IL TAO, LA FISICA E NOI: INTERVISTA A FRITJOF CAPRA
Intervista a cura di Federico Vita
Quest’anno leggendo L’ordine nascosto di Merlin Sheldrake ho appreso che il concetto di connessione, diciamo pure di rete, in ambito ecologico non è una metafora. Le ife, ovvero i filamenti sotterranei dei miceti, la rete tra loro e con le piante circostanti la costruiscono davvero: una foresta è letteralmente un network di radici fungine che scambiano informazioni e nutrienti. Se i concetti di comunità, cooperazione e connessione ci risultano familiari, forse è anche grazie al lavoro pluridecennale del fisico e teorico dei sistemi Fritjof Capra, notissimo in quanto autore di Il Tao della fisica, che si è interrogato a lungo proprio attorno a queste idee, spingendoci a domandarci quando sarebbe arrivata una definitiva presa di coscienza circa il fatto che non si possono continuare a pretendere come infinite le possibilità di crescita all’interno di un sistema chiuso come un pianeta, e con essa il fatidico punto di svolta – che al momento non sembriamo aver raggiunto neppure durante una pandemia. Nella visione di Capra è fondamentale che a un uso delle risorse ecologicamente sostenibile si accompagni una visione politica socialmente equa – e proprio in questa direzione va il Center for Ecoliteracy di Berkeley, da lui fondato e diretto in California.
La teoria sociopolitica espressa da Capra nel corso dei decenni in una articolata serie di scritti è profondamente olistica, e non stupisce il suo interesse per la figura di Leonardo da Vinci, su cui è tornato più volte, in quanto già nel lavoro del più noto degli artisti rinascimentali era evidente il riconoscimento della necessità di un equilibrio tra l’insieme degli elementi naturali e sociali, nell’opera e nel pensiero di Leonardo è facile riconoscere quello che Capra – insieme a Stefano Mancuso – in Discorso sulle erbe chiama ecodesign, un concetto radicale e a mio avviso davvero molto lontano dalle dinamiche di greenwashing cosmetico come il Bosco verticale di Milano.
Il campo di ricerca di Fritjof Capra si estende dai fondamenti della fisica teorica alle implicazioni socio-filosofiche della scienza moderna e in questi giorni l’ho raggiunto in occasione della nuova edizione italiana di uno dei suoi scritti più importanti: Vita e natura. Una visione sistemica, firmato con P. G. Lusi e uscito per Aboca.
Prima di rivolgergli qualche domanda penso sia il caso di elencare alcuni tra i suoi diversi libri usciti nel corso degli ultimi quarant’anni: oltre al già ricordato Il Tao della fisica (1975), sono da rammentare almeno: Il punto di svolta (1982); La politica dei verdi. Cultura e movimenti per cambiare il futuro dell’Europa e dell’America, con Charlene Spretnak (1986); La rete della vita (2001); La scienza della vita, (2002); La scienza universale. Arte e natura nel genio di Leonardo, (2007); Ecologia del diritto, con Ugo Mattei (2007); Crescita qualitativa. Per un’economia ecologicamente sostenibile e socialmente equa, con Hazel Henderson (2017); Agricoltura e cambiamento climatico, con Anna Lappè (2017); Leonardo e la botanica. Un discorso sulla scienza delle qualità (2018); e Discorso sulle erbe – Dalla botanica di Leonardo alle reti vegetali, con Stefano Mancuso (2019).
Secondo la teoria dell’autopoiesi sociale del sociologo Niklas Luhmann le reti viventi nella società umana sono reti di comunicazioni, e così come le reti biologiche sono autogeneranti ma ciò che generano non è materiale: ogni comunicazione genera pensieri e significati che fanno nascere nuove comunicazioni e così l’intera rete genera se stessa, creando cultura. Alla luce di questo parallelismo, in che rapporto consideri la cultura rispetto alla biosfera, è possibile metterle in qualche modo in una relazione che non sia solo metaforica?
Dobbiamo stare attenti quando tracciamo paralleli tra reti biologiche (o ecologiche) e sociali. Se da un lato osservare l’organizzazione delle reti biologiche può aiutarci a capire le reti sociali, la natura dei processi coinvolti è abbastanza diversa. Quelle sociali sono reti di comunicazione che coinvolgono linguaggio simbolico, contrasti culturali, relazioni di potere e così via. Questi fenomeni sono aspetti caratteristici della coscienza umana e non esistono nella biosfera non umana.
