LA SINISTRA RIDOTTA A PENSIERO UNICO DELLE ELITES
di Carlo Freccero
La sinistra è oggi in crisi e si chiede come potrebbe parlare ai nuovi populismi per ricondurli nei binari di una democrazia elitaria che assomiglia più ad un’oligarchia che ad una democrazia in senso proprio.
Viceversa, anche quando dice di voler ascoltare il malessere di cui i populismi sono espressione, la sinistra si trincera nei luoghi comuni del politicamente corretto. Mentre, secondo me, basterebbe un’autoanalisi oggettiva per capire le cose da un’altra angolazione. La domanda è cos’è oggi la sinistra e cos’era una volta la sinistra? Perché c’è stato un così radicale cambiamento? So già la risposta. Ci sbagliavamo. E se ci sbagliassimo adesso?
In ogni caso riflettere su cosa sia stata la sinistra alle sue origini, contiene già la risposta al problema del populismo oggi.
Prima il populismo di destra non c’era perché molte delle istanze del populismo di oggi erano a sinistra. E la crescita dei diritti del popolo non era considerata reazionaria, ma progressista.
La grande frattura a sinistra inizia con la cosiddetta terza via e la resa completa dai progressisti nei confronti del neoliberismo. Da allora siamo immersi nel pensiero unico tanto da aver perso la memoria di noi stessi.
Nel 1968 avevo vent’anni ed ero di sinistra. Cosa significava allora essere di sinistra? Credere nella lotta di classe e nella coscienza di classe. Nessuno pensava allora che nel popolo ci fosse qualcosa di sbagliato che le élites dovevano “raddrizzare” per il bene del popolo stesso. Era il popolo che, assumendo coscienza, poteva e doveva guidare la società. E questo concetto, prima che di sinistra, è democratico.
Cos’è oggi essere di sinistra?
Essere politicamente corretti. Accettare il pensiero unico in maniera acritica e credere, presuntuosamente che, in quanto detentrici del pensiero unico, le élites devono guidare un popolo ignorante e rozzo, irritante per la sua mancanza di educazione.
È vero, questo popolo, il popolo che si raccoglie sotto l’etichetta di “populismo” non ha nulla a che fare con il concetto di “coscienza di classe” sulla base della quale, invece il proletariato marxista era considerato in grado di fare le scelte migliori per la società tutta. Ma è comunque un popolo che esprime un malessere, che coglie delle contraddizioni che sono reali e drammatiche, nella narrazione idilliaca del pensiero unico che vede nel neoliberismo e nei suoi diktat “il migliore dei mondi possibili”.
In quanto poi all’educazione al “politicamente corretto” che distingue le élitesdel popolo e che dovrebbe costituire la ragione della loro superiorità rispetto al popolo, siamo sicuri che sia “vera” e non sia piuttosto frutto di propaganda?
Da quando studio la propaganda non credo più al politicamente corretto. I diritti umani a cui abbiamo sacrificato i diritti sociali, mi sembrano usciti direttamente dalla Finestra di Overton, una metodologia per condizionare l’opinione pubblica con un graduale e progressivo lavaggio del cervello.
Cosa resta di sinistra a sinistra?
L’apparente solidarietà per gli ultimi. Oggi l’attenzione che ieri si tributava al proletariato, viene tributata ai migranti. È evidente che usare un linguaggio come quello della Lega e negare ogni forma di solidarietà è disturbante, scandaloso.
Ma almeno attrae l’attenzione su un fenomeno su cui, come altri considerati “naturali” dal pensiero unico, non ci poniamo alcun interrogativo. Per le élites i migranti non costituiscono problema perché risiedono in altri quartieri e insidiano posti di lavoro e salari che sono appannaggio delle classi più impreparate alla competizione neoliberista. Ma proprio ponendoci dal lato dei migranti e dei loro diritti, quale maggior diritto dovremmo riconoscere loro, se non il diritto a non emigrare, a non rischiare la vita su barconi improvvisati, a non subire violenze ed abusi, a non conoscere il disprezzo e il razzismo delle società che non vorrebbero accoglierli?
Sono stupefatto di vedere che il buonismo di sinistra si limita all’accoglienza ma non si pone mai il problema delle cause. Perché ci sono oggi tanti migranti? Perché siriani e libici che fino all’intervento dell’Occidente godevano di un tenore di vita elevato, sono oggi profughi in terra straniera? Non sono forse vittime di quel “politicamente corretto” che ci obbliga, come occidentali a continue missioni di pace e di solidarietà per restituire la democrazia ai paesi ancora al di fuori delle regole del neoliberismo? Non si tratta di “aiutarli a casa loro” ma di lasciarli in pace a casa loro.
