di Maurizio Di Gregorio
Con il fallimento sostanziale di Cop24, l’incontro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si è tenuto a Katowice in Polonia, nonostante due settimane di incontri e la presenza di delegati da tutto il mondo ha termine il ciclo vitale dell’ambientalismo come corrente culturale e politica.
Un ambientalismo internazionale e storico, variegatamente articolato e suffragato anche dai risultati della più ampia ricerca scientifica internazionale non è riuscito ad imprimere una svolta o a convincere a Katowice per alcuna concreta inversione energetica.
Eppure la problematica ambientale è e rimarrà al centro delle priorità del XXI secolo; essa sarà però affrontata solo da
un nuovo tipo di movimento ecologico mondiale, molto diverso dall’ambientalismo che abbiamo conosciuto ad oggi.
Un ecologismo in grado di condurre e vincere battaglie sociali e politiche maggioritarie e sostanzialmente esenti da compromessi,
un ecologismo cioè a vocazione maggioritaria.
Qualcosa di nuovo e più radicale che si farà dovere di intervenire non solo sulle cause di inquinamento ma anche sulle cause degli inquinatori e che cercherà di affrontare la questione in merito al cosa, al quando, al come e al perché.
Qualcosa che ancora non c’è, ma di cui si intravedono segnali diversi e originali e che proprio l’ennesimo fallimento di Katowice rende ancora più urgente e necessario.
L’ambientalismo tradizionale ha cercato, attraverso un percorso di alcuni decenni di fornire una ipotesi di riforma della civiltà moderna, che conciliasse la cultura materialista del profitto con la salvaguardia dell’ambiente naturale e dei suoi abitanti.
Come afferma la direttrice esecutiva di
Greenpeace International,
Jennifer Morgan “I governi hanno
deluso i cittadini e ignorato la scienza e i rischi che corrono le popolazioni più vulnerabili. Riconoscere l’urgenza di un aumento delle ambizioni e adottare una serie di regole per l’azione per il clima, non è neanche lontanamente
sufficiente allorquando intere nazioni rischiano di sparire”.
Nonostante il lavoro di tessitura svolto da una moltitudine di organizzazione ecologiche, nulla è stato ottenuto di concreto sul fronte delle misure necessarie a rallentare o inibire il cambiamento climatico. Di fronte al bivio tra la salute planetaria e il perseguimento dei propri profitti le elites politiche e industriali hanno scelto le seconde emettendo in pratica un provvedimento di morte per intere popolazioni, nazioni e specie viventi.
Certo nessuno sa con esattezza come e dove vi saranno i primi grandi disastri del cambiamento climatico – abbiamo per ora solo esperienza di alcune timide avvisaglie - e di quale entità essi saranno ma è certo che sarà una cosa terribile, forse non su tutto il pianeta o forse si, contemporaneamente su tutto il pianeta.
Ed è certo anche che l’ambientalismo tradizionale, anche riconoscendogli nella sua articolata storia parecchi meriti e innumerevoli buone intenzioni, è totalmente inadeguato ad affrontare la situazione: non è in grado infatti di imprimere un punto di svolta decisivo alla china disastrosa della civiltà postmoderna.
Del resto, era già così da anni: le elites tecno-finanziarie permettono solo micro cambiamenti ecologici che non intacchino i loro interessi e non indeboliscano il controllo totale e sostanziale che essi esercitano su finanza, economia, politica, società e cultura.
L’unica ecologia consentita è in fin dei conti quella di facciata. Essa è l’alibi di questa epoca. Ad ogni Fukushima, seguono alcuni anni di belle parole e di promesse presto vane, luoghi sonori dell’inganno globalizzato.
Una facciata di tecnologie dolci per mascherare il monopolio energetico dei fossili e del nucleare. Una facciata di tutela ambientale affinché le immagini delle oasi naturali ci facciano dimentichi del degrado ambientale e dell’inquinamento totale della modernità. Una facciata di pratiche virtuose che ci permettano di allontanare l’angosciante presenza del disastro ecologico. E così via….sino all’invitante aspetto dei cibi cancerogeni.
L’ambientalismo di facciata, accomodante e opportunista ha fagocitato speranze e buone intenzioni risolvendosi, de facto, in una ecologia superficiale che ha senz’altro alcuni aspetti positivi ma
costituisce in realtà la narrazione postmoderna che vela l’entità e le responsabilità del disastro complessivo.
Come sostiene
Serge Latouche siamo noi occidentali ad aver economicizzato tutto e
non esiste un altro capitalismo (buono),
con un'altra crescita (verde o sostenibile),
e un altro sviluppo (umano, durevole).
Nella Francia di Macron l’ecologia è divenuta una scusa per rastrellare attraverso maggiori tasse sui carburanti altri fondi da destinare agli appetiti della mostruosa macchina pachidermica dello stato francese.
