RIFLESSIONI DI UNA BLOGGER SULL'ODIO POLITICO
di Debora Billi
C'è una nuova parola nella vita politica italiana: ODIO. Spuntata all'improvviso qualche sera fa, sembra dominare ormai ogni commento. Se ne discute come se si sapesse di cosa si sta parlando: in fondo, l'odio è un semplice sentimento, e quindi tutti noi siamo autorizzati a considerarci esperti.
Ebbene, non è così. La parola "odio", in politica, ha un significato molto preciso e delle conseguenze imprevedibili. Sapevate che esiste una"scala dell'odio"? Si chiama Scala Allport, e puntigliosamente declina le varie fasi dell'odio (dalle battute ironiche allo sterminio) proprio come fa la scala Mercalli coi terremoti. Nei Paesi anglosassoni l'odio politico e sociale è argomento quotidiano, e come sta accadendo da noi viene usato come temibile accusa verso gli avversari.
L'"odio" viene ovviamente più spesso tirato in ballo quando si tratta di minoranze etniche, razziali, religiose o per discriminazioni sessuali. Ma se ne fa largo uso anche quando appare diretto verso un nemico politico. L'hate speech (possiamo liberamente tradurre con espressioni d'odio) è menzionato di continuo , ed è curioso esaminare cosa si configuri come hate speech.
Se io affermo che "i durlindesi puzzano e sono tutti delinquenti" si tratta di hate speech. Se invece scrivo che "un'immigrazione massiccia dal Durlindan degrada le nostre periferie e aumenta la criminalità" nessuno batte ciglio. Dov'è la differenza? Nel fatto che siamo tutti una massa di ipocriti ecc.? Niente affatto. Semplicemente, il secondo esempio implica un'attenzione razionale per essere compreso ed eventualmente condiviso o meno. Il primo esempio no: ti "arriva di pancia", comunque la pensi. Forse cominciamo a capire dove si va a parare...
Ogni Paese, sia per cultura che per tradizione che per (ahinoi) capacità del governo ha una certa di tolleranza del dissenso prima che venga invocato l'odio sociale. In Francia hanno dato fuoco alle banlieue, in Grecia sono in strada a fare casino da settimane, ma nessuno dei due Paesi ha messo in pratica leggi contro l'odio sociale (ferme restando le ovvie leggi antirazziste). Questo perché la democrazia deve essere in grado di sopportare, con "spalle elastiche", un alto livello di, diciamolo!, violenza politica. Mentre tutti si affannnano a condannare la violenza, occorre affermare allora che sia gesti isolati che rivolte popolari più o meno massicce fanno parte della vita di ogni Paese, e ogni Paese deve saperle gestire nell'ambito democratico. Altrimenti, siamo capaci tutti a sbattere negli stadi chi la pensa diversamente perché "fomenta l'odio".
Tornando a noi, il nostro Paese è stato da sempre molto elastico nei confronti della violenza fisiologica. Quando spararono a Togliatti, nessuno trovò strano che il leader ferito dovesse fare un appello ai suoi elettori dalla stanza d'ospedale perché non riesumassero i fucili e facessero la rivoluzione armata. Nel 1977, quando il capo della CGIL Luciano Lama fu cacciato a sassate dall'Università scoppiò uno scandalo, ma nessuno si sognò di parlare di "odio politico" verso Luciano Lama. Oggi la dose di violenza nella nostra società è molto ma molto più bassa, eppure si parla apertamente di "odio". Perché?
Perché, come dicevamo prima, le affermazioni "Tizio è mafioso" "Caio deve morire ammazzato" sono affermazioni che colpiscono la pancia, e sono capaci di generare violenza in chi ha pochi strumenti per gestire la frustrazione o la rabbia. E malgrado si siano sempre fatte (su Andreotti se ne dicevano di tutti i colori), la capacità di gestire democraticamente l'eventuale violenza, da parte dello Stato, è oggi pressoché nulla. Non so se sia colpa del governo o semplicemente dei tempi che sono cambiati, ma cerchiamo di mettercelo in testa: da molti anni ormai il potere è letteralmente terrorizzato dai moti di piazza. Il primo sospetto mi venne addirittura ai tempi del G8 di Genova, quando Berlusconi andò in diretta nazionale facendosi accompagnare dal Presidente della Repubblica per "calmare gli animi" dopo la morte di Carlo Giuliani. Non si era mai sentito che le due maggiori cariche dello Stato andassero in TV a dare spiegazioni (e a discolparsi...) per la morte di un manifestante.
Da allora, è stato un susseguirsi di veri attacchi di panico ogni volta che quattro gatti hanno fatto un po' di casino in piazza. Intere serate televisive dedicate a dipingere con orrore un quadro apocalittico di odio, ipotesi di leggi speciali che impediscano la libertà di espressione (specialmente quella "di pancia"...), leggi che mettono paletti alla libertà di manifestare. Non si ha la più pallida idea di come gestire, con la briglia lunga e il polso fermo, il dissenso più caldo.
Non so voi, ma io non mi sento per niente tranquilla. Non mi piace un governo che "non ha le palle", in senso democraticamente inteso. Un governo incapace di distinguere tra un terrorista e un ragazzino che inventa un gruppo Facebook che fa battute pesanti, e che nel dubbio e nel panico li tratta allo stesso modo. Da una parte mi sento inutilmente privata dei miei diritti democratici, e dall'altra anche completamente indifesa nell'eventualità di crisi che dovessero creare un vero casino sociale. Chi le gestirà? Gente che criminalizza i ragazzini e gli spiritosi? Sarà questa la gente che dovrà mantenere la calma e controllare la situazione se, per ipotesi, ci dovessimo ritrovare agli assalti ai supermercati come in Argentina?
Il linguaggio "d'odio" è sempre di pancia, ed è meglio che se lo mettano in testa in fretta, anziché terrorizzarsi per l'incolumità del proprio didietro. E subito dopo, che imparino a gestire freddamente e in modo competente le crisi sociali, invece di comportarsi da totali incompetenti dando retta, appunto, alle proprie paure "di pancia".
Tratto da Crisis di Debora Billi
L'odio politico attuale è generato da una certa politica che, pur di criminalizzare l'avversario, ricorre ad epiteti di ogni genere, nonché alla menzogna più bassa, pur di farlo apparire ciò che non è in realtà. Trattasi di un metodo ben orchestrato e ampiamente sperimentato nella ex Unione Sovietica che metteva a tacere gli avversari politi. Sotto il regime staliniano si adottavano finanche metodi di annullamento della personalità internando i malcapitati nei manicomi criminali e nei gulag ricorrendo a tutta una serie di mistificazioni. Oggi si tende ad affermare che le ideologie sono finite; in realtà esistono ancora in modo subdolo, ma evidente, in molte menti malate, con buona pace di pseudo intellettuali e pseudo politologi che fomentano, dall'alto della loro presunta conoscenza, l'odio nella forma più esecrabile...
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