IL '68. A CHE SERVE OGGI LA MEMORIA STORICA?
di Massimo Marino
Lentamente, silenziosamente, la generazione che ha vissuto il '68, nata nei primi anni dopo la fine della guerra, esce di scena. Esce dalle fabbriche, dagli uffici, dalle scuole e dalle università, dai ministeri, dagli enti pubblici e dalle forze armate. L'esodo, ovviamente, è già in corso da almeno un decennio ma con il nuovo anno sarà pressoché impossibile trovare qualcuno che, al di là del lato della barricata su cui era schierato, possa raccontare a compagni e amici di lavoro come giravano le cose alla fine degli anni '60. Intanto è ancora in corso una guerra psicologica condotta sui media, che tenta di affermare che le lotte e le conquiste di quel decennio furono una aberrante anomalia e che oggi finalmente si presume di rottamare un epoca di irresponsabili diritti per tornare, finalmente, alla ragione: chi ha il potere, i soldi, chi è capace di corrompere, di fare il burattinaio nella società, è di fatto intoccabile, gli altri devono competere fra loro, essere responsabili, flessibili nella loro permanente precarietà sociale e soprattutto non avere memoria.
Non solo memoria di quegli anni che , al dunque, si vuol far credere, furono solo la premessa della stagione del terrorismo, ma memoria di tutto lo scenario sociale miserabile dell'Italia dei decenni successivi, quella della DC e delle stragi fasciste, quella dei patti inconfessabili con le mafie, quella della devastazione del territorio e dell'ambiente, dall' Acna all'Ilva, da Casale alla ThyssenKrupp, dalla terra dei fuochi alle ecoballe bassoliniane.
Se si esclude la fase della Costituente, con la quale si immaginò di costruire l'Italia repubblicana post fascista, l'unico periodo che vide nel nostro paese una significativa primavera riformatrice (dallo statuto dei lavoratori alla riforma sanitaria per tutti, dal superamento degli ospedali psichiatrici alla sconfitta degli aborti clandestini, dall'obiezione di coscienza ed il servizio civile per i giovani ad una maggiore laicità delle strutture statali, dalla legge sul divorzio alla soppressione del delitto d'onore, dalla riforma penitenziaria a limitate forme di rappresentanza sindacale nella polizia e nelle forze armate, fino alla nascita di organi associativi democratici dei magistrati, nella psichiatria, nei giornalisti), fu quello degli anni successivi al '68. Non tutto durò o finì con il tempo nella direzione giusta ma tutto fu il prodotto, per molti inconsapevole, delle lotte operai e giovanili di quegli anni.
Ci pensò il terrorismo e le sue bande armate, quello irresponsabile ''di sinistra'' e quello colluso ''di destra'', a fermare e contenere la possibilità che l'onda di rinnovamento radicale potesse conquistare e definitivamente riformare le istituzioni del paese. Se la matrice di destra, con le ventilate infiltrazioni dei cosiddetti '' servizi deviati'', si avvio già alla fine del 1969 (strage di Piazza Fontana) quella cosiddetta di sinistra si manifestò parecchi anni più tardi (fino all'omicidio Moro nella primavera del 1978). Quanti fra coloro che sono nati dopo la fine degli anni '60 (che oggi si avvicinano ai 50 anni) , quanti ventenni o trentenni di oggi hanno una conoscenza, anche sommaria , positiva o negativa non importa, di questo percorso storico , sociale, culturale e delle sue conseguenze oggi? Quanti soprattutto, da un recupero di memoria storica dei decenni trascorsi, sono in grado di trarre utili riflessioni per valutare avvenimenti, protagonisti, conflitti di oggi e non ricadere negli stessi errori e nelle stesse trappole?
I movimenti sociali del '68 non furono, come è noto ad alcuni, un fenomeno italiano, neppure solo europeo e neppure furono, nella fase nascente, un movimento prevalentemente ''di sinistra'' nella accezione tradizionale del termine all'epoca dei fatti. Nella fase nascente, e dirompente, fu un fenomeno prevalentemente giovanile (perfino nella saldatura con le lotte operaie nelle fabbriche i protagonisti principali appartenevano alle giovani generazioni e non ai vecchi operai sindacalizzati), con connotazioni anti-autoritarie, per la diffusione della democrazia dal basso, per i diritti del lavoro, per maggiori libertà individuali. E comunque fu un fenomeno nei fatti radicalmente riformatore. E tale rimase anche quando, rapidamente, le élite dei movimenti assimilarono i linguaggi, le forme di organizzazione, l'imbalsamatura ideologica e i micidiali limiti delle culture politiche, con varianti più o meno eretiche ed esterofile, delle innumerevoli versioni della sinistra: marxista, leninista, stalinista, troskista, maoista… fino a quella socialdemocratica; che nel frattempo si avviavano al fallimento in tutte le latitudini del pianeta.
Neppure i movimenti ambientalisti ed ecologisti degli anni '80-'90, geneticamente non ideologici, riuscirono ad emergere, in termini di egemonia politica, di leadership all'altezza, di successo elettorale, di aggregazione sociale e di scomposizione di quei blocchi sociali consolidati che, a destra e a sinistra , spesso uniti, hanno sempre impedito, specie nel nostro paese, un vero cambiamento sociale.
