M5STELLE: UN BENE COMUNE PER IL NOSTRO FUTURO?
di Massimo Marino
Finalmente ci stanno riuscendo. È dal 2013 che un’alleanza non dichiarata di forze di centrodestrasinistra, espressione delle élite che realmente gestiscono il paese, o almeno vorrebbero farlo indisturbate, aveva l’obiettivo di stroncare quel singolare e imprevisto fenomeno di aggregazione sociale che si è espresso attraverso il successo del M5Stelle.
Un caso unico e straordinario di un progetto di cambiamento sociale che non ha omologhi di un qualche peso in Europa e nell’intero Occidente. Che malgrado evidenti e rilevanti punti deboli è arrivato a diventare, almeno per un po’, il centro politico egemone nelle istituzioni parlamentari del paese. Quando alle elezioni politiche del 2013 8,7 milioni di elettori, in modo praticamente omogeneo dalla Sicilia al Veneto, dal Piemonte alla Sardegna, hanno dato un momentaneo voto di fiducia alla creatura di Beppe Grillo è diventato evidente che era necessaria una risposta decisa per difendere il tranquillo status quo di immobilismo in cui l’Italia sonnecchia da trent’anni.
La campagna anti Grillo si è espressa con l’uso senza scrupoli del sistema dei media che ben rappresentano saldamente le élite della società italiana molto meglio dei traballanti partiti di centrodestrasinistra che travolti da scandali, subalternità, incompetenza, hanno perso la fiducia di consistenti parti della società. Il successo del 2013 ha provvisoriamente messo di lato i punti deboli del Movimento, che destava stupore per la sua resistenza agli attacchi, ma erano e sono noti:
1) Una precaria strutturazione organizzativa, diventata inadeguata e inefficace quando il Movimento è arrivato a superare il 30%. In realtà mostrandosi inadatta già dopo la prima fase di governo delle grandi città (i tre casi di rilievo sono ovviamente Roma e Torino nel 2016 e Livorno nel 2014). Infatti, già dal 2017 si sono avuti i primi segni evidenti di difficoltà e di crisi del flusso di adesioni al Movimento. Ne sono stati segno evidente la serie di insuccessi in tutte le elezioni locali dopo quelle del 2016, l’impossibilità di presentarsi nel 90% dei più di 300 comuni al voto del 2018 (un solo sindaco eletto, parecchi persi). Il successo straordinario del 4 marzo 2018 ha dato l’illusione che tutto procedesse alla grande anche se la distribuzione del voto era opposta a quella del 2013, tutta concentrata al Sud, effetto prevalente del reddito di cittadinanza atteso, mentre il Movimento confermava i segni di crisi in varie aree del Nord.
2) L’assenza di gruppi dirigenti a livello regionale annualmente rinnovabili, di sedi ufficiali di elaborazione programmatica, soprattutto di luoghi di aggregazione sul territorio, di campagne di adesione permanenti, producono gli effetti prevedibili. I gruppi locali sono sempre più aggregati isolati e chiusi alla deriva. La comprensibile paura di “fare un partito”, come se i partiti di oggi si basassero su questi strumenti, o forse la volontà di non creare altri strumenti oltre a Rousseau ha portato a leadership ristrette e informali coincidenti, a discrezione, con le figure istituzionali.
L’invenzione discutibile del “capo politico” su cui accentrare tutti i ruoli di peso e tutti i problemi, ha favorito in pochi mesi l’affondamento del Movimento da parte dei media più che dagli oppositori formali. Identificato il vascello principale, come in una battaglia navale è stato facilmente affondato. La vicenda personale di Di Maio, pur non avendo nessun misfatto da pagare, si è probabilmente conclusa ma nessuno può indicare che “il Re è nudo” perché al momento non c’è nulla che lo possa sostituire.
3) Ne consegue la prevedibile carenza di idee e proposte su temi difficili, magari secondari ma che ormai assumono mediaticamente il centro della scena. Evidente il caso della immigrazione irregolare o clandestina, che è solo nella fase iniziale e si acuirà nel giro di pochi anni, su cui nessuno in Italia ha la minima idea, o la minima intenzione, sul come gestirla realmente (né a destra né a sinistra ne fra i 5stelle) ma in molti ne fanno un indecente uso elettorale strumentale.
