In parte ti ho già risposto. Sicuramente la
full immersion nella realtà ahmadiyya ha avuto un effetto determinante. Le vaghe impressioni delle prime esperienze, a Qadian iniziarono a strutturarsi in maniera più coerente ed iniziai a realizzare che mi si stavano come formando altri occhi, con cui vedere il mondo in maniera diversa. Fu un grande regalo di cui sono grato agli Ahmadiyya. Direi che la scoperta più importante sia avvenuta a livello religioso, mi sono messo in gioco e credo di aver fatto un’esperienza simile a quella di cui parla Hamza Piccardo (importante convertito italiano all’Islam) all’inizio del bel documentario realizzato da Al Jazeera:
Hamza e i significati del Corano.
Piccardo sostiene di essere stato molto attratto, in gioventù, dalla dimensione del deserto e, in viaggio su un camion tra l’ultima città algerina e la prima città del Niger, nel corso di una sosta assiste all’abluzione con la sabbia di alcuni suoi compagni di traversata algerini. Poi, cito dal suo racconto: «uno di loro si è messo un pochino avanti e ha recitato la preghiera leggendo il Corano ad alta voce. Io ero a pochi metri, sentivo questa recitazione che mi entrava nel cuore, volevo capire che cosa aveva questa gente ma già dentro di me stava lavorando la convinzione che Dio esisteva, non era una favola per i bambini o una consolazione per gli anziani e che quella maniera che quella gente aveva di rapportarsi con Dio mi piaceva!».
Ora, senza entrare nel merito della mia esperienza a Qadian, in un contesto diverso da quello di cui ci parla Piccardo, sicuramente mi ritrovo in quel che lui dice in merito alla convinzione dell’esistenza di Dio e poi “la maniera che quella gente aveva di rapportarsi con Dio” piaceva anche a me. In breve, possiamo dire che “la molla” di avvicinamento all’Islam sia stata la stessa anche se Piccardo si è poi, formalmente, convertito mentre io continuo a farmi molte domande perché tanto mi è chiaro che il modo islamico di rapportarsi con Dio mi piace — personalmente, al momento, lo trovo il modo migliore — quanto mi è chiaro che una religione, in particolare quella islamica, non si limita alla sola dimensione spirituale o teologica che dir si voglia ma, come ci insegna la storia, si fa cultura, civiltà, sistema giuridico e a questo punto iniziano, inevitabilmente, le criticità (in particolare sul fronte del rapporto tra quella cultura e civiltà e la nostra occidentale), cui avremo modo appena di accennare perché il discorso è, naturalmente, troppo complesso per esaurirlo qui.
Del resto, merita chiarire che oltre all’aspetto religioso sono stato profondamente colpito anche da alcuni aspetti culturali dell’Islam, ad esempio la cultura dell’ospitalità in cui i musulmani danno spesso prova di una grande nobiltà d’animo. Una volta, mi ricordo, ero all’Università di Srinagar, in Kashmir, quasi integralmente se non integralmente musulmana (si sentiva il richiamo alla preghiera e le ragazze portavano quasi tutte il velo sui capelli) ed uno studente, Aijaz, mi si era messo a disposizione per aiutarmi in alcuni giri che dovevo fare. Mi ricordo che mi portò anche in un punto ristoro, poi si allontanò per più di un’ora perché doveva seguire delle lezioni ma mi lasciò in compagnia di alcuni suoi amici, con cui avemmo un bello scambio di idee.
Al suo ritorno riprendemmo a parlare e giunse, naturalmente, il momento di pagare il pranzo. Aijaz si rifiutò, in maniera mite ma risoluta, di farlo pagare a me, malgrado io avessi già tirato fuori il portafoglio da cui sporgeva un mazzo di 20 banconote da 500 rupie perché avevo fatto, la mattina stessa, un prelevamento da diecimila rupie. A lui non è sfuggito che avevo soldi in abbondanza per pagare le 40 rupie del pasto ma ha comunque preteso di pagarlo lui, senza avere nemmeno il portafoglio, avendo solo 3 banconote da venti rupie che gli si erano stropicciate in tasca. Ricordo che era un po’ in imbarazzo e si mise a stirare con cura due delle tre banconote da dare al ristoratore.
