Come parli, così è il tuo cuore.
Paracelso

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UN ALTRO MONDO POSSIBILE
Creando una nuova Consapevolezza 
UN ALTRO MONDO  POSSIBILE
I FIORI DEL DOMANI
Tutti i fiori di tutti i domani
sono i semi di oggi e di ieri.

Proverbio cinese
Ancora un sogno
... Sì, è vero, io stesso sono vittima di sogni svaniti, di speranze rovinate, ma nonostante tutto voglio concludere dicendo che ho ancora dei sogni, perché so che nella vita non bisogna mai cedere.
Se perdete la speranza, perdete anche quella vitalità che rende degna la vita, quel coraggio di essere voi stessi, quella forza che vi fa continuare nonostante tutto.
Ecco perché io ho ancora un sogno...
Continua...
Varsavia
<b>Varsavia </b>







Hanno ucciso il ragazzo di vent'anni
l'hanno ucciso per rabbia o per paura
perché aveva negli occhi quell'aria sincera
perché era una forza futura
sulla piazza ho visto tanti fiori
calpestati e dispersi con furore
da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Sull'altare c'è una madonna nera
ma è la mano del minatore bianco
che ha firmato cambiali alla fede di un mondo
sulla pelle di un popolo già stanco
Continua...

POTETE SOLO ESSERE LA RIVOLUZIONE
Ursula le Guin

Non abbiamo nulla se non la nostra libertà.
Non abbiamo nulla da darvi se non la vostra libertà.
Non abbiamo legge se non il singolo principio del mutuo appoggio tra individui.
Non abbiamo governo se non il singolo principio della libera associazione.
Non potete comprare la Rivoluzione.
Non potere fare la Rivoluzione.
Potete solo essere la Rivoluzione.
È nel vostro spirito, o non è in alcun luogo

da " The dispossessed" 1974
LA FINE DELLA VITA
é l'inizio della sopravvivenza

<b>LA FINE DELLA VITA<br> é l'inizio della sopravvivenza </b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
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I CREATIVI CULTURALI
<b>I CREATIVI CULTURALI</b>





L'altro modo di pensare
e vivere

Ervin Laszlo
Possiamo pensare in modi radicalmente nuovi circa i problemi che affrontiamo?
La storia ci dimostra che le persone possono pensare in modi molto differenti. C'erano, in Oriente e in Occidente, sia nel periodo classico, che nel Medio Evo ed anche nelle società moderne, concezioni molto diverse sulla società, sul mondo, sull'onore e sulla dignità. Ma ancora più straordinario è il fatto che anche persone moderne delle società contemporanee possano pensare in modi diversi. Questo è stato dimostrato da sondaggi di opinioni che hanno indagato su cosa i nostri contemporanei pensano di loro stessi, del mondo e di come vorrebbero vivere ed agire nel mondo.

Una recente indagine della popolazione americana ha dimostrato modi di pensare e di vivere molto differenti.
Questo è molto importante per il nostro comune futuro, poiché è molto più probabile che alcuni modi di pensare preparino il terreno per uno scenario positivo piuttosto che altri.
Questi sono stati i risultati principali:
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PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI
<b>PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI </b>





Alexander Langer


La domanda decisiva è: Come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?
Lentius, Profundis, Suavius”, al posto di ”Citius, Altius, Fortius”

La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica
Continua...
CITTADINO DEL MONDO
<b>CITTADINO DEL MONDO</b> Graffito a Monaco






Il tuo Cristo è ebreo
e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana
e la tua camicia è hawaiana.
Le tue vacanze sono turche
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
di essere…. Straniero.
Il viaggiatore leggero
<b>Il viaggiatore leggero </b> Adriano Sofri
Introduzione al libro di Alex Langer, ed. Sellerio 1996

Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno-Bolzano) nel 1946, ed è morto suicida a Firenze, nel luglio del 1995.
Benché abbia dedicato la sua vita intera, fin dall'adolescenza, a un impegno sociale e civile, e abbia attraversato per questa le tappe più significative della militanza politica, da quella di ispirazione cristiana a quella dell'estremismo giovanile, dall'ecologista e pacifista dell'europeismo e alla solidarietà fra il nord, il sud e l'est del mondo, e sempre alle ragioni della convivenza e del rispetto per la natura e la vita, e benché abbia ricoperto cariche elettive e istituzionali, da quelle locali al Parlamento europeo, è molto difficile parlarne come di un uomo politico. O almeno, è del tutto raro che nella politica corrente si trovi anche una piccola parte dell'ispirazione intellettuale e morale che ha guidato la fatica di Langer. La politica professata, anche quando non è semplicemente sciocca e corrotta, non ha il tempo di guardare lontano, e imprigiona i suoi praticanti nella ruotine e nell'autoconservazione. Uno sguardo che
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MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
di Beppe Grillo

Ma che pianeta mi hai fatto? Petrolio e carbone sono proibiti. Nei centri urbani non possono più circolare auto private. L'emissione di Co2 è punita con l'assistenza gratuita agli anziani. I tabaccai sono scomparsi, non fuma più nessuno. Non si trovano neppure le macchinette mangiasoldi nei bar. La più grande impresa del Paese produce biciclette. La plastica appartiene al passato, chi la usa di nascosto è denunciato all'Autorità per il Bene Comune e condannato ai lavori socialmente utili. Continua...
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UN UOMO MOLTO VICINO A NOI


 


di Joseph Thomas Sankara

Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un paese povero. Se esiste una nazione in cui i politici al potere sono ricchi e privilegiati mentre invece il popolo e i cittadini soffrono la fame e la disoccupazione, ebbene, allora vuol dire che quella nazione è marcia e quel tipo di classe politica altro non è che la nuova modalità attuale di gestire, imporre e pianificare il colonialismo sfruttatore. Di questo passo, entro 25 anni, l’intero continente africano, ridotto al collasso, esploderà. E non sarà piacevole vederlo, per nessuno, né in America, né in Europa, né in Asia, né in Oceania. Dobbiamo muoverci adesso, ora, subito. E se non siete capaci di farlo per gli altri, per il bene, per un’idea di giustizia, e per amore dell’umanità, abbiate la compiacenza di farlo almeno per intelligenza, dimostrando che anche voi volete sopravvivere. Se non ci muoviamo immediatamente, tutti insieme, verremo spazzati via. Tutti insieme”.
Joseph Thomas Sankara. 10 ottobre 1987, dal discorso all’Onu, a New York.
 
 L’Onu, con sede a Manhattan, New York, è considerata da molte persone una organizzazione deludente, per non dire addirittura inutile. Non è così. Per molti aspetti spesso impacciata, imbrigliata nella burocrazia governativa planetaria, e più di una volta in ritardo perché, inevitabilmente, soggetta allo strapotere di Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, rispetto a tutte le altre nazioni, ha tre grandiosi punti di forza.
 
1). Quando e se il consiglio di sicurezza prende una decisione unanime contro una qualunque guerra in un qualunque posto del pianeta, nell’89% dei casi, è sempre riuscita a fermarla, bloccarla, impedirla.
2). Quotidianamente ha imposto la consolidata abitudine di far incontrare delegati diplomatici che parlano, discutono e si confrontano tra di loro, e quindi diffonde l’idea di conoscersi (soprattutto riconoscersi) nelle proprie diversità e unicità.
3). Migliaia di persone altamente competenti e qualificate, provenienti dai cinque continenti, ogni giorno lavorano nei micro-centri ufficiali (enti sotto l’egida dell’Onu) occupandosi di statistica, trend, produzione, diffusione e divulgazione di dati oggettivi inconfutabili, fornendo quindi a chiunque voglia essere informato una dovizia di notizie davvero utili per comprendere l’attuale stato di salute (o di malattia) dell’intero quadro geo-politico planetario.
 
Una decina di anni fa, aggiornandosi rispetto alle nuove modalità comunicative della società contemporanea ad alto impatto di alta tecnologia mediatica, ha istituito un succoso ufficio che segue ed elabora la costituzione e proliferazione di mega-trends e big data, ovvero la accurata identificazione e conseguente definizione, di ciò che in tutto il mondo corrisponde alle autentiche esigenze, pulsioni e richieste da parte della cittadinanza planetaria.
 