In Crescita qualitativa ricordi come già lo stesso ideatore del concetto di PIL, Simon Kuznes, nel lontano 1934 avvertisse come un parametro così mono-dimensionale e incapace di contabilizzare i costi “esternalizzati” sull’ecosistema non fosse adatto per misurare il progresso sociale nel suo insieme. In natura la crescita è “qualitativa”: mentre una parte degli ecosistemi cresce, un’altra muore e viene riciclata per tornare a essere parte del ciclo. Che possibilità ci sono che le politiche economiche internazionali comincino a ragionare in questo modo?
Sono stati proposti diversi modelli di economie cicliche, per esempio il concetto di “economia ecologica” sviluppato da Robert Costanza e altri; l’“economia ecologica trasformativa” di Ove Jakobsen e l’“economia della ciambella” di Kate Raworth. Ma, finora, sono stati discussi solo molto raramente nella corrente principale del pensiero economico. La mia speranza è che le cose cambino con la nuova amministrazione negli Stati Uniti.
Di queste qual è la più promettente secondo te? Riesci a riassumerne i concetti di fondo?
Questi modelli aderiscono tutti agli stessi principi. Intendono l’economia ecologica come un campo transdisciplinare che integra economia, natura e società; e comprendono il termine “ecologico” nei suoi due sensi. In un certo senso, l’economia ecologica è un sistema economico che è coerente e onora i principi di base dell’ecologia. In un senso più ampio, è una teoria e pratica economica, in cui l’economia opera all’interno, piuttosto che dominare, le sfere della natura, della società e della cultura.
Arrivare a emissioni zero, rendere davvero sostenibile la nostra presenza sul pianeta, significa superare il capitalismo?
Il capitalismo si presenta in molte forme. Il capitalismo giapponese è molto diverso dal capitalismo scandinavo o da quello brasiliano. La differenza è che diversi vincoli culturali vengono applicati nei diversi paesi. Ciò di cui abbiamo bisogno per costruire un futuro sostenibile è applicare non solo vincoli sociali e culturali, ma anche ecologici. Una società sostenibile è quella in cui i processi economici non interferiscono con la capacità intrinseca della natura di sostenere la vita. Ciò significa che i suoi principi economici devono essere compresi nelle possibilità dell’ecologia.
Da qualche parte ho sentito quella che forse è una leggenda circa l’introduzione di Il Tao della fisica. Si riferiva alla natura dell’esperienza di rivelazione trasformativa raccontata in quelle pagine. Quel momento sulla spiaggia in cui racconti di aver intuito la trama sottile che mette in connessione tutto ciò che esiste – così forte da ispirarti la scrittura del libro – sarebbe stata un’esperienza psichedelica. Al di là del fatto se il dettaglio è o meno vero, credi che una maggiore diffusione delle sostanze psichedeliche – in contesti controllati e consapevoli, siamo del resto nel pieno di quello che è stato definito Rinascimento psichedelico – possa giocare un ruolo sullo sbocciare di una maggiore consapevolezza olistica circa il nostro rapporto col pianeta?
L’”epifania” che ho avuto su una spiaggia della California nel 1969 non è stata innescata da sostanze psichedeliche, è stata un’esperienza meditativa. Tuttavia, oltre a meditare e studiare i testi delle tradizioni spirituali orientali, le mie sperimentazioni con gli psichedelici in quegli anni mi hanno portato a molte intuizioni preziose. Le droghe che alterano la mente – caffè, alcol e molte altre – sono state parte integrante delle culture umane nel corso dei secoli. A mio avviso, gli psichedelici hanno sicuramente un ruolo da svolgere se usati con attenzione e supportati da quadri giuridici appropriati.
Il Tao della fisica è stato un best-seller internazionale, ti aspettavi un risultato del genere mentre lo scrivevi? A cosa è dovuto secondo te quel successo? Come è cambiata la tua vita dopo quel libro?
Il Tao della Fisica è stato accolto con un entusiasmo che è andato oltre le mie più rosee aspettative. Questa straordinaria risposta ha avuto un forte impatto sul mio lavoro e sulla mia vita. Ho viaggiato molto, tenendo conferenze a un pubblico professionale e laico in Europa, Nord e Sud America e Asia; ho discusso le implicazioni della cosiddetta “nuova fisica” con uomini e donne di ogni estrazione sociale. Da allora ho scritto molti altri libri, ma ancora oggi incontro persone in tutto il mondo che mi dicono: “Il tuo libro ha cambiato la mia vita”. E non ho bisogno di chiedere a quale libro si riferiscano. Parlano del Tao della Fisica. Moltissime volte, uomini e donne mi scrivevano, o magari dopo una presentazione mi dicevano: “Hai espresso qualcosa che ho sentito per molto tempo senza essere in grado di esprimerlo a parole”. Cosa ha toccato il Tao della fisica in tutte queste persone? Che cosa avevano sperimentato loro stessi? Mi sono reso conto che il riconoscimento delle somiglianze tra la fisica moderna e il misticismo orientale fa parte di un movimento molto più ampio, di un cambiamento fondamentale delle visioni del mondo e dei paradigmi, nella scienza e nella società, che sta ora avvenendo in tutto il mondo e che ha a che fare con una profonda trasformazione culturale. Questa trasformazione, questo profondo cambiamento di coscienza, è ciò che così tante persone hanno sentito intuitivamente negli ultimi cinque decenni, ed è per questo che questo libro ha toccato delle corde così reattive.