Risolta dai 5stelle con il silenzio totale mentre al loro interno oscillano fra le due alternative, sbagliate e inaccettabili entrambe, dei “porti chiusi” a tutti o delle “porte aperte” a tutti. Senza provare invece a coniugare la necessità di chiudere alla immigrazione clandestina rigettando però le derive xenofobe e contemporaneamente avviando subito un percorso di lungo periodo basato su corridoi umanitari organizzati, sedi estere di raccolta e di immigrazione annualmente programmata di famiglie, profughi in fuga da guerre e crisi ambientali, bloccando scafisti e gruppi criminali. Si tratta di un cambio di politiche che dovrebbe essere fatto proprio e avviato da tutta l’Unione Europea ma un’iniziativa esemplare dell’Italia avrebbe grande rilievo.
La costruzione di corridoi ha già avuto qualche piccolo precedente di enti religiosi cattolici ma dovrebbe assumere la dimensione statale di un nuovo “piano Marshall per i migranti” anche con il possibile contributo di tutte le ONG disponibili che oggi invece alimentano involontariamente il mercato redditizio degli sbarchi irregolari e incontrollati e rendono impossibile la cattura degli scafisti ed il sequestro di barconi e navigli a motore.
4) Una confusa visione delle Istituzioni dove, al di là di una coerente difesa della Costituzione nei momenti di crisi (es. il NO al referendum renziano del 2016) si procede in modo incerto. Sulle regole elettorali l’originaria e corretta impostazione proporzionale con un quorum antiframmentazione non è stata portata fino in fondo subendo la scelta ultramaggioritaria dei collegi uninominali, che è risultata nel 2018 casualmente accettabile solo perché il sistema tripolare era relativamente equilibrato. In quel caso i grillini ci hanno guadagnato qualcosina, il 37% degli eletti con meno del 34% dei voti.
Sui referendum le proposte in corso in Commissione con l’abolizione del quorum 51% risultano pericolose e inadeguate. Soltanto sui rapporti con la politica dell’UE, difficile problema per tutti, si è arrivati forse ad un accettabile equilibrio di critica collaborazione anche se non mancheranno su bilancio e finanziaria inevitabili scontri.
La proposta della riduzione dei parlamentari, forse condivisibile ma di scarsa rilevanza, è un segno della grande confusione e dei guai che ci si cerca da soli. Non può non prevedere l’eliminazione, non la correzione, dei collegi uninominali ed il sistema proporzionale che ne consegue deve prevedere una consistente soglia (4-5% almeno) per favorire la nascita di nuovi partiti stabili ed evitare la miriade di partitini inventati dell’ultima ora che hanno già provocato in passato i noti disastri.
Questione non da poco sulla quale incredibilmente ricompaiono nel PD i fautori delle modifiche pericolose e antidemocratiche del Senato come Camera di secondo livello, cancellate con il referendum del 2016. E’ possibile che discussioni così delicate non abbiano sedi e voci per discuterne pubblicamente mentre contemporaneamente il tema della riduzione dei seggi viene sorprendentemente posto come decisivo, chissà perché, per formare un governo che ha ben altri problemi da risolvere?
A questi quattro punti deboli del Movimento ha supplito fino a due anni fa la creatività e istintiva lungimiranza di Beppe Grillo, che ricompare ancora opportunamente nei momenti critici, mentre si è constatata con il tempo la scarsa rilevanza ed efficacia di Rousseau che non va al di là di un utile strumento tecnico di consultazione rapida di quella parte di aderenti più attiva in rete. Più del 95% degli 11,7 milioni di elettori che nel 2018 hanno votato per i 5stelle non hanno mai usato Rousseau e la gran parte di loro neppure sa esattamente a che serva.
La campagna anti Grillo aveva l’obiettivo di fare a pezzi quel centro radicale (ne destra né sinistra) che ha convinto milioni di persone ad esprimere il voto su tre grandi aree di consenso: lotta alla povertà e alla precarietà, difesa dell’ambiente e del clima, lotta a clientelismo e corruzione. Si trattava di un progetto efficace, forse solo in parte consapevole, inevitabilmente generico e in parte ancora disatteso ma culturalmente ben più ricco e consapevole dei balbettii culturali e dell’opportunismo privo di scrupoli che negli ultimi 30 anni ha caratterizzato partiti di destra e di sinistra del nostro paese. La campagna diffamatoria si è articolata su una decina di parole d’ordine, spesso contradditorie fra loro anche quando lanciate dallo stesso soggetto mediatico: per fare qualche esempio:
- I 5stelle sono un partito di destra, fascisti o fascistoidi, populisti e antidemocratici
- I 5stelle sono un movimento di estrema sinistra, come i centri sociali o la sinistra radicale
- I 5stelle dicono NO a tutto e impediscono grandi opere (TIP, TAV, Terzo Valico, Ilva, Inceneritori, Trivelle) quindi impediscono lo sviluppo del paese, quindi non sono affidabili.
