NO ALLA DIREZIONE FOLLE
Intervento di Tiziana Ciprini (M5Stelle) alla Camera dei Deputati
TIZIANA CIPRINI. Grazie, Presidente. In Italia una donna su cinque non fa più figli. In Italia la bassa soglia di sostituzione nella popolazione non consente di fornire un ricambio generazionale. Il valore di 1,37 figli per donna colloca il nostro Paese tra gli Stati europei con i più bassi livelli. Questo determina un progressivo invecchiamento della popolazione. Nel 2050 la popolazione inattiva sarà in misura pari all'84 per cento di quella attiva vista. L'ISTAT ha stimato circa 74 mila bambini nati in meno rispetto al 2008. Le previsioni demografiche che si ricavano da tali andamenti stimano, nel 2050, una quota di ultrasessantenni pari al 22 per cento della popolazione mondiale, circa due miliardi di persone, e pari al 37 per cento della popolazione europea.
La dinamica della denatalità, che caratterizza il nostro Paese, mostra un andamento ancora più pronunciato nelle ultime generazioni, per le quali si assiste a una progressiva contrazione delle nascite e a uno spostamento della riproduzione in età sempre più tardiva. I giovani non mettono su famiglia perché non hanno un lavoro che garantisca loro una stabilità, sia economica che emotiva, oppure perché condannati, grazie anche al Jobs Act, a un precariato a vita.
Il ritardo nell'entrare nel mondo del lavoro ha una conseguenza diretta anche in relazione allo spostare in avanti alcuni passaggi determinanti, quali il matrimonio e avere figli. Giovani sempre più rassegnati, condannati a consumare senza produrre, con un tasso di disoccupazione giovanile del 37,9 per Pag. 82cento. Anche l'età media del parto è giunta ormai a 32 anni. Particolarmente elevato è stato l'aumento delle over 40 al primo figlio, passate dall'1,5 per cento al 4 per cento, mentre le madri fino a 24 anni sono diminuite dal 13 all'11 per cento.
L'analisi non può prescindere dal mettere in relazione la tematica dell'istruzione con il ritardo nei tempi della maternità e paternità. La crescita del livello di istruzione ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione dei nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico nel rapporto di coppia per il raggiungimento dell'indipendenza economica e sociale. Occorre poi evidenziare che il sistema universitario italiano è connotato da un'eccessiva durata del percorso.
Cosa fare dunque di fronte a una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte del mondo del lavoro, sospingendole però verso ruoli maschili che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità ? La collettività, le istituzioni e il competitivo mondo del lavoro apprezzano infatti le competenze femminili ma pretendono comportamenti maschili. La trasformazione e l'emancipazione del ruolo della donna nella società non ha sostituito l'approccio tradizionale, piuttosto sembra sia andato a sovrapporsi con il risultato di far sussistere modelli contraddittori che impongono delle scelte.
Le donne però si trovano all'angolo, in quello che viene definito in psicologia «doppio legame»; si tratta di una condizione entro la quale qualunque scelta fatta è una scelta sbagliata, la scelta della non maternità appare però quasi da giustificare con la precarietà del lavoro, la mancanza dei servizi per l'infanzia, la crisi economica, ma qualsiasi scelta fatta avrà come conseguenza un senso di incompiuto.
La famiglia è quindi una cosa per ricchi, dove c’è famiglia c’è danaro, ma è innegabile che il capitalismo sfrenato stia distruggendo la famiglia. Il depotenziamento della famiglia va letto nella logica di sviluppo del capitale, il capitale aspira oggi più che mai a neutralizzare ogni comunità solidale ancora esistente, estranea al nesso mercantile, sostituendola con atomi di consumo isolati.
La famiglia è per sua natura solidarietà sociale, legame gratuito di naturale welfare State, le pensioni dei nonni sono infatti il vero ammortizzatore sociale. Solo la famiglia attutisce la precarietà e i suoi effetti, assicurando garanzie, tutele e stabilità all'individuo lavorativamente precario e insieme ponendosi come luogo comunitario e solidale estraneo all'egoismo concorrenziale.
