G8 LA VIOLENZA NON E' RIVOLUZIONARIA, LA CREATIVITA' SI
di Massimo Marino
E’ dal 2001, dai fatti di Genova, che va avanti questa storia; li è emerso con chiarezza che una parte almeno di chi gestiva l’ordine pubblico aveva un suo disegno specifico, separato, eversivo, violento. Che partiva dallo sfruttare le contraddizioni presenti in un movimento che diventava sempre più grande per colpire non la sua parte minoritaria ed insignificante, che metteva a fuoco la città (i cosiddetti Black block) ma per coinvolgere il grosso del movimento, attaccarlo, disorientarlo con l’uso massiccio della violenza, isolarlo e ridimensionarlo. Possiamo dire che il gioco eversivo, che in realtà ha numerosi precedenti lontani già dall’immediato dopoguerra, alla fine ha dato sempre i suoi frutti, arrestando l’espansione nella società di movimenti radicali, con obiettivi sacrosanti e condivisibili ma incapaci di superare la trappola del “confronto di piazza “
Il copione sembra già scritto, il film si ripete, i produttori sono sempre gli stessi, i protagonisti diminuiscono, gli spettatori preoccupati aumentano, la pubblicità impazza. Non parliamo di cinema ma di questi inspiegabili incontri fra i potenti con la loro scia di polemiche, scontri di piazza più o meno violenti, contenuti delle proteste sempre più sullo sfondo, problemi pressocchè immodificati.
Il G8 di quest’anno ha già avuto una sua piccola anteprima al G8 dei Rettori delle Università a Torino; gli studenti dell’onda, in particolare quelli di SI, Studenti Indipendenti, che hanno recentemente stravinto le elezioni universitarie ottenendo la maggioranza assoluta in 9 facoltà su 14, organizzano il primo giorno una serie di manifestazioni rigidamente pacifiche (Il cantiere dell’altro sviluppo) precedute dall’organizzazione di un campeggio in città di centinaia di persone ( Turin Sherwood camp) e da momenti interessanti di dibattito su “un altro sviluppo”.
Quelli di SI , in gran parte delle facoltà scientifiche, non scherzano sull’impronta da dare al tutto: camping ecosostenibile senza posate di plastica, riciclo dei rifiuti, toelette biodegradabili senza additivi chimici; le manifestazioni di clowns davanti ai poliziotti sono ironiche, quasi pesanti ma attente a non degenerare; i giornali cittadini sono costretti a parlare della crisi dell’università, degli obiettivi degli studenti, dei contenuti del loro dibattito; quasi una sorpresa, anche se alcune provocazioni di parti delle forze dell’ordine rischiano di far saltare il tutto.
Il secondo giorno, manifestazione internazionale, dunque imprevedibile, di quasi 10.000 persone il quadro cambia; giunti nell’aerea dell’incontro dei Rettori alcune centinaia di manifestanti tentano di rompere il blocco che li separa dall’area del Summit; si avvia la sceneggiatura del film della “linea rossa da superare” ; in qualcuno che gestisce “l’ordine pubblico” non sembra vero avviare il solito rituale di cariche, scontri, arresti, feriti, anche al di là di quanto sia strettamente richiesto per fermare la violazione; naturalmente per giorni si parla e si mostrano gli scontri , con i novelli “block G8” protagonisti dello show:che è ancora una volta riuscito; i manifestanti perdono solidarietà importanti nella città della crisi dell’auto; obiettivi ed argomenti che avrebbero il consenso di gran parte della città si rinsecchiscono, scompaiono, si crea un fronte di diffidenza o almeno di estraneità.
