calma, di non perdere la testa, di essere invece lucida, fiduciosa. "Ne hai passate tante in vita tua, mi dico, e sei sempre stata aiutata, o dalla provvidenza, o dalla tua angioletta personale o da chi diavolo sia, supererai anche questo momento". Mi affido un'altra volta alla mia buona stella, alla quale sto facendo fare gli straordinari in questo lungo, interminabile giorno, chiedendole con fervore di farmi oltrepassare il blocco sana e salva. E così è stato. Nessuno mi ha fermata, nessuno mi ha chiesto nulla, ho attraversato tutta la piazza, passata in mezzo a loro, appostati dappertutto, in divisa, in borghese, come se fossi invisibile, indisturbata. Esco al di là del tunnel con un ringraziamento particolare, sono in via Canevari, mi sento già in salvo, non vedo né polizia, né camionette, mi sembra di rivivere, che sia finito un incubo, se non fosse per quello stramaledetto elicottero che mi ha perseguitata per 5 giorni. Corso Montegrappa, scalette, altre rampe di scale, non le conto più. Passo una piazza, c'è una specie di stazione, Genova Caselle, chiusa naturalmente. Arrivo in piazza Manin, già, la stessa piazza da dove ero partita stamani gioiosa, col corteo della rete di Lilliput e delle altre associazioni pacifiste, ambientaliste, femministe.
Ma era solo stamattina? Mi sembrava impossibile. Erano passate solo una decina di ore, ma io non ero più io, non ero più la stessa, non potevo più essere, sentire, pensare, parlare come il giorno prima, ero ferita a morte dentro, sanguinavo, nulla sarebbe stato più come prima.... Erano ancora lì, freschi, i segni della battaglia, cassonetti abbattuti e incendiati, carcasse di auto, desolazione, cartacce, rifiuti dappertutto, scritte sui muri, tante scritte..... All'improvviso, come un miraggio, scorgo il colore arancione di un autobus, mi sento rinvigorita. E' il 20, no, non va a Righi, ma mi avrebbe fatto risparmiare comunque un po' di strada. Salgo, mi siedo, uso gli ultimi sprazzi del mio cellulare per comunicare in fretta a mio figlio rassicurandolo che fisicamente non mi è successo nulla e che lo avrei richiamato appena ricaricate le batterie. Poveretto, fino a quel momento davanti alla tv, a casa, era stato preoccupato, non aveva mie notizie e non sapeva cosa pensare. E dire che mi aveva tanto sconsigliato di partire per Genova....!!
Prendo un altro bus e un altro ancora, alla fine, verso le 23, arrivo all'ostello. Siamo in pochi, molto pochi, gli altri che fine hanno fatto? Rimaniamo in piedi fin dopo le due di notte, sia per guardare le due tv locali che trasmettono in diretta e in continuazione, sia per controllare che tutti gli altri fossero tornati sani e salvi. Fra di noi si era ormai instaurato un clima di fraternità e solidarietà, persone venute da tutta Europa, di tutte le età ed estrazioni sociali, unite per testimoniare che un altro mondo è davvero possibile. Rivedo Beatrice, uruguaiana, che dorme nella stanza accanto alla mia, che ha già vissuto due golpe nel suo paese e mi confessa che nemmeno lì ha visto le cose che sono successe invece a Genova!
Come al solito non so stare zitta. Nella sala della tv faccio commenti ad alta voce, indignata, di ciò che sento nei dibattiti televisivi, da "MussoFini", come viene chiamato all'estero il Fini di casa nostra, che finalmente può dar sfogo alla sua vera natura fascista di sempre, a quel panzone strabordante di Ferrara, alla faccia, inguardabile, da Mefistofele, di La Russa. Mi si avvicina una ragazza, un'italiana, mi sussurra all'orecchio di stare zitta perché si è accorta che ci sono degli infiltrati anche lì, all'ostello. E' vero, me lo aveva detto stamani anche quella signora genovese. Me ne ero scordata! A letto, il sonno, nonostante l'immensa stanchezza fisica ed emotiva, stenta ad arrivare. Un turbinio di pensieri, di sentimenti, di immagini, di suoni mi assale in continuazione. Gli slogan del corteo si confondono col rombo degli elicotteri, con lo stridore delle gomme delle camionette, le sirene delle ambulanze. Le immagini dei palloncini colorati del nostro corteo, i visi sereni e pacifici delle mie compagne si sovrappongono alle divise dei robot-poliziotti, alle strade, alle piazze completamente deserte che avevo attraversato, all'ondata dei manifestanti che urlando fuggono dalla carica dei celerini.... Alla fine scivolo nel sonno. Il mio giorno più lungo è finito.
