L'APPRENDIMENTO INTELLIGENTE
di Alberto Nigi
“Laboratori e biblioteche, sale e portici e archi e dotte conferenze… Tutto sarà vano se sono assenti il cuore saggio e l’occhio che sa vedere”. (Anthony De Mello)
Parlare in poche righe di apprendimento intelligente e di com’è e come dovrebbe essere la scuola oggi richiederebbe un libro intero, ma fatto sta che senza apprendimento intelligente non esiste scuola, almeno quella capace di raggiungere gli obiettivi che le competono. Ovvio che l’intelligenza, oltre ad essere una prerogativa di entrambi discente e docente, dovrebbe esserlo anche delle istituzioni.
Quando ero studente liceale ho imparato ad apprendere con intelligenza grazie al mio professore di lettere Marcello Fruttini (oggi ultraottantenne preside a riposo, autore di numerose pubblicazioni). In seguito, grazie a lui, ho imparato ad insegnare con intelligenza e ad essere amato dai miei studenti.
Ecco il primo punto da tener presente: in termini tecnici, l’insegnamento altro non è che la giusta creazione metodologica di situazioni di apprendimento interattive e funzionali in cui l’informazione si muta in conoscenza (memoria a breve termine) e poi in formazione culturale (memoria a lungo termine). Ciò determina, nel tempo, scelte critiche e comportamenti adeguati individuali e sociali e orientamenti affettivi. Insomma, detto più semplicemente, tutto il complesso di una personalità in crescita dipende sì dall’eredità genetica e dall’ambiente, ma soprattutto dai percorsi educativi di cui la scuola è responsabile.
In una società civile che si rispetti la figura del docente dovrebbe essere tenuta nella massima considerazione, così come spontaneamente avviene nelle comunità tribali dove la trasmissione dell’esperienza e la continuità della tradizione sono la base della sopravvivenza e fanno riferimento all’anziano capo tribù e allo stregone, depositari di tutta la conoscenza.
Nella nostra società, medici, ingegneri, avvocati, professori, scienziati non esisterebbero se non avessero avuto al loro fianco gli insegnanti ad accompagnarli nel loro percorso formativo. Ciò implica, però, anche l’eccellenza del docente che deve essere assolutamente capace ed estremamente responsabile nel portare avanti la sua opera, intesa più come una missione che come un mestiere. La sua opera è di grande impegno perché deve tener conto delle esigenze specifiche delle varie fasi dell’età evolutiva, dialogando spesso con soggetti in età delicate e problematiche.
Dobbiamo ora chiarire che cosa si intenda per intelligenza e quindi individuare quali siano i metodi idonei per ottenere i risultati prefissati. Bisogna tener conto di una cospicua quantità di aspetti i quali concorrono a far sì che le energie e le disponibilità di docenti e discenti non vadano disperse.
L’intelligenza che definiamo “umana”, poiché anche gli animali sono a modo loro “intelligenti”, può essere generalmente suddivisa in due tipi o tendenze intellettive:
-
critica, ovvero capace di elaborare una memoria ragionata del passato. Essa è elaborativa, retrospettiva, deduttiva, riflessiva ed analitica. (Emisfero sinistro del cervello).
-
creativa, ovvero capace di configurare un’aspettativa prevedibile del futuro come progetto. Essa è espressiva, proiettiva, induttiva, intuitiva e sintetica. (Emisfero destro del cervello).
Sulla definizione di intelligenza gli studiosi così si esprimono: il soggetto intelligente ha capacità di comunicazione, facilità di apprendimento, capacità di adattamento, sa risolvere i problemi utilizzando il metodo migliore e più economico, è in grado di porre problemi grazie alla propria creatività, ha capacità di analisi critica, sa cogliere nessi e relazioni, sa fare collegamenti logici, ha capacità di progettazione.
Ritrovare tutti questi aspetti in un solo individuo è davvero eccezionale e molto raro, per cui l’insegnamento deve tener conto delle diversità che riguardano i discenti.