Se la famiglia comporta per sua natura la stabilità affettiva e sentimentale, biologica e lavorativa, la sua distruzione risulta pienamente coerente con il processo oggi in atto di precarizzazione delle esistenze affinché l'individuo sradicato resti completamente solo e in balia delle leggi della competitività, mero consumatore sradicato senza identità, senza storia, senza radici e senza progetti.
La distruzione neoliberista del welfare State si accompagna infatti all'aggressione ai danni della famiglia, che è la cellula fondante di ogni società. Nel mirino anche le pensioni di reversibilità, adesso infatti il vostro Governo parla di universalismo selettivo per contrastare la povertà, un ossimoro per togliere ai poveri, per dare ai più poveri e livellare tutta la popolazione nel gradino più basso.
Agganciare le pensioni di reversibilità all'ISEE significa non basarsi sul reddito ma colpire gli immobili e i risparmi delle famiglie, possedere in famiglia case, terreni o qualche risparmio sarà considerato da voi una sfortuna, destra e sinistra però, equamente colpevoli nella distruzione della famiglia. infatti la politica sopraffatta dall'economia e dalla finanza è una favola costruita, un tacito accordo. In realtà è stata soprattutto la politica, attraverso le leggi che ha emanato nei Parlamenti europei, nel Congresso degli Stati Uniti, grazie a normative concepite dalle organizzazioni internazionali le cui azioni sono di fatto ispirate dai maggiori gruppi di pressione economica, a spalancare le porte del dominio delle corporation industriali e finanziarie, ovvero al capitalismo sfrenato.
Quindi fa abbastanza ridere che la destra liberista intenda ora difendere gli antichi valori borghesi della famiglia con una mozioncina, perché fa finta di non capire che i valori della famiglia tradizionale sono ormai incompatibili con gli assetti economici del moderno capitalismo globalizzato, di cui la destra è paladina, che si concretano in privatizzazioni selvagge, competitività, distruzione del bene comune.
La sinistra liberal chic e progressista invece vuole decostruire quei valori borghesi ma così facendo si pone come pienamente funzionale al capitale, diventando anzi il volto moderno, gradevole, democratico e politicamente corretto del capitalismo. La sinistra del costume contrappone alla famiglia come comunità il bisogno individuale, talvolta meramente egoistico, che assurge a diritto individualistico da perseguire a tutti i costi anche quando va a ledere profondamente il bene comune. Per la sinistra radical chic, ad esempio, chi si ostini a pensare l'ovvio, ovvero che vi siano naturalmente uomini e donne, che il genere umano esista nella sua unità tramite tale differenza e ancora che i figli abbiano secondo natura un padre e una madre, è immediatamente bollato con l'accusa di omofobia.
Ecco così che il neoliberismo oggi dominante è un'aquila a doppia apertura alare: la destra del danaro detta le leggi strutturali e la sinistra del costume fornisce le sovrastrutture che la giustificano sul piano culturale. È una disgregazione, quella della famiglia, venuta da lontano e iniziata con l'evaporazione del padre.
Un certo tipo di femminismo, quello egualitario anglo-americano, è stato l'utile idiota in questa evoluzione del capitalismo. Il femminismo egualitario sostiene che sarà possibile raggiungere una vera parità tra uomini e donne solo quando nulla sarà più in grado di distinguerli tra loro. Così un movimento che una volta promuoveva la solidarietà sociale ora celebra le donne imprenditrici, una prospettiva che una volta valorizzava la cura e l'interdipendenza ora incoraggia il successo individuale. Il femminismo che criticava il capitalismo organizzato di Stato è diventato ancella del nuovo capitalismo disorganizzato, globalista e neoliberista.