Bilanci statali enormi che non riescono però a supportare una vita dignitosa per quantità crescenti di popolazione sempre più impoverita, precarizzata e marginalizzata proprio dallo
stesso sistema capitalistico finanziario multinazionale che è al contempo
l’artefice del disastro ecologico e del cambiamento climatico.
L’altra faccia della violenza contro la natura è infatti
la violenza contro i suoi abitanti e, nel ricco Occidente, l’oppressione delle burocrazie statali, della dipendenza consumistica e della precarietà economica ed esistenziale.
Ugualmente l’altra faccia della violenza contro la natura è
la violenza che si compie interiormente nell’intimità frammentata e schizofrenica dell’uomo contemporaneo anche se apparentemente gratificata da sempre più fasulli diritti individuali.
Ancora l’altra faccia della violenza contro la natura è
lo sradicamento delle comunità dal proprio territorio e dalla propria ascendenza culturale, ancestrale, storica e spirituale e la conseguente proiezione in un spazio-tempo omologato e privo di discendenza.
L’ambivalenza pestifera del postmoderno è che traduce in negativo ogni sua possibilità: una tecnologia che distrugge, un economia che impoverisce , una libertà che imprigiona, una connessione che isola.
Un mondo che funziona all’incontrario … Una maledizione!
La pubblicità e il marketing delle multinazionali gratificano l’ego e avviluppano le masse in una porneia consumista in cui si concretizza l’eclisse del divino attraverso la perdita di senso e significato, il capovolgimento valoriale, la frammentazione psichica: nessuna ricchezza potrà compensare la desolazione spirituale – risultato sincronico alla desolazione ambientale.
Con essa si produrrà l’individuo alienato incapace di azione e di liberazione, con scarsa o senza possibilità alcuna di trasformazione in soggetto rivoluzionario o emancipato: lectio magistralis di un epoca che accanto al trionfo del materialismo ne preannuncia insieme o la sua estinzione o la nostra.
Allora forse solo una profonda rivoluzione culturale, fondata sul superamento dell'antropocentrismo e sulla rivalutazione della spiritualità, potrà forse consentire di aprire una fase storica più evoluta.
Forse solo una crescita qualitativa degli esseri umani – una evoluzione interiore – potrà opporsi e vanificare l’imperativo della crescita quantitativa di beni, prodotti, piaceri e frenesie della modernità.
Giunge al capolinea dunque non solo l’ingenuo o bugiardo ambientalismo di facciata ma l’intera cultura postmoderna che ha falsificato e vanificato le sue promesse illuministiche, liberali e socialiste, tradizionali e spirituali, conservatrici e progressiste elaborando bugie irriconoscibili e patologie culturali: cosa sono del resto, in tale scenario, le destre e le sinistre?
Possiamo scorgere frammenti di esistenza, pezzettini di passione, rimasugli di intenzioni, briciole di conoscenza. Possiamo udire risate beffarde e pianti sommessi, melodie interrotte e suoni stridenti. Come dice una poetessa: “essi giacciono in massa melmosa e neutra che trasuda cellophane, ibrido vero, verissimo che si espande per partenogenesi…”
Agli oceani pieni di plastica, corrispondono le patologie di una cultura umana denaturalizzata e falsificata.
Solo un ecologismo radicale e integrale, dotato di saggezza e visione spirituale potrà opporsi al destino incombente con la consapevolezza che non si tratta di cambiare un governo, riformare l’economia o mettere sotto controllo una tecnologia ma occorre sia restaurare che reinventare il progetto umano. Una rivoluzione culturale integrale. Utilizzando e valorizzando ogni risorsa disponibile…
Una medesima follia inquina le coscienze e inquina il pianeta, distrugge le comunità locali e le società tradizionali, disarticola la società e riduce a fuffa la stessa spiritualità sbriciolando le esistenze e producendo malattie, sofferenza, infelicità.
Sulla scia della visione lungimirante di
Paul Hawken occorre una fusione ed una sintesi tra la coscienza ecologica, sociale, culturale e spirituale. I movimenti per i diritti ecologici, sociali,civili e tradizionali ed i movimenti spirituali -
e per essere più precisi, la parte sana e vitale di essi - devono riuscire a connettersi esercitando una azione condivisa e simultanea. E imporre la centralità della questione ecologica, nei suoi aspetti ambientali, economici, sociali, etici e spirituali.
Una visione d’insieme capace di sviluppare pratiche di vita alternative a livello individuale e sociale non disgiunte da capacità organizzative, economiche, politiche e culturali su livelli locali, internazionali e planetari: abbiamo bisogno allo stesso tempo di una
Internazionale Ecologista e di un superamento generalizzato degli ego individuali, una cosa quasi impossibile…e come si potrà fare mai una cosa siffatta? – lo si saprà solo facendolo!
Compito e sfida di un epoca che volge al termine, preparandone un'altra o nessuna, che avrà bisogno di tutta la nostra pazienza, forza, capacità e amore.
In alternativa possiamo continuare a fare clic con il mouse o cose simili.
Maurizio Di Gregorio
Nemi, 20-12-2018