di Maurizio Di Gregorio
La vicenda della Casa delle Donne si Roma è un caso esemplare di cui si parla in questi giorni. La giunta Raggi, (come già la precedente giunta Marino) aveva chiesto che fossero pagati i fitti agevolati degli ultimi 10 anni (per un totale di 880.000 euro) ma si è trovata davanti il consorzio di gestione della Casa delle Donne che ha cercato di continuare a fare quel che fa da sempre: non pagare.
Dopo due anni di trattativa e dopo che all’ennesima richiesta comunale di pagamento dei fitti arretrati veniva risposto chiedendo addirittura l’assegnazione gratuita del Palazzo ove si trova il centro, la Giunta Raggi decide di affrontare la questione di petto: avoca a sé la gestione dell’ immobile della Casa delle Donna, predisponendo con delibera comunale il reintegro del bene comunale tra le disponibilità dell’amministrazione con l’intenzione di intervenire direttamente in un progetto complessivo comunale di servizi rivolti alle donne e articolato anche nelle zone di periferia.
Cioè prende atto del fallimento del progetto Casa delle Donne ed interviene con un piano di riassegnazione degli spazi aperto anche alle associazioni attualmente ospitate dalla struttura ma anche alle altre. Con regolari Bandi di Concorso.
Un voltare pagina ed un ritorno alla legalità.
Apriti Cielo: il consorzio Casa delle Donne diffonde alcuni comunicati ed un volantino in cui proclama la Guerra Santa contro il Comune che vuole sfrattare la
Povera Casa delle Donne.
Inizia anche la solita raccolta di firme di solidarietà e si giunge persino ad una manifestazione sotto il Comune di alcune centinaia di donne tra cui spicca la presenza gongolante di alcune ministre del PD come Marianna Madia, l’immancabile Laura Boldrini, Veronica Pivetti ed altre. Loredana De Petris e Fassina (Leu). Nei Social si sprecano i commenti anti5stelle e si diffondono le classiche dichiarazioni di solidarietà.
Intervengono allora in
reazione le Donne del M5Stelle romano e le altre assessore comunali:
Le portavoce e i portavoce del M5S romano rifiutano di essere rappresentati come "fascisti senza cultura" che ignorano...
Pubblicato da Alessandra Maiorino su lunedì 21 maggio 2018
E subito dopo la stessa sindaca
Virginia Raggi:
In questi giorni ho letto molti articoli e ricevuto molti messaggi secondo i quali questa amministrazione vorrebbe chiudere la Casa delle Donne.Ebbene, chiariamo subito che questo è FALSO! Questa amministrazione non intende chiudere la Casa delle Donne né intende procedere a sgombero. E questo viene anche confermato dalla lettura della mozione votata in aula dai consiglieri M5S il cui contenuto è stato strumentalmente capovolto per far passare la tesi contraria. Cosa vogliamo fare?
Ma vediamo come stanno le cose. E riportiamo in poche righe e per sommi capi tutta la lunga storia:
Il Complesso del Buon Pastore è un ex convento del ‘600 situato nel cuore di Trastevere, al centro di Roma di 3.500 metri quadrati più giardino e corte interna per un totale di oltre quattromila metri disponibili divenuto di proprietà comunale e restaurato con larghezza di mezzi dal Comune di Roma.
Al suo interno vi è anche un bar, un ottimo ristorante (recensito su Tripadvisor) ed una specie di albergo. Vi si tengono molti spettacoli teatrali musicali e artistici (a pagamento) come parecchi convegni seminari e consultori (a pagamento).
Al suo interno vi agiscono trenta tra associazioni cooperative e onlus. Sono riunite in un Consorzio di Gestione che ne aveva vinto
il bando del Comune di Roma intorno al 2000.
Questo bando però regolarizzava anche il periodo precedente dal 1983 (anno in cui l’immobile con la delibera n. 6325 del Comune di Roma, veniva destinato “a finalità sociali, con particolare riguardo alla cittadinanza femminile” e assegnato, ma solo in parte, al Centro femminista separatista, costituito da dieci associazioni e gruppi del Movimento femminista)
all’anno 2000.