Nel 1952 era la pace il primo trend. Comprensibile e ovvio, visto che si era appena usciti da una guerra mondiale che aveva prodotto ben 125 milioni di morti, pari al 6% della popolazione mondiale: come dire, oggi, 400 mln, di cui soltanto 50 milioni nel continente europeo. Quella guerra iniziata in Europa il giorno di oggi, 1 Settembre, di 76 anni fa. Nel 1962 era il colonialismo, nel 1972 era la crisi energetica legata all’aumento del 350% del prezzo del petrolio, e così via dicendo. Nel 2015 (dati attuali) una bellissima notizia per tutti noi: è l’etica.
 
All’Onu sono registrate e riconosciute 193 nazioni. Nel 73% dei casi, una percentuale quindi largamente maggioritaria, si protesta, si manifesta, si combatte, contro un nemico che i cittadini planetari ignorano essere in comune con altri miliardi di persone: la corruzione politica della classe dirigente al potere. Alle ultime due riunioni dell’ufficio statistico centrale, qualche giorno fa, per due voti non è stato approvato l’ordine del giorno che intendeva portare “la manifestazione del nuovo allarmante trend” in seduta planetaria in diretta televisiva. Ma una ulteriore decisione è stata rimandata di 50 giorni.

E’ solo una questione di tempo. A Kuala Lumpur, in Malesia, milioni di persone stanno scendendo in strada in questi giorni contro la casta locale, identificata con una modalità corruttiva dedita al mantenimento dello status quo e dei privilegi. Accade lo stesso a Beirut, nel Libano. Accade lo stesso in Russia, comincia ad accadere in Cina. Si sta verificando in maniera virulenta in Brasile. Sta esplodendo in Messico, comincia ad accadere in Australia. Accade in Zambia, Zimbabwe, Kenya. Si sta verificando anche in Birmania. In Macedonia, tre mesi fa (notizia poco diffusa in Italia) la folla inferocita ha invaso le piazze circondando il palazzo del governo, i cui esponenti sono stati costretti a fuggire via; molti di loro all’estero dove, presumo, sono custoditi i loro tesori privati sottratti, come spesso accade, al bene comune. In Bulgaria, in Spagna, in Grecia non si parla d’altro. Anche da noi, in teoria. Soltanto in teoria.

 
Questo è il punto: soltanto in teoria.
Lo prova la notizia politica del giorno (secondo me, si intende), presentata con intelligente pudore e con estremo riserbo, ai limiti della clandestinità: si tratta delle dichiarazioni ufficiali di ritorno alla politica attiva e quindi alla presenza mediatica, di Giancarlo Galan, Luigi Scajola, Filippo Penati, Maurizio Lupi e Clemente Mastella. Tutte e cinque queste persone sono fortemente sostenute dai loro partiti di riferimento; tradotto vuol dire che li vedremo e li ascolteremo nei talk show televisivi del prossimo autunno, e i giornalisti li tratteranno con il dovuto rispetto chiedendo la loro opinione sulla crisi economica, l’emigrazione, l’euro, e mafia capitale. Un evento del genere, oggi, 1 Settembre 2015, non sarebbe possibile neppure in Bulgaria, la seconda nazione più corrotta d’Europa (la prima è saldamente l’Italia) e quarta in Occidente, dopo Messico e Brasile, che guidano l’ignobile record a nome del continente americano. I bulgari, infatti, hanno iniziato una forte protesta organizzata che ha spinto la classe politica locale a intervenire con atti, diciamo così, di bonifica.
 
Mentre aumenta la protesta mondiale dal basso (da parte dei cittadini) aumenta invece il livello di corruzione politica nei 146 paesi presi in esame dall’Onu, e la classe dirigente che gestisce il potere nelle singole nazioni si richiude in se stessa senza aver alcun pudore a riproporre figure che hanno fatto discutere e che, secondo me, non sono più politicamente riproponibili.
Ma si fa, pur di sopravvivere, non cogliendo la nuova tendenza.
 