Ecco, episodi così mi sono accaduti solo nel mondo islamico, pur avendo diversi amici hindu ed avendo anche vissuto in paesi a maggioranza buddhista come lo Sri Lanka o quasi integralmente buddhisti come la Thailandia. La nobiltà è sicuramente uno degli aspetti che possiamo imparare dai musulmani, accanto al fervore religioso, a quello che potremmo definire un loro “incrollabile bandolo di senso”. Noi che, invece, possiamo considerarci, in buona parte, “orfani di sacro”.
Fg. Dossier: Quali aspetti invece ti rendono o ti rendevano perplesso?
Béh sicuramente ci sono diverse criticità di cui dobbiamo essere consapevoli, soprattutto nella misura in cui non possiamo più nasconderci dietro il fatto che non ci riguardino da vicino. Con il tasso di crescita che hanno i musulmani, stando ai dati del
Pew Research Center, diventeranno il primo gruppo religioso, su scala mondiale, intorno al 2070.
Sto iniziando a monitorare la situazione da Londra, dove attualmente vivo e — stando ad alcuni dati che si trovano facilmente anche in rete — tra il 2001 ed il 2009 la popolazione musulmana è cresciuta, nel Regno Unito, con una velocità dieci volte maggiore di quella della popolazione non musulmana.
In Germania la popolazione musulmana sfiora, oggi, i cinque milioni mentre, per citare un altro paese di cui mi sono occupato e continuo a seguire sullo sfondo, in India i musulmani sono passati rapidamente ad essere il 15% della popolazione del subcontinente (erano il 12% fino a pochi anni fa).
Tornando rapidamente nel Regno Unito (che non ha molti più abitanti dell’Italia; circa 65 milioni contro 60 milioni) ma dove il radicamento islamico non viene ostacolato, nel 2015 risultavano ben 1750 moschee registrate, contro le 443 del 1991, le 614 del 2001 e le 1500 del 2011. In Italia le moschee ufficiali, al momento, sono solo 10 ma fino a quando, a fronte della crescita considerevole della popolazione islamica anche nel nostro paese, se ne potrà ostacolare la costruzione di nuove?
A fronte dei pochi dati appena considerati ed usando un’espressione iperbolica potremmo quasi dire che l’Islam “sia il futuro” e che dunque sia assolutamente necessario iniziare a conoscere meglio il fenomeno.
Dunque: innanzitutto leggiamo il Corano
(cliccando
qui è possibile leggerlo on line
), leggiamolo ed interroghiamoci sui suoi contenuti e, parallelamente, non temiamo un confronto con i nostri amici musulmani, naturalmente con il dovuto rispetto, nella misura in cui stiamo parlando di quello che, per loro, è il più sacro dei testi ed il fondamento della loro cultura (che, tuttavia, è molto più plurale di quanto si possa comunemente pensare). Non è sicuramente una novità che diversi aspetti della
sharia (la legge islamica, oggetto di un articolato dibattito a partire dallo stesso mondo musulmano) possano lasciarci legittimamente perplessi ma, sicuramente, prima di tutto è necessario iniziare a conoscere meglio questo grande mondo, a partire dal proprio testo sacro, dalla storia e dall’attualità. Mettiamoci passione, senza perdere il senso critico che caratterizza la nostra cultura, fondata su di un provvidenziale “beneficio del dubbio”.
Fg. Dossier: Colpisce quanto hai detto su ospitalità e nobiltà d’animo.
Ma non sono valori e virtù riconosciuti anche fuori dall’Islam?
Certo, però io nel mondo islamico ho avuto modo di vederli messi in pratica, in diverse circostanze, più che in altri contesti e questo mi ha sorpreso piacevolmente. Può naturalmente darsi che sia stato fortunato ma credo anche che questa maggiore nobiltà si ricolleghi ad un fatto cruciale, ovvero che nel mondo islamico la protensione al sacro e la presenza del sacro nel quotidiano siano molto maggiori che nel nostro Occidente secolare.