- I 5stelle dicono SI a tutto (TIP, Ilva, TAV), quindi non rispettano le promesse, quindi non sono affidabili
- I 5stelle non sanno governare le città, vanno sostituiti da chi lo sa fare, quindi non c’è motivo di votarli
- I 5stelle non sanno governare le città come non sapevano farlo quelli di prima quindi non c’è motivo di votarli.
- I 5stelle si tagliano lo stipendio e il finanziamento pubblico ma il risparmio è irrilevante.
- I 5stelle si tagliano lo stipendio e il finanziamento pubblico ma per finta o troppo poco quindi il risparmio è irrilevante.
La campagna mediatica contro il Movimento è diventata così spregiudicata e senza scrupoli da assumere i contorni di una “ guerra civile strisciante” che ha frastornato e colto di sorpresa lo stesso gruppo che in qualche modo dirige il Movimento che ha risposto in modo incerto e discordante nei diversi momenti con la assoluta assenza di risposte efficaci. I sorrisi stampati di Di Maio o Bonafede o Di Battista mentre sono massacrati nei talk show dal conduttore, quasi sempre con la tessera del PD o di Forza Italia in tasca o nella testa, sono il segno di questa impotenza. Nessun dibattito è stato aperto nel paese sul ruolo dell’informazione e la legge sugli editori impuri è rimasta chiusa e incompresa nelle stanze delle Commissioni parlamentari.
La dimensione della campagna, quotidiana e ben organizzata, ha visto un numero elevato di protagonisti all’interno dei diversi media cioè giornali nazionali e locali, tv, social, Twitter e FBK. Dietro il paravento della libertà di stampa diventata tutt’uno con la libertà di diffamazione alcuni si sono particolarmente distinti per l’impegno a tempo pieno: da Giannini alla Gruber, dalla Panella alla Merlino, dalla Cusani a Franco, da Fazio a Formigli, da Vespa alla Annunziata, da Floris a Sallusti, da Bianchi a Telese. L’attacco alla componente grillina per mesi ha occupato interamente la loro attività di informazione. Inutile aggiungere che le varie sinistre minori si sono accodate, da perfetti gregari, ai toni dei media, senza esprimere un proprio autonomo punto di vista, tranne poche e isolate eccezioni.
Dopo lo straordinario risultato delle elezioni politiche e la nascita del governo M5S-Lega, la campagna anti5stelle ha assunto toni più spregiudicati con l’obiettivo di mettere in conflitto fra loro i due alleati. L’obiettivo era evidente: non solo bloccare le iniziative legislative (dei 5stelle perché della Lega per mesi e mesi non ce ne sono state) in particolare reddito di cittadinanza, salario minimo, tagli alla politica, alla editoria, ai gruppi di clientela o di malaffare (esempio tipico appalti senza gare, nomine clientelari e senza meriti negli enti nazionali e locali), pensioni d’oro, vitalizi elevati e multipli.
Al fondo l’obiettivo inconfessato della denigrazione era quello di impedire le azioni, peraltro modeste, di riequilibrio sociale e ridistribuzione della ricchezza correggendo almeno un po’ gli squilibri da sempre presenti nella società italiana. Insomma, per mesi i media hanno supplito alla inefficacia dei vecchi partiti (PD, Forza Italia, Lega) nel garantire la tenuta delle Élite del paese e di quella parte di ceto medio che ne supporta la base nella società di fronte alle richieste emergenti di riformismo radicale che si è affidato momentaneamente al M5Stelle.
Per un anno è stato chiaro l’obiettivo di sovraesporre mediaticamente in modo metodico le quotidiane battute da bar di Salvini e sminuire o tacere l’azione riformatrice, per esasperare il conflitto interno al governo. La convinzione era che così il governo sarebbe durato pochi mesi, i 5stelle ne sarebbero usciti come inaffidabili e incapaci a mantenere le tante promesse fatte, che con un nuovo voto l’elettorato grillino sarebbe tornato di corsa all’astensione e ai partiti originari in particolare a quelli più affidabili: PD e Forza Italia. Non è stato così.
E’ stata una valutazione errata, segnale della incapacità dei media, specie quelli “di sinistra”, a comprendere il grado di delusione verso il vecchio sistema politico che occupa una parte consistente della società italiana. Per quanto l’unica sezione ancora funzionante del PD siano le decine di redattori collocati in passato alla RAI, e di quelli accuratamente selezionati negli altri media (chi dissente non ha spazio nelle redazioni), hanno clamorosamente toppato: il governo non è caduto, la Lega grazie ai media progressisti ha fatto degli immigrati e della sicurezza gli argomenti unici per diventare il principale partito italiano. Le elezioni europee hanno mostrato il clamoroso errore di valutazione e la necessità urgente di ridimensionare il dilagare della Lega, ma era tardi. È Salvini che ha scelto quando interrompere la legislatura al momento giusto.