Con esso venivano già condonati
15 anni di fitti non pagati e si stabiliva un nuovo fitto mensile intorno agli ottomila euro, già decurtato del 90 % del valore reale dell’immobile (80.000/mese) proprio in considerazione del valore sociale delle attività lì condotte.
Da considerare che numerosi altri beni del Comune di Roma furono dati in uso ad associazioni e coop. sociali con un affitto agevolato già scontato dell’80%. Per la Casa delle Donne invece lo sconto reale fu del 90%.
In realtà da allora sono stati pagati solo 600.000 euro di affitti e si sono accumulati 880.000 euro di affitti non pagati: una discreta somma che la Giunta Raggi correttamente ha cercato di recuperare sia per riassestare il deficit delle Casse del Comune, sia per poter rifinanziare i progetti necessari come la viabilità, le scuole, e gli asili nido e le altre tante necessità della capitale.
Il Comune di Roma ha il dovere giuridico, oltre che politico e morale di risanare il bilancio di una città disastrata come Roma ma riconosce anche l’opportunità della valorizzazione delle iniziative sociali: infatti anziché emettere una sentenza di sfratto giunge all’ultima delibera in cui si fa carico anche della necessità di riorganizzare i servizi rivolti alle donne nel Comune di Roma e deliberando il ritorno della struttura al Comune, e annuncia nel contempo la creazione di nuovi bandi aperti anche alle associazioni attualmente attive all’interno della stessa casa delle Donne.
Immediata però la reazione negativa e la mobilitazione della Casa delle Donne, forse suggerita ed ispirata anche da esponenti di altre forze politiche (PD e Leu) evidentemente interessati alla strumentalizzazione politica della vicenda ed al suo esito negativo.
Nelle righe di sopra trovate i link dei documenti citati. Tra essi emerge ancora un altro fatto: il Consorzio non ha mai rendicontato (
tranne che nel 2007) le sue attività al Comune di Roma come invece stabilito dallo stesso atto di concessione. Pertanto possiamo sostenere che vi è stata una condotta completamente illegale protratta negli anni, nonostante le condizioni di assoluto favore alle quali il bene pubblico era stato concesso in gestione.
Le circa 30.000 donne che usufruiscono ogni anno della casa delle Donne non hanno naturalmente idea, e con loro la cittadinanza romana tutta (che si adatta da sempre ai prezzi ultracari romani di abitazioni uffici e laboratori), che quel bel Convento del ‘600, restaurato e ripristinato dal Comune di Roma, ha versato in 30 anni in media solo 1.400 euro mensili, non quindi un fitto d’occasione per un bicamere al centro di Roma, ma per una grande ed accogliente palazzo di 4.000 metri quadrati nel costoso centro storico romano.
La situazione è certamente complessa, non dimentichiamolo: nella Casa delle Donne da un parte vi sono anche attività di pregio e con chiaro valore socioculturale, dall’altra alcune sono discutibili e solo commerciali e una buona parte della struttura è chiaramente sottoutilizzata. Comunque sia, il fitto già agevolato non viene versato nonostante le attività commerciali e quelle socioculturali di un certo successo. Una realtà quindi che forse socializza i costi e nasconde i profitti, oppure che non è gestita economicamente in modo corretto, alla dunque una morosità da irresponsabili con il Comune di Roma.
Per così arrivare negli ultimi giorni all’attuale situazione pubblica con già le prime strumentalizzazioni politiche.
Speriamo che la vicenda non si risolva in una occasione di scontro tra forze politiche antagoniste e prevalga, da ambo le parti e soprattutto da parte delle donne della Casa delle Donne di Roma quello che non vi è finora mai stato: uno spirito di collaborazione con le istituzioni cittadine. Come del resto già in atto nel caso di diversi centri sociali che pagano regolarmente il fitto concordato col Comune e non hanno alcun problema.