Come dice una mia amica che è stata musulmana per molti anni, il sacro nell’Islam viene richiamato costantemente a partire dal linguaggio, con espressioni come InshaAllah (se Dio vuole), utilizzate senza risparmio, in relazione a fatti anche del tutto ordinari del quotidiano («domani sera vado a cena fuori, InshaAllah!») e questa è un’altra cosa che ho apprezzato ed apprezzo enormemente del mondo islamico: questo costante ricordo della nostra “fragilità creaturale”, della nostra assoluta inadeguatezza di fronte alla pura intelligenza e pura potenza di cui il creato, “tutte le cose visibili ed invisibili”, sono costante espressione.
Un’altra parola araba che si usa comunemente è Alhamdulillah che significa: «grazie a Dio!». Viene utilizzata come espressione di giubilo o, ad esempio, quando qualcuno chiede a qualcun altro: «come stai?». Invece di rispondere con un banalissimo, frigidissimo: «bene!» ci si ricorda, ancora una volta, che a prescindere da come si possa stare in un preciso momento, il nostro stesso
esserci è comunque, prima di tutto, merito di Dio che è il principio ed il senso di ogni cosa. Infine, merita menzione un’altra espressione persiana, passata anche nell’Urdu e che viene utilizzata dagli stessi musulmani indiani.
L’ho conosciuta grazie ad un giovane ingegnere informatico della Comunità Ahmadiyya cui sono stato affidato, a Qadian, per essere supportato nella mia ricerca e che oggi mi aiuta con il sito di viverealtrimenti (viverealtrimenti.com). L’espressione è:
Khuda Hafiz e significa, letteralmente: «possa Dio essere il tuo guardiano!» ( io però preferisco tradurla con: «che Dio non ti perda mai di vista!») e viene utilizzata per i saluti di congedo.
Ricordo Zabi (il ragazzo di cui sopra) la utilizzò con me per salutarmi dopo aver chattato su facebook (dunque in un contesto, direi, ordinariamente profano). Io non ne conoscevo il significato e ho fatto una rapida ricerca in rete. Ricordo che mi emozionai quando ne trovai la traduzione, mi sembrò davvero bello chiudere una banalissima chat su facebook (in cui non abbiamo certo parlato di teologia) con quell’espressione e dunque, da allora, ho iniziata ad utilizzarla anche io, di tanto in tanto, per salutare gli amici.
Questo costante, quotidiano richiamo all’assoluto credo aiuti molto nel processo di nobilitazione. Ho toccato con mano la nobiltà del mondo islamico e credo che senza perdere troppo tempo in giudizi che — soprattutto in virtù di una generalizzata ignoranza — finiscono spesso per lasciare il tempo che trovano dovremmo semplicemente iniziare a goderci questa nobiltà e, in qualche modo e a nostro modo, a farcene concretamente ispirare!
Fg. Dossier: Se nell’Islam la religione si fa cultura e crea civiltà non trovi che ciò sia un po’ l’opposto della scelta laica occidentale, in cui si da per scontata la separazione e la reciproca indipendenza di religione e cultura?
Sì, che sia un po’ l’opposto della popperiana “società aperta”…
È una domanda molto difficile questa e richiede una preparazione che io, al momento, non mi sento di avere. È una questione molta dibattuta in diversi ambienti, se ne parla a livello accademico, se ne scrive su riviste come
Oasis che trovo molto ben fatta, è una domanda che dovresti porre più ai presidenti del
COREIS o dell’
UCOII che sono le due più importanti organizzazioni islamiche in Italia o a qualche esperto di diritto comparato e/o di diritto islamico.
Per me è molto importante il concetto di società plurale ed infatti abbiamo fatto degli incontri in cui compariva nel titolo. Inoltre, mi è sempre piaciuto pensare possano realizzarsi delle “dinamiche sintesi virtuose” (in realtà se ne realizzano di continuo, soprattutto su piccola scala). In altre parole, non possiamo non considerare che l’Islam e l’Occidente non sono due compartimenti a tenuta stagna ma due mondi che, oltre ad aver sempre interagito, si sono sempre — reciprocamente — contaminati (molto più di quanto la persona media possa credere). Oggi, poi, l’interazione sta diventando ogni giorno più stretta, nel momento in cui tante, diverse comunità islamiche stanno crescendo, molto velocemente, sul suolo europeo.
