L'IMPEGNO COME SENTIERO SPIRITUALE
di Maurizio Di Gregorio
Cosa ha a che fare la ricerca spirituale con l’impegno sociale e politico?
Ogni giorno in molte regioni del mondo milioni di persone soffrono, subiscono o combattono le ingiustizie, le guerre, i genocidi e la devastazione del pianeta operata dalla monocultura del profitto.
Ogni giorno accanto a loro altri milioni di persone chiudono gli occhi alla realtà, per paura, ignoranza, indifferenza.
Contemporaneamente ogni giorno altri milioni di persone, soprattutto nelle classi agiate dell’Occidente, partecipano a sessioni di yoga, mangiano cibo biologico e sono focalizzate sul proprio benessere psicofisico.
E’ un fatto clamoroso che tutti vorrebbero vivere meglio ma, in effetti, pochi vi riescano. Chi focalizza la propria attenzione sulla distruzione del pianeta, sulle ingiustizie e la sofferenza sociale, sviluppa nel tempo quella che si può definire una coscienza politica, sociale, ecologica. Studiando i problemi e le loro cause ed entrando in intima connessione con il mondo essi giungono a conoscerlo meglio, individuano le numerose cause dei problemi, imparano a gestire la propria rabbia ed indignazione per uno scopo superiore: il cambiamento. Allora la soluzione di tutto sembra a portata di mano, eppure il cambiamento non avviene. Infatti semplice non significa facile.
Chi focalizza l’attenzione sulla propria vita, cerca di vivere se stesso, attraverso il corpo, i sentimenti e le emozioni e la mente si rivolge alla propria interiorità sviluppando nel tempo quella che si può definire una coscienza spirituale.
Ad esempio, con la meditazione essi imparano a rilassarsi, a seguire il proprio respiro, ad osservare le emozioni ed i pensieri che sorgono, senza inseguirli o respingerli, rimanendo coscienti di cosa stanno facendo. Con la pratica ci si rende conto che i problemi vengono dalle fissazioni e dagli attaccamenti, non dai pensieri e dalle emozioni, così non appena li si vede senza resistenza essi si dissolvono e si può rimanere in meditazione, coscienti di quello che la mente fa e dove l’attenzione sta andando.Per pochi o tanti minuti che si rimane in questo stato si fa sentire una presenza serena, immobile, “sopra ogni cosa” che osserva ogni cosa.
Serenamente orgogliosi del loro benessere spirituale essi rientrano nella vita quotidiana sentendosi dotati di qualcosa di più, di santo ed immodificabile. Però ben presto la coscienza viene oscurata dalle loro emozioni, a cui reagiscono, e rientrano nell’eterno gioco degli opposti: amore/odio, eccitazione/depressione, desiderio/ripulsa, approvazione/disapprovazione e così via.
Questo succede ogni volta, così che non si vede l’ora di tornare a meditare e partecipare gioiosamente al proprio essere interiore. Ciò che è stato ricevuto come un dono è diventata ora una necessità e per ottenerla ci si concentra maggiormente, si sviluppa disciplina e si diventa intransigenti con se stessi.
Siamo ormai sicuri di fluttuare sopra il turbinio del mondo e di raggiungere la serenità della quiete meditativa, ma essa ci sfugge. Infatti semplice non significa facile.
Gli attivisti sociali imparano presto l’effetto che le emozioni negative hanno su di loro, in particolare l’indignazione e la rabbia ed imparano a gestirle senza reagirvi, proprio come scoprono che esse non hanno nessun effetto sull’avversario, poiché sono reattive, fanno effetto solo su chi le ha. Gestire le emozioni negative vuol dire essere coscienti di ciò che stiamo provando senza perdersi nella reazione e liberare l’energia generata dalla emozione dall’oggetto che la chiede. Questo metodo è alla base della nonviolenza e contemporaneamente è una forma di meditazione.
Permette di essere lucidi, nel presente, comprendendo che siamo noi la sorgente delle nostre emozioni, non l’avversario che affrontiamo. Ciò non significa che non dovremmo provare, ad esempio, indignazione e rabbia, ma di queste dobbiamo usare le energie anziché esserne usati.
I ricercatori spirituali percepiscono ben presto l’intima connessione di tutte le cose, l’unità della mente di tutti gli esseri senzienti e che ognuno di noi ha uno spirito libero che conosce la cosa giusta da fare.
Liberi dalla reattività, sia gli attivisti che i ricercatori, sono in grado di separare se stessi dalle emozioni ed osservarle andare e venire come nuvole al vento.
Quando sono consapevoli che essi sono la radice di ciò che sta avvenendo, possono prendere il controllo cosciente delle proprie vite. E’ questo il momento in cui sorgono dentro di sé le qualità del guerriero.
Quando percepiscono la confusione dell’avversario, gli attivisti realizzano che loro compito, accanto alle lotte che combattono, è portare gli altri alla consapevolezza. Solo l’unità di tutti gli esseri giustifica il tremendo compito di lavorare per il cambiamento, quindi l’impegno sociale e politico è il sentiero della riscoperta del senso di appartenenza, la reintegrazione sociale nell’unità.
Attraverso la lotta per una cultura globale accettabile e sostenibile essi scoprono la globalizzazione dello spirito.
Questo non è privo di conseguenze. Poiché ogni cosa è connessa non è possibile averne una senza l’altra. Non è possibile rimanere solo sul nostro benessere fisico, fare yoga e mangiare biologico, mentre la terra e la società continuano a soffrire. La coscienza spirituale impone di affrontare la confusione del mondo, così come è richiesto dalla coscienza politica.
Perché se non affrontiamo il rischio di attivare la nostra compassione, la nostra crescita personale rimarrà sterile e vuota, non sarà più un comportamento spirituale ma un tradimento dell’unità di tutte le cose. Il guerriero non si perde in reazioni o in attaccamenti, ma agisce.
Il problema non è solo al di fuori di noi, è anche dentro di noi. E’ un problema al contempo personale e planetario. Se non agiamo come un guerriero, ciò che è nel mondo lo stiamo facendo a noi stessi. Per cambiare possiamo esaminare le nostre credenze in relazione agli atti degli altri ed esaminare il ruolo dell’ego. Se non sviluppiamo la dimensione spirituale dell’impegno sociale e politico potremo combattere per migliaia di anni ogni volta lo stesso meccanismo con nomi diversi.
La percezione di un campo comune permette di offrire alternative eccellenti.
Se israeliani e palestinesi credessero, come gli aborigeni australiani, che la terra non è di nessuno ma sono loro stessi proprietà della terra, non vi sarebbe più la possibilità per alcuno di sentirsi nel giusto e considerare l’altro nell’errore.
Allo stesso modo, se riconoscessimo la radice del terrorismo contemporaneo anche nell’impero americano e nel sistema complesso di relazioni e reazioni che si determinano, potremmo superare la prospettiva storica dello scontro tra Stati Uniti e Risorgimento Islamico ed agire con tutta l’anima e con ogni energia per l’unità dei popoli della Terra con la Terra.
Tutto questo significa fare amicizia con la nostra consapevolezza, essere presenti nel corpo, nella mente e nello Spirito, qui e ora. Significa l’impegno di un sentiero spirituale.
Maurizio Di Gregorio
agosto 2004
Liberamente rielaborato da una meditazione di Michael Brownstein "Resurgence" 2004.
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