Sabato 21luglio 2001 Scendo dal letto e le anche non mi reggono, sono bloccate, conseguenza dello sforzo del giorno prima. Mi avvio al bagno appoggiandomi al muro del corridoio. Non sono proprio in condizioni fisiche di partecipare al grande corteo di massa per il quale decine e decine di pulman, treni da tutt'Italia stanno portando a Genova più di 200.000 persone. Penso che forse, visto quanto è successo il giorno prima, tanti si saranno messi paura e non saranno più partiti. Mi sbagliavo, sono venuti in tanti, coraggiosi, eroici direi, per portare la forza della loro testimonianza diretta. Seguo la diretta in tv e subisco, impotente, le immagini del massacro, forse ancor più terribile di quello del giorno prima. Non mi do' pace, tutto il mio essere rifiuta di accettare quello che sta avvenendo sotto i miei occhi. Mi domando incessantemente come è possibile che accada tutto ciò, che senso ha, a cosa porta tutta questa violenza, come sarà il futuro dell'Italia. Che ne sarà di noi. Siamo già nel pieno del regime fascista, mi vengono in mente i racconti di mia madre quando ero piccina.... Siamo in guerra civile, la storia si ripete, gli esseri umani non impareranno quindi mai?!
Sono distrutta, annientata e nello stesso tempo totalmente pervasa da un fuoco di ribellione, di desiderio ardente di giustizia. Mio padre mi chiamava, fin da piccina, "l'avvocata delle cause perse" perché non ho mai sopportato i soprusi, le ingiustizie, le prevaricazioni. Ho sempre detto che mi sarei fatta squartare per la giustizia e ora anche in Italia, sì, anche in Italia, un paese cosiddetto civile, avrei potuto esserlo veramente.
Domenica 22 luglio 2001 Sistemo lo zaino e decido di tornare a casa. Durante il tragitto del 40 noto che la vita a Genova sta riprendendo il suo lento svolgersi domenicale. Le edicole sono aperte, qualche pensionato si legge il giornale all'ombra, su una panchina, altri portano a spasso il cagnolino. La stazione di Brignole è aperta, ma non ci sono treni normali in partenza, son partiti soltanto quelli straordinari, la sera prima e durante la notte. Ci sono ancora diversi dimostranti in giro, in partenza, sperduti, disorientati, come zombi, incapaci, come me, di accettare l'accaduto, di darsene una spiegazione, una ragione. Piazza Verdi, antistante la stazione, ha l'aspetto normale, di sempre, come se nulla fosse accaduto. Me lo sono sognata io, forse, completamente invasa da camionette e blindati? E i containers dove sono spariti? Che fretta ha avuto il regime di far scomparire le prove dell'assedio, del massacro. I cassonetti al loro posto, nemmeno una cartaccia per terra, tutto perfetto. Da Brignole prendo il 31 per andare a Quarto, vediamo se lì la stazione funziona. Anche tutta la zona della Foce è in ordine, con eccezione dei segni degli incendi e delle vetrine infrante. Complimenti, davvero efficiente l'organizzazione dei G8. Gli spazzini, o come diavolo si chiamano adesso, hanno lavorato tutta notte per ripulire e riconsegnare la città ai genovesi che cominciano a rientrare nelle loro case. Peccato che non sono riusciti a cancellare in tempo le scritte lungo tutti i muri. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, alla Milano degli anni di piombo. Verso Quarto si vede che i netturbini non sono ancora giunti. Sembra che un tornado si sia abbattuto, disordine, sporcizia, carte, bottiglie di plastica sparse dappertutto. La navetta mi porta a Sestri Levante. 3 ore ferma per aspettare il treno che mi porta a Pisa e poi la coincidenza per Firenze. Qui, davanti alla pensilina della stazione, mentre aspetto l'autobus, passa un'auto della polizia. Mi irrigidisco. Poco dopo una sirena di un'ambulanza. Altra scossa ai miei nervi. Mi rendo conto di essere ancora sotto stress, forse ancor più di quanto non lo fossi a Genova, a scoppio ritardato. A casa arrivo a sera inoltrata, dopo 10 ore e più di viaggio.
Lunedì 23 luglio 2001 Non trovo gli occhiali, non mi era mai successo in 30 anni. Sono obbligata a starmene a casa, forse è bene, non ho ripreso pienamente controllo del mio sistema nervoso. Piango per nulla, ho i nervi a fior di pelle, ho litigato di brutto con Gabriele, mio figlio, per una cosa da nulla. Ho il pensiero fisso a Genova. Ripeto meccanicamente, mentalmente, incosciamente, come un mantra, , ... el pueblo, unido...., el pueblo, unido....