Ad affondare definitivamente i 5stelle ci dovrebbe pensare il duo Zingaretti-Renzi per completare il lavoro con un eventuale governo di qualche mese necessario a ricostruire, con il sicuro sostegno dei media, il ritorno sulla scena del bipolarismo di dieci anni fa dove non c’è spazio per progetti di alternativa. Ed anche “disfare “, come ha involontariamente preannunciato la Bonino, tutto quanto di buono è stato avviato dal governo 5stelle in 15 mesi.
Il M5Stelle, con il suo lungo elenco di incapacità ed errori, è un bene prezioso per la società italiana ed il rischio che vada in pezzi è altissimo. Tutti gli esempi della storia recente di movimenti politici in qualche modo di alternativa che da posizione non egemone si alleano al moderatismo della sinistra storica non l’hanno cambiata ma ne sono stati fatti a pezzi e non hanno impedito il prevalere di opzioni più conservatrici.
Fra i casi più noti l’alleanza del 2012 in Francia di Europa Ecologie con i socialisti di Hollande (finita con i Verdi a pezzi e poi Hollande spazzato via). Più di recente in Spagna dal 2018 l’alleanza tentata e forzata di Podemos a sostegno dei socialisti di Sanchez. In meno di un anno anche Podemos è finito in pezzi e l’arroganza manifesta di Sanchez contro Podemos e contro Iglesias non gli ha permesso comunque di governare, neanche con i conservatori di Ciudadanos. Così la Spagna sta per l’ennesima volta tornando al voto.
Il rischio per l’Italia è che avvenga esattamente la stessa cosa. Qualche mese di governo giallo-rosa e poi al voto con i media che celebrano il bentornato ritorno sulla scena del bipolarismo con la emarginazione dei 5stelle ed il trionfale successo del centrodestra a trazione leghista. Sono convinto infatti che la assoluta incapacità a sposare logiche riformatrici e di rinnovamento della società italiana da parte del PD potrebbe portare invece ad un ancora più clamoroso successo della Lega ben saldata all’intero centrodestra.
Mi sembra probabile che in qualunque direzione si sviluppi la soluzione della crisi il processo di cambiamento avviato negli ultimi dieci anni dal M5Stelle avrà una brusca frenata e cambierà del tutto lo scenario.
È bene che tutti comprendano, invece di sognare su FBK svolte improbabili, che il prezzo da pagare sarà comunque alto anche se è difficile oggi prevedere, fra le tre scelte possibili (governo con il PD, nuovo governo con la Lega, voto a novembre) quale costerà meno al M5Stelle e farà meno male alla società italiana. La vera sfida per il futuro prossimo dei 5Stelle è quella di non diventare il terzo partito ed uscire quindi di scena. Per intanto non è vero, ovviamente, che fra i dieci punti indicati dalla delegazione grillina e i punti volontariamente generici di Zingaretti, l’unico che si è apertamente pronunciato, ci sia molto in comune e “niente di insormontabile”.
Non ho sicurezze da vendere ma penso che le uniche carte da giocare siano due: la prima non vendere l’anima e la propria vocazione originaria al cambiamento che anzi, come l’esperienza con la Lega insegna, costi quel che costi, non può essere abbandonata, ma anzi ritrovata, pena la scomparsa. La seconda si chiama Giuseppe Conte, una figura moderata, di certo parecchio lontana dalla connotazione genetica grillina, ma comunque affidabile e capace di mediazione costruttiva in una inevitabile coalizione.
Una figura che sembra essere forse la principale, se non l’unica carta decisiva, in grado di impedire il trionfo di un nuovo centrodestra a vocazione leghista, oltre che a evitare la disfatta del M5Stelle. Che la “discontinuità” invocata da Zingaretti, cioè l’esclusione di Conte, sia stata messa di fatto a primo punto della discussione, la dice lunga sulla nota ottusità e la pervicace vocazione all’auto distruzione del PD. Una richiesta che fa sospettare che comunque il primo punto all’ordine del giorno resti sempre lo stesso: la demolizione del Movimento ed il ritorno al vecchio sistema politico: quello di un Italia immobile ostile al cambiamento.
Comunque vada capiremo presto se il M5Stelle è ancora un bene comune utile per il nostro futuro. Cioè se l’alleanza sociale che si è aggregata intorno al Movimento non si disgregherà, rendendo in quel caso indispensabile tentare altri percorsi di riforma della società italiana.
Massimo Marino
Torino,.25-08-2019
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