Non così in Cina.
Due mesi fa, il segretario nazionale dei giovani comunisti, partecipando a una riunione del plenum del partito, ha denunciato con toni vibranti la corruzione politica della classe politica e imprenditoriale definendola “il carcinoma potenziale della repubblica popolare, ben più pericoloso e dannoso degli eventi borsistici sui quali è possibile sempre intervenire”. Le reazioni alle sue affermazioni, diffuse presso centinaia di milioni di giovani cinesi, è stata indicativa e sintomatica della saggia intelligenza dei cinesi, etnia sempre capace di muoversi con visioni di ampio respiro strategico: gli hanno dato ragione. Se si fosse verificato simile evento in Corea del Nord, sarebbe stato arrestato subito e il mattino dopo impiccato. In Russia, sarebbe morto da lì a qualche settimana in un tragico incidente. In Italia, è quasi certo, avrebbe goduto di 15 minuti di popolarità su facebook, dopodichè sarebbe stato prima isolato, poi emarginato, e infine ridotto al silenzio grazie alla complicità del sistema mediatico nazionale, o costretto alle dimissioni/espulsione, o vittima di una abile campagna mediatica di fango dalla quale è impossibile sopravvivere, oppure accantonato con conseguente promozione a presidente di un ente inutile sconosciuto a tutti, di cui nessuno parla, con lauto stipendio per sparire nel nulla travolto dagli agi.
 
In Cina, invece, grazie all’attuale crisi finanziaria internazionale (benvenuta! disse l’Etica sorniona) è iniziato un primo implacabile repulisti, dando vita a un succoso confronto interno sulle modalità eventuali da approntare subito, per porre un freno alla corruzione politica dilagante. Ciò che è accaduto nella provincia del Tianjin è davvero molto ma molto indicativo. Avete letto tutti le notizie, circa quaranta giorni fa, di una gigantesca esplosione verificatasi in quella lontana provincia. Ha provocato 139 morti, 240 feriti di cui 110 disabili vittime di invalidità permanente, nonché la produzione di una nube tossica di cianuro che ha gettato nel panico la popolazione locale. Il potere politico è intervenuto. Sono state arrestate 16 persone, a gruppi di quattro. I quattro responsabili della sorveglianza e sicurezza, i loro quattro superiori, i quattro dirigenti locali del partito e i quattro grossi nomi del partito che garantivano la copertura politica per poter agire assumendo personale in modo clientelare. Tutti e 16 finiranno sotto processo, licenziati per giusta causa.

Tra questi, emerge un caso molto interessante. Una di queste persone (membro politico importante del comitato centrale) si è suicidato in carcere, dopo aver scritto una breve lettera nella quale sosteneva di provare un livello di vergogna talmente profondo da essere consapevole di non essere più in grado di poter vivere in Cina, sapendo di essere una persona corrotta. Immediatamente, gli altri tre grossi papaveri, hanno confessato chiedendo pietà. La persona suicida e le altre tre ree confesse (due maschi e una femmina) hanno un livello di potere pari a quello che in Italia potrebbe corrispondere alla carica di sottosegretario ministeriale.
 
La marcia in più che ha la Cina, rispetto all’Italia, è proprio in questa capacità di far valere nell’immaginario collettivo il concetto di vergogna, per la consapevolezza di aver operato per guadagno privato invece di pensare al bene comune.
 
Nel nostro paese, questo evento non è ancora realistico. Non credo che esista nessun soggetto politico attivo parlamentare, nessun partecipante alle amministrazioni nazionali, regionali, provinciali, comunali, che sua sponte potrebbe agire in qualche modo perché prova vergogna. E’ un elemento essenziale questo, troppo sottovalutato, non a caso mai né affrontato né proposto, senza il quale il lavoro della magistratura diventa inutile. Per questo motivo penso che rispetto a mafia capitale non accadrà nulla e un bel mattino ci sveglieremo e qualcuno ci comunicherà che Roma è stata pulita ed è tutto a posto.
 
I cinesi (i dati li hanno forniti loro) hanno calcolato che la corruzione politica, nel loro paese, mangia circa 3.500 miliardi di dollari l’anno. Andando avanti di questo passo, tempo dieci anni potrebbero tornare ad essere un paese povero. E così, hanno deciso di muoversi subito. Con forza.
 
L’Etica (e qui ritorniamo al meraviglioso lavoro dell’Onu) contrariamente a ciò che la gente di solito pensa, non fa mai appello alla moralità, né alla spiritualità, non essendo territori di sua competenza. A quello ci pensa il Papa, e la classe intellettuale, quando c’è e se c’è.
 
