Si possono di certo elencare molti altri vantaggi del nulla e ampliare enormemente la lista a mano a mano che si procede, ma quanto detto è sufficiente per sostenere che esistono senza dubbio valide ragioni per la proliferazione del nulla. Tuttavia, poiché la maggioranza dei consumatori e molti studiosi esaltano le virtù di numerose forme di nulla, è importante passare a un'analisi degli aspetti negativi della sua diffusione. La critica più importante alla diffusione del nulla in tutto il globo è che, poiché tende a invadere inesorabilmente tutti gli angoli e le nicchie occupati dal qualcosa, in molti casi quest'ultimo ha sempre meno spazio. Con l'esplosione di non-luoghi, non-cose, non-persone e non-servizi resta sempre meno posto per luoghi, cose, persone e servizi. Viviamo in un mondo in cui si riduce vieppiù il qualcosa nelle sue tante forme. Si prenda il caso di Ikea.
"I prezzi bassi allontanano la gente dai piccoli negozi di quartiere, i nodi degli scambi della comunità; il volume degli affari attira altri grandi dettaglianti, creando gli enormi scatoloni commerciali”. Più in generale, The Harvard Design School Guide to Shopping descrive l'implosione dello shopping in musei, chiese, scuole, biblioteche e ospedali, concludendo che "in definitiva, non avremo molto altro da fare che le compere”. Ci ritroviamo in un mondo in cui ciò che da tempo immemorabile è stato molto importante e significativo per le persone va scomparendo o si trasforma in tutto o in parte in nulla. Questo impoverimento sopraggiunge, paradossalmente, proprio nel momento in cui il mondo (sviluppato) è inondato da un numero e da una varietà senza precedenti di (non)-luoghi, -cose -persone e -servizi. È uno strano genere di privazione, la perdita nel mezzo di un 'abbondanza monumentale, ma è una definizione calzante di un serio problema odierno nel mondo sviluppato, almeno dal punto di vista di questa analisi. Tale diagnosi di un problema centrale del mondo contemporaneo - la perdita in mezzo a una ricchezza senza precedenti - significa che pur trovandoci circondati da una quantità di (non)-luoghi, -cose, persone e -servizi, siamo però privati del contenuto distintivo che ha sempre caratterizzato luoghi, cose, persone e servizi. Potremmo dire' che moriamo di sete pur essendo circondati dall'acqua.
Questa diagnosi inconsueta dei mali sociali rispecchia il fatto che viviamo in un'era straordinaria. Quindi i giudizi dei teorici sociali classici non paiono più mirati, o perlomeno non toccano il cuore delle realtà contemporanee. Ad esempio, sebbene le idee di Karl Marx sul capitalismo siano forse più attuali che mai, come si è visto nel Capitolo 4, le sue nozioni di alienazione e sfruttamento sono troppo legate al lavoro per avere reale attinenza con il mondo sviluppato contemporaneo, in cui' è sempre più centrale il consumo (ma probabilmente sono più attinenti che mai nel mondo meno sviluppato, in cui si svolge in misura crescente gran parte del lavoro orientato alla produzione analizzato da Marx). Le idee di Émile Durkheim sull'anomia (la percezione di una carenza di norme, non sapere che cosa ci si aspetta che facciamo) paiono singolari in un mondo in cui non solo è alquanto ovvio che ci si aspetta che consumiamo, ma oltremodo chiaro come e quanto si suppone che consumiamo. Questa deprivazione nel mezzo di una ricchezza senza precedenti costituisce certamente una «tragedia della cultura», ma non ha nulla a che fare, come sosteneva George Simmel, con un divario crescente tra cultura oggettiva (prodotti culturali) e soggettiva (capacità di creare quei prodotti). Infine, Max Weber giunse forse più vicino al bersaglio con le sue idee sulla «gabbia di ferro della razionalizzazione» - siamo cioè sempre più circondati e vincolati da strutture razionali (come le burocrazie) - ma le sue teorie non hanno un'attinenza diretta con il consumo, e anche quando vengono estese in tale direzione non ci aiutano molto a capire la perdita e la ricchezza senza precedenti.