Una definizione d’intelligenza fra le più recenti è che essa rappresenti un incrocio o intersezione tra tempi e modi di apprendimento e tempi e modi di memorizzazione. Anche qui emerge il problema delle differenze fra soggetti: chi è rapido nell’apprendere può essere lento nel memorizzare ovvero può trovare difficoltà nel trasferire le nozioni analitiche della memoria a breve termine in quelle sintetiche della memoria a lungo termine o viceversa.
Howard Gardner, professore alla Harvard University, Massachusetts, padre della scienza cognitiva, ha elaborato la teoria delle “intelligenze multiple”, secondo cui l’insegnamento dovrebbe essere orientato in base alle predisposizioni innate di ciascun soggetto e alle sue attitudini. Inutile pretendere che divenga un genio musicale chi invece è portato alla pittura, alla matematica, o alla narrativa! L’obiettivo dell’insegnamento, quindi, dovrebbe consistere nella promozione del talento individuale.
Il talento riguarda le doti del soggetto che possono essere intellettive, artistiche, sociali, psicomotorie, oppure riguarda la sua creatività che implica la fantasia, l’originalità, la ricchezza di idee, la predisposizione ad un pensiero divergente. Il talento, inoltre è favorito dalle motivazioni ambientali e dalle sue stimolazioni ottimali, dall’impegno e dalla perseveranza nel voler raggiungere traguardi gratificanti, dall’amor proprio e dalla stabilità emotiva.
Il docente intelligente che intende far apprendere con intelligenza deve essere un vero professionista della comunicazione: egli sa che la scuola è uguale per tutti, ma che non tutti sono uguali nella scuola.
In classe il docente ha di fronte a sé un numero più o meno ampio di studenti, tutti diversi, di varia provenienza ed estrazione sociale, con differenti attitudini e propri tempi di sviluppo biologico. Il primo passo, dunque, è quello di creare una condizione socioaffettiva che metta in condizione gli studenti di collaborare col docente-coordinatore e fra di loro, mettendo ciascuno a disposizione il proprio talento. Senza questa intesa vi saranno pochi risultati educativi apprezzabili.
In passato studiare significava unicamente “leggere e ripetere”, “ascoltare e ripetere”, in un’atmosfera di rigore dove il docente esercitava la sua autorità dall’alto della sua cattedra e dove il rispetto era preteso, ma spesso non concesso. Oggi, molto più intelligentemente, il docente sta fra gli studenti che lo circondano e gli portano rispetto per la sua autorevolezza e la sua rispettosa disponibilità umana. La disciplina specifica diviene un campo di avventura dove docente e discenti pongono assieme delle domande e assieme cercano delle risposte. Qui l’indagine trasversale è fondamentale e si chiama “interdisciplinarità”, che prevede veri e propri percorsi di studio e di analisi comparate. Ecco che l’intesa intelligente con i docenti di altre discipline è importantissima.
Di norma i docenti, dopo la classica “spiegazione” dell’argomento, interrogano l’alunno, convinti di poter garantire un’equa e saggia valutazione, ma sarà vero? Può meritare il massimo dei voti chi ripete pari pari, acriticamente, ciò che ha sentito dire dal docente? Che valore ha una ripetizione “a pappagallo”? Siamo certi che costui abbia veramente capito e acquisito ciò che ha appreso? Tattica intelligente del docente sarebbe, invece, quella di farsi interrogare dall’alunno, perché soltanto chi conosce bene un argomento e lo ha ben capito è in grado di porre domande importanti, coerenti e pertinenti sul medesimo e quindi valutare l’esattezza di una risposta!
Cercando di ben distinguere tra istruzione ed educazione, le indicazioni ministeriali suggeriscono al docente tre ben precisi obiettivi educativi: sapere, saper fare, saper essere, ovvero le famose tre “C” del comune piano formativo: conoscenza, competenza, comportamento. A mio avviso invece le “C” dovrebbero essere cinque, le “cinque stelle” della docenza intelligente. Mancano infatti il “saper sapere” e il “saper capire” che implicano rispettivamente coscienza e consapevolezza. Sta qui il succo dell’apprendere e del far apprendere con intelligenza.
Alberto Nigi
08/06/2018
fonte: beppegrillo.it
|