L’Etica e la lotta contro la corruzione politica nel nome dei suoi principi, è il sistema più efficace, efficiente, intelligente e veloce di salvaguardare un tessuto sociale, impedendo la sua inevitabile deflagrazione, perché determina un sistema di regole condivise valide per tutti, nessuno escluso. E quando si parla di “deflagrazione”, in un mondo come quello di oggi, bisogna prevedere violenza incontrollata, crisi economica, fughe, profughi. Già, profughi, emigrazione. Proprio così. Gli studi statistici e sociologici preparati dall’ufficio studi dell’Onu, ci spiegano che la diffusione e propagazione della corruzione politica in Africa è il motore principale della miseria economica locale, della disperazione esistenziale e della conseguente fuga di individui verso l’Europa. La cifra per il 2016 è stata calcolata intorno a 5 milioni di persone e -nel caso non si intervenga a livello locale africano- nel 2017 intorno ai 10/15 milioni.
 
Gli africani sono corrotti. O meglio, lo sono il 92% dei governi al potere. Gli europei no. O meglio, questa è la percezione collettiva. Suffragata dal fatto che le più importanti democrazie occidentali, gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, sono nazioni nelle quali lo Stato e le Istituzioni esistono, sono molto forti, molto presenti e combattono la corruzione politica e imprenditoriale, l’evasione fiscale, l’elusione dei dispositivi legali con molta energia e forza. E’ vero. E’ così. In Germania, due anni fa, è finito in carcere dopo essersi scusato in pubblico, chiedendo scusa alla nazione, il presidente del Bayern Munich, la più potente squadra di calcio tedesca, tra le prime cinque al mondo come ricchezza.

Nello stato della Florida, a Tallahassee, negli Usa, un mese fa è stato arrestato un imprenditore medio-alto, per evasione fiscale. Gli è stato negato il patteggiamento, è stato condannato a 27 anni di galera, carcere duro, senza possibilità di riduzione della pena per i primi 15 anni.

In Gran Bretagna, due mesi fa, cinque esponenti di rilievo tra i conservatori, tre laburisti e due sindacalisti, sono stati prima espulsi per ignominia e poi denunciati alla magistratura dai loro stessi colleghi di partito. In Francia, sei mesi fa, un generale di brigata e quattro alti ufficiali molto ben messi politicamente, sono stati arrestati per frode valutaria e appropriazione indebita e il governo ha accettato la richiesta del ministero della difesa consentendo la corte marziale invece di quella civile. Sono stati degradati e condannati a 12 anni di reclusione in un carcere duro militare a Brest, in Bretagna. Queste nazioni sanno, e sono pienamente consapevoli, che la lotta alla corruzione, all’evasione, all’elusione della Legge, all’eliminazione dal tessuto imprenditoriale di ogni forma di collusione con le criminalità organizzate, sono la base strutturale portante di una società civile che tale voglia definirsi.
 
Gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, nazioni dalla solida etica invidiabile, hanno anche la loro corruzione, una corruzione a livelli più estesi e più profondi: in questo modo si appropriano dei territori di conquista. Per questo amano la Spagna, la Grecia e l’Italia; per questo amano la Tunisia, l’Egitto, la Turchia. Per questo motivo amano fare affari con queste nazioni: utilizzando la loro corruzione politica e imprenditoriale perché sanno che è il modo più facile ed economico per prendere possesso dei tesori di quelle nazioni. Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania e anche la Russia, la Cina e l’Italia.

Queste sette nazioni, insieme possiedono il 92% delle risorse energetiche, alimentari, finanziarie, economiche, ambientali dell’intero continente africano. E’ roba loro. E per garantirsi il possesso del territorio, foraggiano da sempre autentici criminali locali, ladri, assassini efferati, che vengono scelti apposta per la loro ferocia e ignoranza, purché garantiscano la salvaguardia degli interessi della Texaco, della Monsanto, della Shell, della Societè Generale, della British Petroleum, del gruppo Allianz, dell’Eni.
 