La critica del nulla proposta in questa sede è ben illustrata dal film One Hour Photo discusso nel Capitolo 1. Primo, il supermercato raffigurato nel film, Sav-Mart, trabocca di merci, metafora della ricchezza senza precedenti degli Stati Uniti (e di gran parte del mondo sviluppato) odierni. Secondo, Si, l'addetto del laboratorio fotografico, e diversi suoi clienti appaiono deprivati pur trovandosi immersi in quella ricchezza. Terzo, nonostante gli scaffali stipati il Sav-Mart sembra desolato, come sottolinea la scena del sogno in cui Si si trova circondato da scaffali svuotati di tutte le mercanzie (non-cose). Un senso di perdita pervade il supermercato e anche il film, ma non viene chiarito esattamente che cosa si sia perso. Dal punto di vista della nostra analisi, ciò che si è perso lì, e più in generale nel mondo sviluppato, sono le forme concepite e controllate centralmente, dotate di sostanza distintiva, che sono associate a luoghi, cose, persone e servizi.
Passando agli esempi di nulla usati nell'analisi, è chiaro che è possibile associarne molti, se non tutti, all'idea di una perdita. Partiamo dal primo esempio del libro, la carta di credito. Molti problemi sono riconducibili alla facilità con cui la si ottiene. Per alcuni, essa schiude un mondo magico, una cornucopia piena dei piaceri della vita, ma per altri diventa un vuoto da incubo in cui è impossibile districarsi dai debiti, in un mondo caratterizzato da un vortice continuo di consumo, spesso vuoto e inappagante, di beni e servizi inutili e superflui. Molti di coloro che sono invischiati nel mondo delle carte di credito lamentano la sua vacuità e l'impossibilità di trovare un significato in esso (ovviamente, molti altri ne godono). È chiaramente arduo trovare molta sostanza in una lettera (o telefonata) non sollecitata che fa un'offerta sostanzialmente impersonale di una carta di credito con tanto di prestito associato. Di recente, un giornalista ha sottolineato la vacuità del mondo delle carte di credito in generale descrivendo, come metafora, l'aridità del centro dell'industria delle carte di credito negli Stati Uniti (e quindi nel mondo), ovvero Wilmington, Delaware ("Plastic City");
Ho fatto a piedi tutta la strada intorno ai quattro edifici grigiastri collegati tra loro, con tende verdi, della Mbna [Maryland Bank National Association, il più grande emittente di carte di credito del mondo, ndrl, senza vedere nulla e nessuno: ho circumnavigato anche l'edificio della Chase e poi ho percorso vari isolati verso il Christina River, per osservare gli edifici della First Usa [altra banca americana, emittente di carte di credito, ndrl. C'è un sacco di cemento e piazze e strade pedonali vuote ... Quel vuoto mi ha fatto venire voglia di scrivere una canzone sui problemi delle carte di credito ...
C'è qualche indizio che la storia raccontata nel film Fight Clùb sia ambientata a Wilmington. Il protagonista non solo lavora in una società finanziaria come una di quelle citate, ma è immerso in un consumismo finanziato largamente dall'uso della carta di credito. Lo vediamo tra l'altro al telefono mentre ordina mobili economici prodotti in serie dalla catena globale, Ikea. Sia i centri di questa azienda (esempi di non-luogo) sia i suoi prodotti (non-cose) sono, come si è detto più volte, ottimi esempi di ciò che in queste pagine consideriamo nulla. L'acquisto di non-cose in quel non-luogo è reso possibile nel film, e per molti su base regolare, dalla carta di credito. L'"eroe" del film, che conduce un'esistenza monotona e priva di senso, dominata da non-luoghi e non-cose, conosce un cambiamento drammatico quando viene introdotto nel Fight Club, un luogo in cui riesce a trovare almeno parte di ciò che si è perduto in una moderna società consumista. È un luogo
“dove gli uomini si battono con violenza per reagire al torpore che provano vivendo in una cultura vuota, consumista. Verso la fine del film, il narratore apprende che il suo Fight Club è un'allucinazione; e, come metafora e finale tragico, riduce in frantumi i grattacieli di questa pseudo-Wilmington. Non è un brutto film per chi abbia fatto debiti con la carta di credito e accarezzato l'idea di un Armageddon che liberi le persone .”
