di Roshni Sekhar
Conobbi Daya Bai una quindicina di anni fa, a Delhi. Ero nella redazione di una piccola casa editrice che all’epoca era diretta da mia sorella Rukmini, quando vidi entrare questa signora magra, dall’aspetto un po’ “consumato” dal tempo, non più giovanissima. Camminava male e riusciva a malapena a stare diritta per il mal di schiena che aveva. Ma i suoi occhi, il suo sguardo aperto, privo i timore, erano in aperto contrasto col suo aspetto fisico. Per quanto dolorante e malandata, ci voleva poco a capire con chi si aveva a che fare. Un’anima indomita, coraggiosa fino alla temerità, una persona che aveva messo in un cassetto il proprio io e aveva dedicato l’intera esistenza ai deboli, ai reietti, ai più deboli tra i deboli, quelli di cui tutti approfittano e che nessuno aiuta.
Le chiedemmo perché fosse conciata così male e ci raccontò che un paio di giorni prima, nel villaggio dove vive, in un’area rurale del Madhya Pradesh, India centrale, degli uomini erano andati a casa sua a prelevarla con un camioncino aperto. L’avevano costretta a seguirli senza un motivo apparente e legittimo, solo per intimidirla. Dopo averla minacciata, l’avevano buttata giù dal camioncino in corsa. Nella sua lunga avventura insieme agli Adivasi, gli intoccabili, delle tribù che abitano e vivono delle foreste del Madhya Pradesh, non era quella la prima volta in cui era stata fatta segno di attenzioni da parte di chi gestisce il potere locale: latifondisti, usurai, grandi mercanti. Pochi anni prima un gruppo di donne probabilmente pagate dai latifondisti della zona, irritati con Daya Bai per il suo attivismo sociale, entrarono nella sua casa e la picchiarono duramente. Ricordando quell’episodio, la cosa che più la rattristava, più del ricordo del dolore delle percosse, era l’idea che erano state delle donne a picchiarla. Quelle stesse donne che lei cercava in ogni modo di strappare da una tradizione che le voleva sottomesse e sfruttate, in casa e nella società.
La sua reazione a questo drammatico episodio fu di eliminare tutte le porte dalla sua casa, un’umile dimora di fango e paglia, uguale a quelle dei contadini più poveri. ‘La mia casa è aperta a chiunque voglia venire a trovarmi. Non sarà certo una porta a fermare eventuali picchiatori o assassini’.
Ma come e quando era cominciata questa lunga avventura? Molti anni prima, quando Mercy Matthew, questo il suo nome originale, laureanda in sociologia, si era recata in questa zona dell’India centrale per completare sul campo gli studi necessari alla sua tesi di laurea. Mercy, che in inglese vuol dire misericordia, proveniva da una famiglia cristiana benestante del Kerala, nell’India del Sud. Da ragazza voleva farsi suora, e trascorse anche dei lunghi periodi in convento. Ma l’atmosfera paludata, avulsa dalla realtà circostante che caratterizza i conventi non le era piaciuta, si rese conto che non era quello il modo in cui voleva vivere la sua religiosità. Quindi riprese gli studi, fino alla laurea in sociologia. Come detto, per completare la tesi andò di persona a vedere queste popolazioni tribali di cui aveva saputo solo dai libri.
Trovò una realtà molto degradata. L’India moderna, in via di industrializzazione, cominciava a ritenere inutili queste comunità che vivevano ancora come nei secoli passati, mantenendo un rapporto strettissimo con la natura, da cui dipendeva la loro esistenza, se non ricca, almeno dignitosa. Più che inutili, un vero ostacolo ai piani di sviluppo degli uomini di città che erano molto interessati ai terreni boschivi abitati dalle tribù. Volevano sostituire le foreste ‘improduttive’ con piantagioni di tek per il legname o di caucciù per la gomma. Da qui un progresso di continuo estenuante disturbo della popolazioni locali. Disturbo operato in molti modi, senza disdegnare il ricorso alle minacce, a volte alla violenza e all’intimidazione e persino allo stupro sistematico delle donne, anche giovanissime. Spesso l’arma economica era anche più efficace, si prestavano soldi a interessi stratosferici, che i contadini non avrebbero mai potuto restituire. E alla scadenza ci si appropria delle loro terre, rovinandoli per sempre e costringendoli a scappare in città, spesso a fare i mendicanti.
Davanti a questa realtà di oppressione e abusi nei confronti di una popolazione priva di qualsiasi difesa, Mercy si indignò e decise che avrebbe fatto della causa di queste vittime dell’ingiustizia e della prepotenza più o meno legalizzata, la SUA causa, il motivo della sua vita. E così fu. Iniziò a girare da un villaggio all’altro parlando ai loro abitanti dei diritti che avevano e di come venissero regolarmente calpestati dai potenti. Essendo una persona colta e preparata, al contrario dei locali, aveva i mezzi per opporsi alla prepotenza. Iniziò anche a studiare legge, laureandosi e diventando avvocato. Presto divenne famosa in tutta la zona, e il suo nome venne trasformato in Daya Bai, sorella misericordia. Molti la conoscono anche come ‘Lady on a pony’, per la sua abitudine di girare la zona in sella a un mulo.
Dopo qualche anno si rese conto che da sola non riusciva a fronteggiare tutte le questioni legali che si proponevano senza sosta, così organizzò un gruppo di avvocati che collabora
no con lei gratuitamente. Non contenta, per capire meglio i punti salienti delle controversie, si diplomò in Scienza dell’Ambiente.
Alcuni anni mio marito andò a trovarla nel suo villaggio e fu suo ospite per alcuni giorni. Fu colpito dal viavai di contadini, di persone semplici, ma anche di attivisti che venivano a trovarla per trovare in lei ispirazione e consigli dettati dalla lunga esperienza di lotte sociali. Ma le cose che più lo colpirono furono, da una parte l’immenso amore di cui Daya Bai gode da parte degli abitanti dei villaggi e dall’altra l’incredibile umiltà con cui si rapporta con ognuno di loro. Una vera Bai, una sorella maggiore, a cui ricorrere per un consiglio, un parere, un aiuto. Il tutto nella maniera più disinteressata possibile.
Oggi abbiamo l’opportunità di conoscere di persona questa donna straordinaria, forte, sicura che del fatto che l’unico modo di vivere, di vivere veramente, è quello di dimenticare se stessi e dedicarsi agli altri.
Roshni Sekhar
Per l’incontro con Daya Bai una donazione di 10€ è gradita. L’intera somma raccolta verrà consegnata direttamente a Daya Bai. Le spese sono molte e l’unica fonte di sostegno sono le donazioni.
Per chi fosse interessato a sapere di più sulla sua storia, sia in rete che su youtube ci sono molte cose su di lei, anche se la maggior parte in inglese o in una delle lingue indiane. Inoltre, stanno girando un film su di lei in cui l’attrice Bidita Bag interpreterà la parte di Daya Bai.