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ALTRI LUOGHI CON ALTRI OCCHI
VIAGGI E TURISMO CONSAPEVOLE
ALTRI LUOGHI CON ALTRI OCCHI
IL VERO VIAGGIO DI SCOPERTA
Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove terre
ma nell'avere nuovi occhi.

Marcel Proust
Luoghi
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci,
per vedere la sera di sempre
con altro sguardo,
per vedere lo sguardo di sempre
 con diversa sera.
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci. 

Xavier Villaurrutia
(poeta messicano 1903 - 1950)
LA CASA DAL CUORE ANTICO
<B>LA CASA DAL CUORE ANTICO</b>







Mia

Firenze: caos, traffico, rumore, turisti, inquinamento.
Tutto ormai mi disgusta, mi nausea, mi angoscia.
Non respiro.
Soffoco.
Fuggo via, disperata ....

Continua...
IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
<b>IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE </b>





Casadio Farolfi

"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei
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WIWANYAG WACIPI, LA DANZA DEL SOLE


Stefano Fusi 
 
I BIANCHI SE NE ANDRANNO DALL'ISOLA DELLA TARTARUGA

"I bianchi arrivarono nell'isola della Tartaruga per sperimentare un nuovo mondo, diverso dal loro. L'hanno sperimentato, non l'hanno compreso, se ne torneranno da dove sono venuti".

Tony Eaglestaff, il Sioux-Oglala Lakota che ha snocciolato queste affermazioni, ha 33 anni, vive a Rapid City, nel Sud Dakota, ai piedi delle Colline Nere, in una casetta alla Charlie Brown. A 15 anni Tony è andato a lavorare in California, non ci dice con quale impiego. E' tornato nel Sud Dakota e lo zio, Sidney Keith, Naca Cik'ala ("Piccolo Capo") nella lingua Lakota (ma sarà davvero lo zio? il senso che gli indiani danno a questo termine non è strettamente riconducibile al nostro: tra i Lakota il motto preferito è "siamo tutti parenti", "mita kuye oha sin", cosicché è abbastanza difficile discernere tra le complicate genealogie), a sua volta "nipote" adottivo di Alce Nero, il grande sciamano del famoso libro, lo ha preso sotto le sue ali aiutandolo a liberarsi dall'alcolismo, un male purtroppo molto diffuso tra gli indiani d'America. Naca Cik'ala salva Tony facendolo partecipare alla Danza del Sole, una delle sette cerimonie tradizionali Lakota, la più "selvaggia" e potente, da sempre quella che costituisce il sunto della religione e del pensiero Lakota. Proprio dalla Danza del Sole siamo appena di ritorno: non ci è difficile ascoltare le profezie sul ritorno dei bianchi in Europa. Già durante la cerimonia abbiamo messo a tacere i giudizi della ragione, e ci siamo lasciati calamitare dalla magia dei Lakota.


LA DANZA

Quando superiamo l'ultimo dosso, prima del luogo della danza, e vediamo l'accampamento, non riusciamo proprio a mantenere le distanze: sentiamo invece un certo vuoto allo stomaco. Sappiamo già tutto di quello che succederà, abbiamo letto i libri e visto le foto (è vietato scattare fotografie durante la cerimonia, non sono gradite agli spiriti; le uniche esistenti, scattate a solo scopo culturale, sono quelle di un bianco, Tom Mails, che ha aiutato gli indiani per vent'anni). Ma trovarcisi è un'altra cosa.

L'accampamento è di tende di plastica circondate da automobili e furgoni. Niente tepee e pochi cavalli. I Lakota danzano, questo sì, suonando i tamburi. E' in corso il Wiwanyag Wachipi, la Danza del Sole. Nessuno paga, fotografa, o si aggira accaldato in calzoncini come nei soliti pow-wow, i raduni estivi delle tribù, divenuti da tempo intrattenimenti turistici. E' una cerimonia. E' stata pubblicizzata, abbiamo trovato non ricordo dove un volantino: "Danza del Sole Internazionale". Si invita gente a venire, quindi.

Ma qualche forza fa sì che ci sia come un cerchio di rispetto attorno. In questo luogo viene conservata la Sacra Pipa, l'oggetto portato ai Lakota dalla Donna Bisonte Bianca. Alcune collinette fanno arco attorno a un prato. Poco più in là, alcuni boschetti segnalano che vicino scorre il fiume Cheyenne. L'acqua dà un pò di respiro alla terra, fra queste distese ingiallite dal sole. Acqua e terra si incontrano qui, e così gli uomini.


IL CERCHIO, L'INFINITO

Il "cerchio del mistero", la struttura nella quale si svolge la cerimonia, è costituito da pali a U rovesciata, collegati da bastoni, ricoperti da frasche di pioppo come a formare un semplice portico in cui vengono ospitati coloro che non "danzano" pur prendendo parte alla cerimonia.

All'interno del primo cerchio, un secondo, composto di 405 bastoncini colorati di rosso, con una bandierina rossa a portare le offerte di tabacco, una per ciascuno degli spiriti ausiliari che hanno assistito Fools Crow, il capo cerimoniale dei Sioux-Teton, morto nell'inverno 89-90 a Kyle, nella riserva di Pine Ridge, pare a 99 anni; ma la sua vera età resta un mistero, all'epoca della sua vera nascita i Lakota non avevano anagrafe.