Quando alla fine del 2008, anno del quarantennio, decisi di scrivere, con qualche minima concessione autobiografica, il romanzetto storico 68 volte ti amo, con l'idea di tentare una lettura meno banale degli avvenimenti non solo italiani del 1968, non mi resi conto da subito in che guaio mi stavo cacciando. Il dilagare di movimenti con una comune matrice antiautoritaria e per vari aspetti radicalmente antisistema, in decine di latitudini del pianeta contemporaneamente, in un epoca dove non c'era internet ne i cellulari, neppure una parabola satellitare tv , al di qua ed al di là dei due poli della guerra fredda, è oggi, ben più di allora, una sorprendente novità che fa riflettere. Soltanto più di recente, con la stampa del libro per alcuni anni relegato nella sola versione sul web, e di una ulteriore rivisitazione storica, mi sono reso conto della vera dimensione epocale di quegli avvenimenti, ma soprattutto della contiguità e correlazione con quanto è avvenuto nei decenni successivi fino ad oggi.
Da qui la decisione, se energie e forze lo permetteranno, di proseguire, con altre due puntate a fine secolo e ai giorni nostri attraverso gli stessi protagonisti , la ''saga di Matteo''. Di riannodare tutti i fili della storia, specie italiana, perché si tratta di un unico filo, e trarne i tanti possibili insegnamenti. Riannodare i segmenti per comporre una memoria storica fruibile, quasi in funzione didattica, che oggi si è espressa spesso solo attraverso frammenti incompiuti e letture di parte.
Alcune tesi di un quadro di ricomposizione storica dei limiti che dal passato influenzano e continuano a condizionare i movimenti riformatori e/o antisistema di oggi possono però essere accennate brevemente.
- La frammentazione e la soggezione ideologica a schemi culturali del passato. Non c'è un solo paese europeo che abbia avuto negli ultimi 40 anni un panorama così ricco, come l'Italia, di movimenti radicali, di mobilitazioni sociali, di aspre battaglie, fino alla vittoria di vari referendum (fra i quali ben due attinenti alle scelte energetiche del paese, novità assoluta nel mondo) e che contemporaneamente abbia avuto una così desolante, inconsistente, pletora di partitini di più o meno vera opposizione oppure, nel caso del M5Stelle, emerso rapidamente in pochi anni, una così preoccupante fragilità organizzativa, una così esile formazione culturale, che lo espone pericolosamente ai rischi di dissoluzione della doppia A (Aggressione ed Autodistruzione). Altro esempio illuminante la riproposizione continua della rifondazione della sinistra con una soggezione ideologica alle origini che ha reso inefficace ogni tentativo e con i ripetuti fallimenti ha portato al disimpegno migliaia e migliaia di persone.
- La mancanza di percorsi di aggregazione e di scomposizione dei blocchi sociali consolidati. La illusoria valenza che si dà alla azione avanguardista, a volte accompagnata e connessa all'uso episodico della violenza, al di là della valutazione politica, è espressione di una palese ingenuità ben intrecciata con una buona dose di egocentrismo più o meno giovanile e comunque di immaturità. Quanti movimenti, quante manifestazioni, quanti obiettivi si sono spenti nel nulla in seguito al prevalere di piccoli gruppi per i quali l'azione esemplare, spesso violenta, viene assunta come decisiva? Il caso dei cosiddetti Black Bloc, con il loro esibizionismo guerresco, è stato uno degli esempi più micidiali (per i movimenti in lotta).
Al lato opposto, quello istituzionale, è assente qualunque vocazione coraggiosa alla aggregazione di forze simili, alla fiducia nel confronto, che lima differenze superabili e rafforza l'appeal delle proposte, educa alla mediazione costruttiva e disinteressata ( che è l'opposto dei compromessi deteriori e del trasformismo), unisce tutto quello che è possibile unire e crea disgregazione nei fronti opposti. L'aspirazione all'aggregazione è praticamente assente, dal '68 ma ancora tale e quale fino ad oggi (con l'eccezione forse di Alex Langer prematuramente scomparso), in tutti i leader e leaderini, partiti e partitini che dovrebbero rappresentare quell'ampio fronte di forze sociali che richiedono un cambiamento radicale. Esemplare il caso della nascita di SEL, che dichiarando di rifondare una sinistra nuova provocò scissioni in tre partiti ma alla fine la somma fu di averne uno in più. Oppure l'azione nefasta del partitino dei Verdi nella fase calante, che ha in più occasioni fatto muro per impedire la nascita di una più grande e larga aggregazione ecologista moderna. Per non parlare dei partiti del capo che non prevedono leadership plurali al loro interno. Qui l'elenco sarebbe lunghissimo e finisce con Bertinotti e Di Pietro; ed oggi lo stesso Grillo sembra avviato nella stessa trappola mortale.
- La vocazione a vedere la presenza elettorale come unico terreno di gara eludendo l'ipotesi di costruzione parallela di altro potere in basso attraverso forme di società e di comunità alternativa stabile ( esempi virtuosi in passato le case del popolo, il mutuo soccorso, l'autogestione, più di recente le strutture di assistenza popolare dell'Hamas della fase preterroristica, come alcuni tentativi in corso oggi attorno a Syriza in Grecia, e solo pochi episodici tentativi di volontariato mirato nel nostro paese. O viceversa il rifugiarsi nell'isolamento, nei ghetti dei centri sociali o nelle nicchie degli ecovillaggi, eludendo la necessità di coniugare queste esperienze con la presenza istituzionale, se non nella forma dell'elemosina dei contributi dagli enti locali .
Tutto ciò mentre in altri paesi si sono manifestati e si manifestano tentativi dignitosi di coniugare insieme innovazione, progetto, leadership, capacità aggregativa. Ne sono stati esempio i verdi del centro-nord europa per molti anni fino a qualche tempo fa, compresi i primi anni di Europe Ecologie fino all'alleanza fallimentare con Hollande, oggi i tentativi di Syriza, la recentissima esplosione di Podemos in Spagna. Non per nulla, come è avvenuto per il movimento di Grillo, si sta preparando per loro in tutta fretta un articolato fronte di aggressione per ridurne la possibilità di successo.
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