Molti dei tuoi libri dopo Il Tao della fisica sono stati scritti a quattro mani: Vita e Natura, firmato con Pier Luigi Luisi; Ecologia del diritto, con Ugo Mattei; Discorso sulle erbe, con Stefano Mancuso; Agricoltura e cambiamento climatico con Anna Lappé; Crescita qualitativa, con Hazel Henderson e forse ne dimentico anche qualcuno… Come mai questa scelta? (Mi interessa perché anche io ho scritto un paio di libri a quattro mani ma mi pare che sia per certi versi più faticoso e forse anche meno apprezzato dagli editori).
Il mio approccio alla conoscenza e alla comprensione è un approccio scientifico e la scienza è un’impresa collettiva. Anche i libri che ho scritto da solo sono basati su dialoghi che ho avuto con numerose donne e uomini, professionisti in vari ambiti. A volte ho sentito che altri autori avevano una conoscenza specifica che mi mancava, pur condividendo con me la stessa visione del mondo e gli stessi valori; e ho pensato che sarebbe stato più produttivo scrivere un libro insieme a loro. È così che sono nati La politica dei verdi, L’universo come dimora, Ecologia del diritto, Vita e Natura e molti altri libri.
Gli attuali problemi del mondo hanno in comune il loro essere sistemici – e come tu stesso ricordi il pensiero sistemico è intrinsecamente multidisciplinare – circostanza che non li rende risolvibili singolarmente. Uno dei fronti più vasti è quello del cibo, e quindi dell’agricoltura. In Agricoltura e cambiamento climatico si affronta proprio questo tema, che oltretutto ne incrocia un altro toccato da un altro bel volume pubblicato da Aboca: Il nemico invisibile di Johann Zaller, che racconta dell’abuso sistematico di pesticidi in tutti i continenti. La domanda di fondo è: è possibile senza pesticidi e senza sistemi di agricoltura industriale sfamare 7 miliardi di persone?
L’idea che i pesticidi e le colture “transgeniche” (o OGM) siano fondamentali per nutrire il mondo è uno dei principali argomenti avanzati dai fautori dell’agricoltura industriale. Si basa sull’ipotesi errata che la fame nel mondo sia causata da una carenza globale di cibo. In realtà, le cause profonde della fame nel mondo non sono legate alla produzione alimentare. Sono povertà, disuguaglianza e mancanza di accesso al cibo e alla terra. In altre parole, la fame nel mondo non è un problema tecnico ma politico. Se le sue cause profonde non vengono affrontate, la fame persisterà indipendentemente dalle tecnologie utilizzate. Inoltre, circa un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano (e sufficiente per nutrire l’intero continente africano) viene sprecato a livello globale, la maggior parte del quale in Europa e Nord America. Ci sono prove abbondanti che l’agroecologia è una valida alternativa ecologica alle tecnologie chimiche e genetiche dell’agricoltura industriale. Diverse valutazioni globali di progetti e iniziative su base agroecologica nei paesi in via di sviluppo hanno documentato chiari aumenti della produzione alimentare su milioni di ettari. I principali rapporti internazionali hanno concluso che, per nutrire 9 miliardi di persone nel 2050, abbiamo urgentemente bisogno di adottare i sistemi di coltivazione più efficienti, raccomandando un passaggio fondamentale verso l’agroecologia come un modo per aumentare la produzione alimentare.
Cosa pensi di movimenti come Extinction Rebellion (XR) che si battono per innescare una disobbedienza civile per spingere i governi a intervenire contro il disastro climatico?
I movimenti dei giovani appassionati di cambiamento sociale sistemico mi riempiono di grande speranza. Oggi ce ne sono molti: Extinction Rebellion, Sunrise Movement, Fridays for Future e altri ancora. I loro valori sono completamente coerenti con la comprensione sistemica della vita che è emersa in prima linea nella scienza. La mia preoccupazione è: come possiamo combinare la passione, l’energia e la creatività di questi movimenti giovanili con le intuizioni della generazione di anziani che hanno sviluppato la nuova visione sistemica della vita negli ultimi 40 anni, in modo che i movimenti giovanili non debbano inventare da capo la ruota?
Fonte: Ratuken kobo
|