L’interazione può essere conflittuale (un esempio allarmante, in questo senso, è oggi la Svezia) ma si può anche lavorare valorizzando diverse, possibili complementarità. Io parto dal presupposto che l’Islam — che storicamente ha sempre dimostrato di dar vita ad un pensiero (nella sua pluralità) “forte” — possa rappresentare oggi, con le sue criticità, una risorsa per un Occidente che sembra quasi allo sbando.
Dall’Islam possiamo, ad esempio, re-imparare ad essere religiosi, ritrovando bandoli di fede perduti, essere ispirati a coltivare una maggiore nobiltà nelle relazioni interpersonali, a dare un rinnovato valore ad istituzioni tradizionali come la famiglia, ad una generale moderazione nello stile di vita (a partire da una maggiore attenzione nell’utilizzo di sostanze come l’alcool) e, anche se sembra banale, all’igiene personale.
I musulmani sono, infatti, pulitissimi («la pulizia è la metà della fede!»), prima di entrare in moschea bisogna lavarsi i piedi, le mani, gli avambracci fino ai gomiti e passarsi le mani bagnate sulla testa. In ogni bagno islamico, in una città come Londra dove pochi dispongono di un bidet, c’è sempre una brocchetta di plastica per lavarsi le parti intime. In moschea non solo bisogna entrare puliti ma anche profumati ed infatti, in visita di recente al
London Halal Food Festival, diversi stand vendevano profumi per il corpo e per l’ambiente. Spesso gli interni musulmani hanno un caratteristico profumo fresco e gradevolmente dolce.
Si può obiettare che lo stesso Cristianesimo si fa promotore di valori in buona parte simili e a questo si può facilmente rispondere che le due religioni non devono essere viste come necessariamente in competizione. In un Occidente dove il Cristianesimo non si può dire non sia in difficoltà, diversi valori, nel tempo, possono essere promossi anche dall’Islam (pur a fronte delle necessarie considerazioni da fare su quale Islam). Del resto, il dialogo interreligioso è un ambito molto affascinante dove si cercano proprio momenti di interscambio e collaborazione.
Consideriamo inoltre che tra il rifiuto o, nella migliore delle ipotesi, la diffidenza nei confronti dell’Islam in Europa da un lato e le conversioni di un numero crescente di europei (in maggioranza donne) dall’altro, esiste un’interessantissima zona grigia.
Parliamo di coloro disposti a farsi ispirare da quanto di buono possano trovare in questa grande religione. Io credo che ai nostri giovinastri, spesso smidollati, confusi, che cercano maldestramente di rimorchiare su facebook dove non esitano a prendersi licenze come insultare il proprio prossimo (protetti da uno schermo), non farebbe male una visita a qualche moschea.
Per quello che ho avuto modo di vedere ed esperire, i musulmani sono molto accoglienti e felici di ricevere qualcuno di un’altra religione o di nessuna religione in visita. Già un pur blando interesse nei loro confronti li dispone molto bene. Io frequento spesso le moschee a Londra, non ho mai avuto mezzo problema, nel periodo del Ramadan rimediavo anche la cena (risate). Difatti, dopo la preghiera della sera, a chiunque si presentasse in moschea — musulmano, cristiano, ebreo,
homeless che fosse — veniva dato del cibo. Per gli
homeless (che sono drammaticamente in aumento a Londra) le moschee sono una risorsa nel periodo del Ramadan.
Certo, bisogna saper stare al mondo, se si frequenta anche saltuariamente una moschea bisogna avere chiari quali siano i
dos and don’ts, per usare un’efficace espressione inglese (i comportamenti da adottare e quelli da evitare). Dunque: iniziamo, in particolare noi italiani, a smetterla di coltivare eccessivi pregiudizi sull’Islam (pur cercando di evitare di cadere nell’acriticità), di vederlo soprattutto come una minaccia, un tabù e relegarlo in una sorta di rimosso collettivo. Iniziamo, piuttosto, a prenderci la briga di conoscerlo più a fondo, sui libri e sul campo. Iniziamo a interrogarci assieme su questioni come quella che mi hai posto tu con questa domanda. Parliamone anche con loro e, a fronte di molte incomprensioni, chissà che non inizino a venir fuori anche delle interessanti sintesi virtuose….