E’ dal 2001, dai fatti di Genova, che va avanti questa storia; li è emerso con chiarezza che una parte almeno di chi gestiva l’ordine pubblico aveva un suo disegno specifico, separato, eversivo, violento. Che partiva dallo sfruttare le contraddizioni presenti in un movimento che diventava sempre più grande per colpire non la sua parte minoritaria ed insignificante, che metteva a fuoco la città (i cosiddetti Black block) ma per coinvolgere il grosso del movimento, attaccarlo, disorientarlo con l’uso massiccio della violenza, isolarlo e ridimensionarlo. Possiamo dire che il gioco eversivo, che in realtà ha numerosi precedenti lontani già dall’immediato dopoguerra, alla fine ha dato sempre i suoi frutti, arrestando l’espansione nella società di movimenti radicali, con obiettivi sacrosanti e condivisibili ma incapaci di superare la trappola del “confronto di piazza “.
Il movimento No global si è fortemente ridimensionato, si è fatto fare a pezzi, è caduto nella trappola; quelle forze eversive che come un tarlo rodono da decenni all’interno dei corpi più delicati dello Stato, rimasti illesi nel periodo dei governi di centro-sinistra hanno addirittura ripreso fiato, trovando un migliore humus culturale nei nuovi governanti di destra.
E’ probabile che, seppure in versione ridotta, rivedremo in parte il film in questi giorni; una sceneggiata che il governo non vede l’ora di poter recitare se non altro per far dimenticare che sui problemi del mondo, come si dice, Berlusconi “non ha neanche l’agenda dei lavori”, che l’Italia più degli altri se nè infischiata degli aiuti promessi per i paesi poveri mentre ha moltiplicato il proprio impegno militare in varie parti del mondo.
Il 9 ed il 10 luglio si preannunciano manifestazioni delle varie estreme sinistre che con varie sfumature di colore arrivano dal rosso al viola; con un contorno di negozi chiusi, cittadini preoccupati, aquilani incazzati. Le prime avvisaglie dicono che il giochino è pronto; pesanti interventi a Roma sugli studenti dell’onda, arresti per i fatti del 18 maggio, insomma si scalda il clima per vedere quanti ci cadono; Berlusconi tocca ferro: nel ’94 al G8 ricevette un avviso di garanzia, quello del 2001 fece parlare il mondo per il macello della scuola Diaz, per questo G8 si dice che il governo italiano non sa ancora bene di che si parlerà e per concludere cosa; mentre l’Italia potrebbe addirittura essere sostituita come ottavo paese dalla Spagna. Cosa di meglio che qualche ora di “confronto” in piazza e di “conquista della linea rossa” per parlare d’altro ?
Se i movimenti politici sulla globalizzazione, sulla povertà, sul climate change, sulla precarietà, riuscissero ad acquisire una linea di totale, rigida, intransigente, radicale, creativa capacità di lotta nonviolenta, rifiutando ed isolando anche la più piccola tentazione di avviare il “confronto” sul terreno violento su cui con insistenza li si vuole portare, si potrebbero fare e dire un sacco di cose: occupare chiese, grattacieli, palazzi del potere, ponti, fiumi, laghi. Si potrebbe inscenare grandi catene umane coinvolgendo decine di migliaia di cittadini; scalare torri, ciminiere, fabbriche di auto o di armi; inscenare feste e balli, istruire dibattiti in contemporanea su tv e radio, usare la musica e l’arte come strumenti di grande comunicazione sociale, si potrebbe infine usare in modo coordinato le potenzialità enormi del web.
La repressione ci sarebbe lo stesso ma rapidamente perderebbe colpi, annegando nel ridicolo e tutti sarebbe costretti a prendere atto che c’è un altro mondo che chiede di diventare possibile.
Gli scalatori di Greenpeace, gli speronatori delle baleniere, i nudisti della Peta animalista, i volontari di Emergency, i rapporti di Amnesty sui paesi incivili del mondo insegnano che c’è un modo più radicale, più incisivo, più rivoluzionario dei sampietrini e dei cassonetti rovesciati e bruciati per aggregare le forze, allargare il consenso, isolare nel loro penoso e ridicolo castello diroccato i potenti e gli indifferenti del mondo.
MASSIMO MARINO
(7 luglio 2009)
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