La critica al paternalismo dello stato sociale è coincisa con l'abbandono da parte degli Stati di politiche redistributive orientate a combattere la povertà. Il nemico giurato di questo femminismo è il modello patriarcale della società, considerato discriminatorio e oppressivo, che indurrebbe gli stereotipi di genere mentre si assume invece come concetto puramente teorico che maschi e femmine avrebbero gusti, inclinazioni, passioni e predisposizioni identiche che solo la cultura patriarcale sessista non farebbe emergere: sono i gender studies. Far credere che comportamenti di uomini e donne sono differenti come risultato di un condizionamento patriarcale significa che essi possono cambiare con una differente educazione.
Questa ipotesi mette sotto accusa un modello educativo che pone le bambole sulle braccia delle ragazzine e che incoraggia la competizione tra maschi sin dalla tenera età. Per indurre un cambiamento di questo modello era necessario pensare a una contro-educazione che li sottraesse sin dalla tenera età a così evidenti condizionamenti improntati a valori patriarcali. Da qui la differenza tra sesso e genere: il sesso – ovvero quello fisico – maschile e femminile e il genere, ovvero la dimensione culturale.
Questa convinzione, che nega al sostrato biologico gli elementi innati, è una palese falsità scientifica e arriva a disconoscere l'evoluzione umana. Tale concezione è nata e si è sviluppata in particolare negli Stati Uniti ed è stata fatta propria dall'ONU, dall'UE e dalle relative ONG che la propagandano in ogni documento; legami con le grandi fondazioni statunitensi e con le multinazionali sono evidenti e documentati. Quindi condivido la tesi di Alessandra Nucci secondo la quale questo tipo di femminismo è stato elaborato a tavolino da un’élite intellettuale e non si propone affatto di favorire la volontà femminile, bensì di incanalarla per scopi non sempre corrispondenti all'interesse delle donne e qualche volta addirittura contrari, il tutto congruo con gli scopi dei poteri forti, economici, finanziari e politici, che puntano alla costruzione di individualità deboli e malleabili, senza più radici, utili all'instaurazione del nuovo ordine mondiale.
Questa grande narrazione femminista ovvero del padre oppressore è l'unica ammessa, basta partecipare ai cocktail party della Boldrini per rendersi conto che quasi tutto è ridotto a mettere l'articolo determinativo femminile in tutte le cose, «la» ovunque, e a indignarsi solo per le battute sessiste dei colleghi maschi. Certo, il linguaggio è una struttura di potere – dice la Presidente Boldrini – infatti, è vero; sarà per questo che sono sparite dal linguaggio comune parole come «maternità» e «paternità», sostituite da quella di «genitorialità».
La parola «genitore» significa colui che genera, ma nella nuova concezione genitore è colui che esercita una funzione, o colui che, desiderando un figlio, lo produce ricorrendo a un accordo commerciale, a una procedura di produzione tecnologica, come l'utero in affitto, ad esempio. Anche i corsi di preparazione al parto hanno cambiato denominazione, adesso si chiamano corsi di accompagnamento alla nascita e alla genitorialità; questa trasformazione semantica rimanda a una trasformazione dei ruoli all'interno della coppia e lungo tutto il percorso del ciclo di vita familiare.
Ebbene, viviamo già in un'epoca post patriarcale ed emerge qualche consapevolezza, che la fine del patriarcato non significa, di per sé, una società migliore, anzi l'assenza di un ordine simbolico del padre, con l'educazione al limite individuale, porta all'indifferenzazione, tipica del rapporto simbiotico madre-bambino, orientato all'onnipotenza e alla soddisfazione illimitata del bisogno. Senza il padre, la donna è reggente e il bambino è re e il bisogno individuale, quindi egocentrico ed egoistico, in una società senza padri e senza patria, assurge spesso a rango di diritto.