L’ottusa opposizione populista all’immigrazione, segnala comunque un problema che alle sinistre tradizionali sfugge, perché, nell’ordine del discorso del pensiero unico dove tutto è “naturale”, e tutto è “irriformabile” e l’unica risposta possibile non è la coscienza, ma la carità.
Ma essere di sinistra non può ridursi ad un atteggiamento caritatevole, richiede piuttosto una visione diversa della società, rispetto all’ordine vigente.
Carlo Freccero
06/06/2018
fonte: ilmanifesto.it
Ho scritto sul manifesto del 5 giugno, che con l’adesione acritica alla terza via del neoliberismo la sinistra è diventata non l’antagonista del neocolonialismo globalista, ma addirittura, la sua maggiore fautrice. Aggiungendo che, in quanto sinistra, non può palesare le sue intenzioni. Un’esponente della destra come Trump può bombardare in nome della superiorità militare americana al grido “America First”. Una neocon liberal come Hillary Clinton o un buonista come Obama, devono trincerarsi invece dietro lo schermo dell’esportazione della democrazia.
La sinistra del politicamente corretto si estingue perché non riesce più ad elaborare un pensiero critico. In questi anni ha creduto alla favola dei dittatori cattivi e, come unico rimedio, ha proposto l’accoglienza dei profughi, vittime non dalla guerra, ma dei loro stessi governanti. Ha fatto propria l’equazione fascismo = comunismo. Si è schierata sempre dalla parte sbagliata. Questo perché la terza via non è che l’espressione del pensiero unico per cui tutto il resto è totalitarismo.
Di questo pacchetto di riforme dell’originario pensiero di sinistra, fa parte l’idea che la democrazia preveda una frattura popolo/élites, e che le élites debbano guidare un popolo incapace di autodeterminazione.
Confesso che le mie idee sulle élites nascono, come reazione, alla lettura del libro Propaganda di Edwards Bernays. Bernays, l’inventore della propaganda, la giustifica a partire dall’esigenza di piegare il popolo, mosso da istinti bestiali, ai voleri delle élites che invece perseguono a livello sociale, interessi legittimi. Questa visione elitaria della democrazia fa parte della visione del mondo americano. Ma, per fortuna, non è condivisa dalla nostra Costituzione che all’art.1 recita: «La sovranità appartiene al popolo».
Ma, polemizzando con queste mie considerazioni, sul manifesto dell’8 giugno Alessandro Dal Lago scrive che anche Gramsci credeva nelle élites. Siamo qui davanti all’ambiguità della parola élites che significa cose diverse in Europa o in America. Le sinistre europee, secondo la classica priorità del capitale culturale sul capitale economico, attribuivano al capitale culturale le élites. Viceversa l’America ha sempre e solo conosciuto il capitale economico. In un contesto neoliberista élites significa élites economiche, quindi multinazionali e banche con tutto il sistema di propaganda che le circonda. Il disprezzo del popolo in quanto incapace di conseguire risultati economici ha a sua volta radici nell’etica protestante che, come Weber ci insegna, attribuisce al ricco l’evidenza della grazia Divina.
Concludo sui migranti. Sono reduce da Migranti Film Festival di Pollenzo, dove ero in giuria.. Ho visto un film bellissimo, The Fifth Point of The Compass di Martin Prinoth che spiega il disagio della migrazione più che tutta la teoria. E’ la storia di un ragazzo straniero adottato in Sud Tirolo, cresciuto nella nebbia e nel gelo, che indagando sulle sue radici, riesce a ritornare nel suo paese. I bisogni identitari e culturali non sono necessariamente fascisti o di destra e l’occidente non è necessariamente il migliore dei mondi possibili. Temo che la sinistra, privata dalla sua classe di riferimento, il proletariato, abbia fatto dei migranti una sorta di foglia di fico per dimostrare di essere ancora dalla parte dei più deboli.
Ma i migranti non sono il nuovo proletariato perché la loro coscienza identitaria non è qui ma altrove. Hanno diritto a non essere culturalmente sradicati, a meno che non si tratti di una loro libera scelta. Viceversa gli abitanti dei quartieri più poveri in Europa, hanno diritto a non essere sradicati dalle loro usanze da parte di un’immigrazione culturalmente eterogenea. I migranti non risiedono in via Montenapoleone e non portano via lavoro agli amministratori delegati. Decidere come fanno le élites che il popolo è brutto sporco e cattivo perché non vuole accoglierli è ingiusto. E’ il popolo che porta il peso dell’immigrazione con la perdita di valore del lavoro manuale.
La svalutazione del lavoro in questi anni di ordoliberalismo e di euro, è stata possibile solo grazie all’esercito di riserva costituito dai migranti. E’ logico che le élites economiche siano favorevoli all’immigrazione. Le libera dall’incombenza di delocalizzare dove c’è disperazione, portando la disperazione direttamente qui.
Carlo Freccero
12/06/2018
fonte: ilmanifesto.it
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