Il club dedicato ai combattimenti descritto nel film può essere molte cose ma non è vuoto! Ciò che emana dal Fight Club è qualcosa - è concepito e· controllato dagli stessi combattenti e ciascuno scontro ha un contenuto distintivo . L'articolo non è solo una critica della carta di credito (con la cultura e la casa base a essa associate), ma anche del vuoto e della perdita associati ai beni di consumo che il suo autore (come l'eroe di Fight Club) ha acquistato con essa nel corso degli anni:
“Vorrei potervi dire che in quelle migliaia di dollari c'è un viaggio in Italia di tre settimane quando avevo 24 anni, durante il quale mi sono innamorato follemente.
Purtroppo, devo essere sincero: non c'è mai stata un'Italia.
C'è stata una repubblica delle banane, c'è stato Barnes e Noble, nuovi freni Midas per l'auto; c'è stata l'estrazione del dente del giudizio a 24 anni, pagata in parte con la Citibank Mastercard perché l'assicurazione copriva solo la metà della spesa. E poi camere di motel e anche qualche camera di albergo, ma di solito in luoghi come Yuma, Lexington e Shreveport, perché a quanto sembra ero sempre di passaggio. C'è stato qualcosa di Gucci ma molto di più di Gap ... Per ogni buon pasto a spese della mia plastica ci sono, mi spia ce dirlo, molte più spese per quelli che paiono essere takeaway cinesi. Ci sono stati i bicchieri di vino comprati ai bar degli alberghi mentre aspettavo. A volte aspettavo qualcuno in particolare, a volte non aspettavo proprio nulla.) “
Questa critica del vuoto associato alla carta di credito, alla cultura da cui deriva e all'iper-consumismo che tanto contribuisce a sostenere, può essere estesa a tutte le forme di nulla connesse al consumo contemporaneo e discusse nel corso del libro. In effetti, diversi nostri esempi - repubblica delle banane, Barnes e Noble, Midas, (tutte) le camere di motel e (gran parte) degli alberghi, Gucci, take-away cinesi, (gran parte dei) bar degli alberghi - sono presenti nella citazione precedente. Si osserva un'assenza di vari elementi che sarebbero considerati qualcosa in base alla nostra analisi: viaggi in Italia, amore, buoni pasti eccetera.
È facile considerare in termini di vuoto e di perdita il locale fast food. Per gran parte dei clienti è a dir poco arduo trovare un significato in quelle strutture vuote, e meno ancora nelle corsie in cui si consuma il cibo direttamente in automobile, nelle quali il locale preferisce dirottare quanti più clienti possibile. In un certo senso, queste corsie implicano non solo che l'esperienza è priva di significato, ma che si preferisce per giunta che il cliente non si azzardi neppure a entrare nel locale vero e proprio alla ricerca (pressoché vana) di un si· gnificato. Il consumo ripetuto dello stesso cibo, prodotto in una sorta di catena di montaggio, difficilmente conferisce molto al cibo in fatto di sostanza distintiva. Dato che sono così impersonali, abitudinari e perfino prestabiliti, i rapporti con il personale al bancone o allo sportello del drive-through non contengono molto in fatto di sostanza ... Infine, è pressoché impossibile trovare un significato nel servizio, praticamente inesistente. Tutto ciò implica una perdita, soprattutto di ciò che è associato ai bei posti in cui persone che forniscono cose forniscono anche un servizio.
Tratto da:
La Globalizzazione del Nulla, Slow Food Editore