E l’Africa affonda, come ci spiega l’Onu.
La stiamo facendo affondare noi, i sette stati elencati sopra, con strategica e criminale miopia, senza alcun pudore etico dall’ottobre del 1987, quando si era in mezzo alla grande consultazione planetaria che avrebbe dovuto partorire il nuovo ordine mondiale nato dal crollo dell’impero sovietico, che in quel momento stava implodendo, maciullata dall’interno dal più corrotto sistema politico mai visto e registrato nella Storia d’Europa. In quell’anno, l’Africa pretese e ottenne, di partecipare alle riunioni planetarie, dopotutto è un intero continente nel quale vivono miliardi di persone e contribuisce con la propria ricchezza al 38% dell’economia occidentale.

Se non ci fosse l’Africa depredata, noi italiani non saremmo neppure tra i primi venti paesi del mondo. In quell’anno decisivo e fondamentale, il 1987, quando si gettarono le basi per l’edificio che sarebbe nato di lì a tre anni, l’Africa rialzò la testa. Durò un paio d’anni. A guidare la frontiera della grande riscossa di quel continente, era un capitano d’artiglieria che aveva vinto le elezioni democratiche nel suo paese, diventando il presidente del Burkina Faso. Si chiamava Joseph Thomas Sankara. Nel 1983 andò al potere. Il primo punto della sua agenda era la lotta alla corruzione in tutto il continente. Era implacabile. Riuscì a vincere la sua battaglia in Burkina Faso. E convinse anche il Gabon, il Togo, lo Zambia, la Costa d’Avorio, dove -per la prima volta nella Storia- le popolazioni locali elessero amministratori onesti.
 
Quelle sette nazioni entrarono in allarme, a tal punto era grave la situazione, che le 100 più importanti multinazionali del mondo dichiararono nel giugno del 1987 che si andava incontro a una gigantesca tempesta finanziaria “per colpa” di ciò che stava accadendo in Africa. Quando le borse di tutto il mondo crollarono, in quell’autunno, le grandi potenze del pianeta scelsero di gestire, pianificare e organizzare il nuovo ordine mondiale evitando a ogni costo che l’Africa sedesse al tavolo dei negoziati. E così, in piena crisi finanziaria, con l’Eni, Finmeccanica, Texaco, Exxon, Shell, Diamonds, Monsanto, British Petroleum, Allianz, Thyssen, Societè Generale de Frace, chiedevano immediate misure. All’alba del 15 Ottobre del 1987 Sankara veniva assassinato da anonimi mercenari, provocando l’irruzione dell’intera Africa centrale.

Decine di milioni di persone, in almeno dieci nazioni diverse del continente, si riversarono per strada e attaccarono le sedi delle grandi multinazionali occidentali. Tre giorni dopo crollavano le borse di Wall Street e Londra e 200 aziende olandesi e belghe legate al commercio di diamanti fallivano, temendo che gli africani s riprendessero le miniere che noi europei abbiamo loro rubato. Ci furono decine di migliaia di morti. L’intera famiglia di Sankara venne decimata nelle settimane seguenti per dare un segnale forte. Dopo qualche mese, i governi delle nazioni eticamente solide, Ua, Gran Bretagna, Francia, Germania, rovesciavano 28 governi sostituendoli con loro impiegati fidati producendo la più corrotta, immonda e impresentabile classe politica locale, al servizio dei nostri interessi strategici.
 
Oggi, la Storia bussa alla porta e presenta il conto.
Dieci giorni prima di venire assassinato, Joseph Thomas Sankara era andato a New York e aveva parlato all’Onu, in un commovente e indimenticabile discorso che infiammò le coscienze di tutto il mondo pensante. Tre mesi prima, riunendo la conferenza di tutti gli stati africani ad Addis Abeba, aveva pronunciato un discorso che qui di seguito riporto per intero. Serve per comprendere, per capire di chi sono figli  profughi odierni; da dove vengono, che situazione li ha partoriti.

Se non siamo in grado di ricollegare oggi i fatti e i fattori storici, se non andiamo all’osso del problema, come fece Sankara allora, chiedendo a gran voce il negoziato sul “concetto di debito pubblico”, riformulando l’intera politica planetaria per consentire a ciascun popolo, a ciascuna nazione, a ciascuna etnia, di usufruire della loro ricchezza per se stessi, non soltanto non ne verremo fuori mai, ma finiremo per confezionare un disastro epocale di immani proporzioni, per tutti noi, oggi, davvero impensabile. E’ ciò che Tsipras e Varoufakis hanno fatto in Grecia, ciò che Iglesias sta portando avanti in Spagna: sottrarsi alle sirene mediatiche ben pagate che ripetono come pappagalli la lezioncina scritta per tutti noi: è necessario diminuire la spesa pubblica.
 