APPUNTI SU UN CERTA MENTALITA’
Soffermiamoci infatti sui paradigmi mentali degli attori di questa vicenda: se da una parte
Virginia Raggi si fa carico sia delle necessità economiche del Comune, sia della necessità di salvaguardare ed anzi rilanciare una tipologia di servizi cittadini per le donne, dall’altra alcune associazioni femministe si mobilitano e scendono in campo lancia in resta per difendere il loro ”fortino cittadino”.
Mentre nessuno le vuole cacciare, esse non comprendono ancora che si possono avere altri atteggiamenti diversi con le istituzioni cittadine e ciò è sintomatico di un modo di pensare e di vivere.
Un mentalità italiana, di sinistra e più specificatamente romana.
Facciamo un altro esempio a questo proposito : anni fa avvenne la riforma delle Ferrovie dello Stato con un primo scorporo gestionale tra Stazioni e Traffico Ferroviario: fu creata per le Stazioni, una società a capitale misto stato/privati
, Grandi Stazioni.
Il suo commissario incaricato del restauro e del rilancio di Roma Termini si trovò davanti ad una realtà inaspettata e originale: praticamente nessuna delle attività commerciali aperte in concessione dentro la vecchia Stazione Termini (bar, ristoranti, edicole, tabacchi, negozi di articoli da regalo e souvenir) pagava gli affitti, no, non regolarmente, non pagavano proprio nulla (non che mancassero i soldi caspita !!) ed ancora più grave nessuno glieli aveva mai sollecitati.
Con una eccezione: la libreria della Stazione, il cui titolare Borri, poi fatto cavaliere, pagava regolarmente tutto ed in serena solitudine. La libreria Borri fu infatti l’unica a veder riconfermata la concessione alla Stazione Termini e ricevette anzi in premio la concessione ad aprire librerie in tutte le altre grandi stazioni italiane. (la faccenda fu anche oggetto di un approfondito servizio del settimanale Espresso)
(Come un una fiaba dal lieto fine oggi le Librerie Borri a Roma Termini e Roma Tiburtina sono gestite brillantemente dalle figlie del Cavalier Borri che hanno invece ceduto alla Feltrinelli le rimanenti altre nelle diverse città: questa è la storia dietro le librerie Feltrinelli che oggi vedete nelle varie stazioni cittadine).
Nei decenni passati vi era in molti luoghi, e soprattutto a Roma, questa mentalità: se non si era proprio costretti, nessuno pagava i suoi conti, solo ad esservi costretti questo succedeva. E la situazione era tollerata anche ai livelli bassi per nascondere le grandi ruberie e corruzioni a livello nazionale e politico.
Questa modalità di comportamento economico era la medesima sia per i corrotti che i corruttori di concessioni pubbliche sia per gli usufruttuari. Non pagava nessuno. A sinistra, come a destra.
Spesso gli assegnatari delle case popolari neppur pagavano i sia pur minimi affitti a cui erano sottoposti. Ed una volta emancipatisi dal bisogno le rivendevano. Del resto ospizi e ospedali moltiplicavano ricoverati per ottenere maggiori quote e via dicendo…
Recentemente la Raggi è stata accusata per aver sfrattato una sede del vecchio MSI (… se la prende solo con la destra) poi come è intervenuta sulla Casa delle Donne è stata prontamente accusata di fascismo. Un cosa stupida e parecchio vergognosa.
UN'ALTRA MENTALITA’
Con un'altra mentalità si sarebbe potuto procedere in altri modi, Quali?
Per esempio Laura Boldrini, che ha percepito
parecchi milioni di euro durante la sua Presidenza della Camera avrebbe potuto gentilmente e facilmente ripianare in
un colpo solo il debito della Casa delle Donne verso il Comune (solo
880.000 euro). Così da sostanziare il suo impegno femminista. E magari farsi aiutare per il suo rilancio dalla ricca borghesia di Nonunadimeno.