Fg. Dossier: Cosa pensi del fatto che mentre nell'Islam si sviluppa un binario esistenziale fondato sulla scrittura religiosa, in Occidente invece ognuno è solo a crearsi il proprio binario personale, eccetto per chi sceglie un binario religioso già esistente?
Credo ci sia il rischio si tratti, in entrambi i casi, di un’arma a doppio taglio. Noi occidentali siamo disorientati perché prodotto di una società secolarizzata, dunque “aperta”, plurale. Un buon esempio di società plurale l’ho riscontrato a Londra (uno dei moltissimi). Nella fattispecie nel quartiere etnico di White Chapel dove c’è una delle moschee più importanti della città. Io vivo non molto distante e dunque capita frequenti tanto il quartiere quanto la moschea.
È stupendo vedere che, nel momento in cui si esce dalla moschea dopo una delle cinque preghiere (io vado in genere a quella pomeridiana), attraversando la strada si può finire, direttamente, in un classico pub londinese. Volendo si può arrivare in moschea, lavarsi ai lavacri collettivi, immergersi nella preghiera, leggere qualche verso in una delle molte copie del Corano a disposizione dei fedeli e poi uscire, attraversare la strada ed andarsi a rilassare al pub senza fare più di venti metri. Non voglio assolutamente essere blasfemo (qualche musulmano lo potrebbe pensare), voglio solo raccontare con un paradosso come effettivamente questa città riesca ad essere straordinariamente inclusiva. Non è un tabù l’Islam, ci sono tutte le moschee che vuoi a Londra ma non per questo vicino ad una moschea non può esserci, a pari diritto, un pub malgrado l’alcool sia proibito dal Corano.
Io, ribadisco, sono un sostenitore della società plurale che dunque non può non essere multietnica e pluriconfessionale (altrimenti dove starebbe la sua pluralità?). Quanto l’Islam possa pienamente integrarsi in una società plurale, quale Islam possa farlo (perché anche in questo caso siamo di fronte ad un fenomeno plurale) è qualcosa di cui, spero, parleremo sempre di più. Dunque, per riprendere dall’inizio, noi occidentali siamo disorientati anche perché prodotto di una società che lascia libertà di scelta, non instrada l’individuo su un binario preciso, per riprendere la tua immagine.
Sicuramente i musulmani sono, molto più di noi, instradati su di un binario fondato su una scrittura religiosa. Loro sono meno disorientati ma non hanno la nostra stessa libertà di farsi ispirare da tradizioni diverse. Non so quanto si possa affermare ci sia una tradizione perfetta, mi sembra piuttosto evidente quanto ciascuna abbia i suoi punti forti ed i suoi punti deboli (pensiamo solo, per fare un esempio di un certo impatto, ai circa 200 milioni di intoccabili che ci sono ancora in India e a come l’istituzione stessa dell’intoccabilità continui ad essere, in buona misura, sostanzialmente tollerata in quello che Alberto Moravia definiva “il paese della religione”).
Poter considerare le diverse tradizioni in maniera “non dogmatica” perché non si aderisce integralmente a nessuna può avere senz’altro, a sua volta, vantaggi e svantaggi. Come vedi, però, questo mio è un ragionamento che esce da una testa di una persona nata e cresciuta in un Occidente in buona parte, oramai, secolarizzato, nella società
aperta e
plurale cui abbiamo accennato. Un musulmano ti risponderebbe in maniera probabilmente diversa. Chiediglielo, intervista anche un musulmano, intervistane più di uno e sentiamo cosa ti viene risposto!
Noi, intanto, leggiamo il Corano, frequentiamo — con rispetto ma “laicamente” qualche moschea, per chi è religioso o comunque si sente di farlo credo non vada assolutamente esclusa l’ipotesi di partecipare alle preghiere — e cerchiamo di conoscere meglio questo grande e controverso soggetto che sta crescendo in casa nostra. Evitiamo di fare gli struzzi e di cadere nelle insidie di un rimosso collettivo; cerchiamo di essere “socialmente adulti”. Mi scuso per l’inevitabile superficialità delle considerazioni di questa intervista (di cui ti ringrazio), non possono che essere un piccolo sasso nello stagno.
Khuda Hafiz!
FioriGialli Dossier intervista Manuel Olivares
Londra-Roma, agosto 2018
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