Vista con il senno di poi, tutta la vicenda di Genova, tutte le strategie messe in campo dal governo, dalle istituzioni, dai militari, ecc. il tutto ha seguito un disegno logico, studiato meticolosissimamente a tavolino e messo in atto con fredda determinazione. Nulla è stato lasciato al caso, è stata come una colossale partita a scacchi. E noi del GSF, ingenui fino all'inverosimile, siamo caduti come pere cotte in questa trappola. Tutte le assicurazioni ricevute si sono sciolte come neve al sole. Per noi una parola data è una parola data, un accordo preso è preso e non viene rimangiato un secondo prima di quando occorre che venga messo in pratica. Noi usiamo il nostro metro che è fatto di serietà, dignità, onestà e non ci viene in mente, perché non fa parte del nostro DNA, che si possa parlare con lingua biforcuta. "Sento" e quando dico "sento" mi riferisco alla mia capacità percettiva intuitiva, che chi ha veramente manovrato, orchestrato il tutto fin nei minimissimi particolari non sono stati tanto la digos, l'arma, il governo di casa nostra, che pure hanno fatto la loro parte s'intende, ma esperti, sì, chiamiamoli pure così, esperti d'oltreoceano, avvezzi da sempre a questo genere di cose.
Non so quanto tempo ci vorrà prima che io possa ritornare a Genova senza tremori. So di certo che nomi e luoghi come il Carlini, Sciorba, piazza Kennedy, piazza Rossetti, Brignole, Quarto, via Diaz mi si sono stampati dentro al cervello. Anche i vestiti che indossavo, la maglietta antiG8, lo zainetto, il cappello di paglia, le ciabattine verdi, le mandorle e le albicocche secche che mi hanno sostentato, tutto ciò mi rimarrà impresso indelebile nella mente e caro nella mia memoria, a testimonianza della mia presenza fisica in quei giorni di Genova, entrati ormai nel libro nero della storia italiana.
Martedì 24 luglio 2001 Torno al lavoro, controvoglia, nulla mi sembra abbia più importanza. Ho la sensazione che i miei colleghi siano imbarazzati dalla mia presenza. Ho voglia di starmene per conto mio, non mi va di parlare, mi si chiude la gola quando accenno a qualcosa di ciò che ho vissuto, ho visto. Porto a far stampare i miei rullini in un posto che ritengo più sicuro, non mi fido del negozio in centro dove sono sempre andata. Bene, il regime è già riuscito ad introdurmi dentro la cultura del sospetto, proprio a me che vengo chiamata dalle amiche "Candida" o "Alice" per sottolineare la mia purezza e ingenuità! Partecipo alla manifestazione davanti la Prefettura, in via Cavour, e poi in corteo verso piazza S.S. Annunziata. Poche bandiere, poche frasi classiche da corteo, all'infuori di "Assassini, assassini!", come mi lacerano dentro queste parole! Non salgo sul palco a testimoniare il mio vissuto di Genova, non posso parlare, mi si spezza ancora la voce in gola. Proprio quella piazza, mi aveva visto felice e in prima linea, anno dopo anno, fin dai primi anni '80, quando, insieme a Giannozzo, a Giampietro e agli altri, davo una mano ad organizzare le prime edizioni della Fierucola, quanto di più antiglobal ci possa essere in Italia!
Parlarne, discuterne, organizzare mostre itineranti, partecipare attivamente ad associazioni, circoli, tener vivo l'ardore, non abbassare la guardia, rientrare in massa nel dibattito politico, nell'attività politica, ecco ciò che ciascuno di noi è chiamato a fare d'ora in poi. Puri e duri, questo bisogna essere ora, sempre più. Per durezza intendo non la violenza, ma la determinazione, il coraggio, la forza di non mollare mai, di lottare sempre più affinché tutti si possa davvero vivere in un mondo migliore, affinché tutti, indistintamente, anche quelli che adesso ci combattono e ci massacrano, si rendano conto che è soltanto con la solidarietà mondiale vera, sincera, che potremo avere ancora un futuro.
Mariagrazia De Cola
[email protected]
lo que yo queria, gracias
BUONASERA IO AVREI BISOGNO DI UN PICCOLO AIUTINO , DOVREI SCRIVERE UNA FRASE CHE DIVENTERA' IL NOME DI UN LOCALE , PERO' MI PIACEREBBE CHE FOSSE SCRITTA IN UN GENOVESE ABBASTANZA CORRETTO POTETE AIUTARMI? LA FRASE E' MOLTO SEMPLICE : I DUE FRATELLI . GRAZIE CREDO TANTO IN UN VOSTRO AIUTO CIAO DA Michele.
grazie!
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