Oppure in alternativa le 30 tra associazioni cooperative e onlus che svolgono attività lì dentro potrebbero versare l’affitto di loro competenza: a conti approssimativi
266 euro mensili ciascuna, a Roma Centro neanche il costo di un box auto.
Oppure ancora i circa
80.000 firmatari della petizione su Change in difesa della Casa delle Donne avrebbero potuto più efficacemente fare un colletta (oggi è più usato il termine crowdfunding) contribuendo per
10 euro ciascuno in modo immediatamente più efficace e concreto.
Per fare questo tipo di cose, occorre però un certo tipo pensiero dentro la testa, un differente paradigma culturale, una mentalità basata sull’onestà,
sul rispetto della cittadinanza e delle istituzioni e sul senso di responsabilità comune: elementi assenti dalle mentalità mafiose, e clientelari, sia di destra che di sinistra, e movimenti purtroppo compresi.
Un approccio basato sul rispetto e sulla nonviolenza che ad essi sembra mancare. Peccato, questo può essere un oggetto del cambiamento.
LA POVERA CASA DELLE DONNE
Invece di una naturale riconoscenza per la straordinaria possibilità di un bene cittadino che hanno goduto (e peraltro parzialmente neanche adoperato) il comitato di Gestione della Casa delle Donne oggi prova persino ad estorcere una concessione gratuita dell’immobile stesso senza rendersi conto che l’insieme delle condotte tenute e reiterate negli anni quasi configura un reato di associazione a delinquere con finalità di Truffa nei confronti dello Stato.Di ciò, esse sono certamente inconsapevoli, e qui veniamo ad esaminare un altro aspetto della questione:
il vittimismo.
E’ tipico infatti dei movimenti femministi odierni agire e mobilitarsi sull’onda del vittimismo. Esasperando alcuni problemi reali. Alcune lo professano scientemente, altre ne sono succubi.
Esse si concepiscono non come esseri liberi e responsabili ma sempre e soprattutto come vittime, Vittime dei Tempi e in modo più marcato di tutto quello che si declina al maschile: l’uomo, il Padre, (ma più in segreto anche della Madre) e lo Stato.
Con tale pensiero esse pensano di essere assolte e libere da ogni responsabilità e questo permette loro di avanzare inesistenti e comodi diritti riparatori nei confronti delle controparti sia maschili (che al caso femminili) usati e rivendicati comunque come datori di possibilità, come Bancomat.
Chi è riconoscente al Bancomat?
Un modo neanche tanto subdolo per ottenere spazio e privilegi dai partner maschili come da genitori e amici, come anche soldi dallo Stato gonfiando statistiche su femminicidi e violenze sessuali e infine carriere indebite lucrando sulle quote rosa.
Un esempio tipico di tale mentalità è
Asia Argento che ha fatto una carriera e guadagnato milioni di dollari da una relazione sentimental-sessuale (da lei simulata) protratta nel tempo col suo produttore, salvo 20 anni dopo denunciarlo come mostro sessuale. Poverina, un'altra povera vittima! Me-too hanno detto altre. Non che un problema non ci sia ma ecco in due parole una bugia violenta, nell'insieme
la disonestà del vittimismo.
Il tutto è una faccenda troppo complessa per questo semplice articolo sulla Povera Casa delle Donne di Roma. Del resto chi me lo fa fare di addentrarmi nei meandri della sofferenza contemporanea o negli arrovelli d’Occidente?
In memoria di Liliana Ingargiola, indimenticabile e diversa.
Maurizio Di Gregorio
Nemi, 23-05-2018
Immagine in testa a sinistra
Liliana Ingargiola a 19 anni
e in fondo a destra:
Lilian Ingargiola nella tarda maturità.
Liliana Ingargiola aprì materialmente il riluttante portone secolare dell’antico palazzo del tribunale di via del Governo Vecchio, prima sede della Casa delle Donne di Roma
Fu una delle leader del MLD (Movimento di Liberazione della Donna - un altro tipo di femminismo, quello radicale non separatista ed abbastanza innocente dei primi anni '70).
E' deceduta il 24 novembre 2012 a Roma.