Non è vero. O meglio, non è così semplice.
E’ necessario costruire un mercato diverso, andando a rinegoziare tutti i debiti pubblici del mondo e aprendo una trattativa planetaria sotto l’egida dell’Onu per la redistribuzione delle ricchezze. Soltanto così, si può affrontare la globalità. E’ l’unica strada per portare avanti un discorso serio e adulto sui profughi africani.
Tutto il resto è fuffa, masticata in maniera infantile, da questi impiegati analfabeti che ben rappresentano dentro i media le istanze, le esigenze, le rendite parassitarie di chi ha sempre vissuto dentro al privilegio garantito e non intende rinunciare neppure a un grammo, a un centimetro, a un grado e ha assolutamente bisogno di mantenere lo status quo, costi quel che costi.
 
 

Il discorso di Joseph Thomas Sankara 
ad Addis Abeba nel Luglio del 1987.

 
Signor presidente, signori capi delle delegazioni,
vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme : la questione del debito, la questione realtiva alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo.Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore.
 
Il timore che abbiamo è che le riunioni dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) si susseguano, si somiglino, ma che alla fine ci sia sempre meno interesse a ciò che facciamo.Signor presidente, quanti sono i capi di stato qui presenti che sono stati giustamente chiamati a venire a parlare dell’Africa in Africa ? Signor Presidente, quanti capi di stato sono pronti a volare a Parigi, a Londra, a Washington quando laggiù li si chiama in riunione ma non possono venire qui ad Addis-Abeba in Africa ? Questo è molto importante.stabilissimo delle misure di sanzione per i capi di stato che non rispondono all’appello. Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che vengono regolarmente, come noi per esempio , possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi. Per esempio : ai progetti che presentiamo alla Banque Africaine de Développement (BAD, Banca Africana di Sviluppo) deve essere attribuito un coefficiente di africanità I meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno qui alle riunioni.
 
Vorrei dirvi, signor presidente, che il problema del debito è una questione che non possiamo eludere. Voi stesso ne sapete qualche cosa nel vostro paese dove avete dovuto prendere delle decisioni coraggiose, perfino temerarie. Delle decisioni che non sembrano essere tutte in rapporto con la vostra età e i vostri capelli bianchi. Sua Eccellenza il presidente Habib Bourguiba che non è potuto venire ma che ci ha fatto pervenire un importante messaggio, ha dato un altro esempio all’Africa, quando in Tunisia, per le ragioni economiche, sociali e politiche, ha anch’egli dovuto prendere delle decisioni coraggiose.Ma, signor presidente, vogliamo continuare a lasciare i capi di stato cercare individualmente delle soluzioni al problema del debito col rischio di creare nei loro paesi dei conflitti sociali che potrebbero mettere in pericolo la loro stabilità ed anche la costruzione dell’unità africana ?

Questi esempi che ho citato, e ce ne sono altri, meritano che i vertici dell’OUA portino una risposta rassicurante a ciascuno di noi in quanto alla questione del debito.Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo.Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei «finanziatori».

Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri [gioco di parole in francese sbadigliatore/finanziatore, bâillement/bailleurs de fonds ].Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati.Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
 
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore.

Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema ; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E si parla di crisi. No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua.

Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare : il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa ? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso.

La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individi. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
 
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.
No ! Non possiamo essere complici. No ! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.
Signor presidente, sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. E’ normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne. Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato.

Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano.Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo.

Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato ? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare ! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.
E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.
 
Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che quanto al suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare.

Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. Ed è per questo d’altronde normale che paghi un contributo maggiore qui… Signor Presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, bellico. Questo per evitare di farci assassinare individualmente.Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza ! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
 
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. E’ contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano.Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra.Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest.

Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i macete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.
 
La ringrazio Signor presidente.      Patria o morte, vinceremo !
 

Fonte: thomassankara.net          
1 settembre 2015

 

Wikipedia: Biografia di Thomas Sankara

 

 


 

 



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