Così, la rivoluzione sessantottina e femminista sono diventate funzionali alla logica deemancipativa del capitale e si assiste oggi all'estensione dei mercati del pensiero orientati a valori del mercato negli aspetti della vita tradizionalmente governati da norme non di mercato. Le leggi del consumo, gli scambi contrattuali, dietro corresponsione di danaro, oggi sostituiscono le relazioni che avvenivano con gratuità all'interno della famiglia (si pensi ai lavori di cura per i bambini e gli anziani, oggi svolti a pagamento da babysitter e badanti).
Tutto, oggi, è mercificato, anche la vita: pensiamo all'esternalizzazione della gravidanza a madri surrogate, sia nei Paesi in via di sviluppo, ma anche nella super democratica America. È la mercificazione di ogni cosa, che sta aumentando le disuguaglianze. Il risultato è che, senza rendercene conto e senza aver mai deciso di farlo, siamo passati dall'avere un'economia di mercato all'essere una società di mercato.
Ecco allora che il capitale mira ad eliminare la famiglia, così come altra comunità ancora esistente, sostituendola con atomi che si relazionano tra di loro secondo le leggi del consumo. E si tende a eliminare la visibilità del processo di produzione della merce: il consumatore resta totalmente indifferente al modo in cui si produce, pur di appropriarsi dell'oggetto desiderato.
Non importa se l’iphone viene prodotto sfruttando i bambini; non importa se il bambino viene concepito sfruttando e depredando gli ovuli delle giovani ragazze; qualcuno, evidentemente economicamente benestante, adesso vuol farci credere che è normale comprarsi il figlio con l'utero in affitto pur di soddisfare il proprio egoistico desiderio, per poi portarlo qui, in Italia, aggirando il divieto, e la pratica viene nei fatti depenalizzata dalle sentenze, come sta accadendo in Francia.
Ebbene, i sogni son desideri, ma non diritti: non esiste alcun diritto ad avere figli, ma esiste invece il diritto del figlio di conoscere le proprie origini biologiche. La sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, infatti, a proposito della questione del bilanciamento tra il diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini e il diritto della madre che lo ha abbandonato a rimanere anonima, ha stabilito il principio per cui il bisogno di conoscenza delle proprie origini rappresenta uno degli aspetti della personalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale.
Paradossalmente, in questo mondo mercificato, dove il capitale la fa da padrone, la fecondazione assistita, che era nata come risposta terapeutica a condizioni di patologia specifiche e molto selezionate, sta assumendo il significato di un'alternativa fisiologica. Non bisogna tuttavia dimenticare che i costi economici e i motivi della fecondazione assistita sono elevati e gli effetti sulla salute sono sconosciuti. I soldi si sono presi anche la vita di coloro che devono ancora nascere, mercificandola ed il business dell'industria della fecondazione assistita, nella sola America, frutta 6 miliardi e mezzo di dollari l'anno.
Così, negli iperdemocratici States, giovani donne sono state reclutate nei campus dei college con volantini pubblicitari, con scritto: «Sei alta ? Sei magra ? Sei attraente ? Hai il desiderio di aiutare qualcuno ? Dona i tuoi ovuli» ! Spot filantropici, che scimmiottano un falso altruismo, dietro pagamento di lauto compenso, che spesso serve alle ragazze per completare gli studi. È il business della stimolazione ovarica, senza informare dei rischi e dei gravissimi danni alla salute, come tumore, sterilità e morti. Ebbene, per chi vuole un figlio a tutti i costi, sbandierando un diritto che non esiste, la domanda è: «Lo fareste a rischio della vita di un'altra donna» ? Questa è la presunta eticità della gestazione per altri, inganno della semantica per nascondere pratiche abominevoli.
Concludo, con una domanda che poneva Tiziano Terzani all'umanità e che adesso voglio rivolgere sia alla destra che alla sinistra: È possibile rimanere fuori da un sistema che cerca di fare di tutto il mondo un mercato, di tutti gli uomini dei consumatori, a cui vendere prima gli stessi desideri e poi gli stessi prodotti ? Fermiamoci perché questa direzione è folle.
|