La sua danza era già avvenuta, a fine luglio, durante la Luna delle Ciliegie che diventano Nere. Negli ultimi anni veniva tenuta ancora in sua presenza, davanti alla sua casa, ma non era più lui a tenerla. Ci sono tuttavia diversi modi di condurre gli avvenimenti spirituali, non tutti evidenti agli occhi bui di chi non li vede; i suoi assistenti-successori erano, in un certo modo, strumenti. Sidney Keith, che invece la conduce qui, nella riserva di Cheyenne River, è uno dei più rispettati suoi successori effettivi. La conduce ogni anno, da quasi vent'anni.


WAGACHUN, IL PIOPPO

Rizzato al centro del cerchio, c'è il tronco di un pioppo, trovato il giorno prima della cerimonia da una vergine, scelto fra altri come simbolo della vita, tagliato, e coperto da bandiere con i quattro colori sacri, bianco, rosso, giallo, nero, che sono anche i colori delle Quattro Direzioni e delle quattro razze umane. Il pioppo è l'albero sacro, rappresenta il cammino del popolo, dalla terra al cielo. Diventa, durante questi quattro giorni, il centro dell'universo, il ponte che conduce a Wakan Tanka, il Grande Spirito.

Il pioppo è l'albero della gente e delle stelle. Un'anziana Lakota spezza un rametto e mi mostra la stella a cinque punte formata dal midollo. E' la Stella del Mattino, che sta tra le tenebre e la luce, e rappresenta la conoscenza e la presenza del Grande Spirito. La sua forma dimostra che l'albero è nostro fratello, anch'esso viene dalle stelle. Nei tempi antichi, i Lakota chiamavano gli alberi "gli esseri sacri che stanno diritti". Il pioppo ha foglie simili al tipì, da quelle gli indiani hanno imparato a farlo. I bipedi devono seguire l'esempio del pioppo, guardando sempre verso l'alto, verso il cielo.


L'AQUILA E IL BISONTE

Una trentina di Lakota, tra cui una decina di donne, ballano spalla a spalla, su due file separate, con movimenti lenti e ripetitivi, il bacino rigido, le gambe che si alzano e si abbassano appena, i piedi ben piantati sul gran corpo della Madre Terra. Le file sono una davanti all'altra, tutti i danzatori guardano dalla stessa parte. Alcuni tengono in mano delle piume, altri ghirlande di salvia selvatica, la pianta sacra che profuma le pianure.

Gli uomini hanno sottane, a tinte unite e fortissime, lunghe fino ai piedi. Le donne indossano costumi colorati, frange, fasce sulla fronte e fra i capelli. Sia uomini che donne portano capelli lunghi e scuri raccolti con trecce o code. Tutti tengono costantemente in bocca fischietti di osso d'aquila lunghi circa venticinque centimetri, ricavati dalle sottili ossa delle ali. Con questi fischietti si fanno sentire dal divino, di cui l'aquila costituisce una delle manifestazioni più complete, uno dei vertici della creazione, che dall'alto riassume, in una forma e in una funzione, in una sintesi di forza e di bellezza, la presenza dello Spirito nel mondo materiale.

Tutti, compresi quelli che "assistono" sotto le frasche, guardano sempre in alto, in una direzione che è all'incirca a 45 gradi fra il terreno e lo zenith. Il vento diffonde l'odore della salvia che brucia in un piccolo braciere portato sull'estremità di un bastone da un officiante ricoperto di pelle e corna di bisonte. Corpulenti indiani, radunati a crocchio attorno a un grande tamburo, lo percuotono con ritmo ossessivo e uniforme, ripetendo robuste canzoni cerimoniali.

In poche decine di minuti siamo ipnotizzati da suoni, odori, colori, movimenti. Guardo quelli che, sotto le fronde del pioppo, ballano partecipando alla danza dei danzatori "veri", quelli che sono andati a soffrire perché "il popolo viva". Guardo le ragazze Lakota che ballano nel cerchio esterno, e non riesco a incrociare gli occhi di nessuna: guardano tutte verso la cima del pioppo. Guardo i ragazzi, alcuni di loro, lo si vede dalle cicatrici, hanno già partecipato altre volte alla Danza. Hanno lo sguardo lontano. Non riesco ad arrivare, là dove sono loro.

C'è Sidney Keith seduto vicino al tamburo, giacca e jeans, occhiali scuri e capelli bianchi, Stetson in testa e una corte di parenti e nipoti attorno. Ci sono anche dei bianchi. Una è la moglie dell'"intercessore", con i loro tre bambini. Ha molto da fare, ma riesce a tratti a danzare anche lei, sotto le frasche. Ogni tanto il medicine-men si unisce ai cantanti e lo si vede cantare e sorridere. Le nenie, a tratti, esplodono in invocazioni a Wakan-Tanka e a Tunkashila (l'Antenato, altra manifestazione del divino): allora tutti, danzatori e pubblico, alzano le braccia verso il pioppo, quasi tutti con gli occhi chiusi.

I danzatori si muovono in cerchio, spostandosi nelle quattro direzioni, e a spirale, avvicinandosi ripetutamente all'albero, presso cui sostano in preghiera, toccandolo con le piume d'aquila e formando un grappolo umano con alcuni accovacciati e altri sulla punta dei piedi distesi verso l'alto. I danzatori stanno digiunando dall'inizio della danza, e all'alba e alla sera, terminato il ciclo giornaliero del rito, si purificano con la cerimonia della tenda sudatoria, l'Inipi, sorta di sauna spirituale che si svolge dentro una tenda bassa e tonda, in cui vengono messe pietre arroventate su cui si getta acqua.

Nella tenda l'atmosfera diventa presto satura di vapore e si surriscalda, i celebranti cantano, mentre lo Spirito, chiamato dalla pipa caricata di kinnikinnik (la mistura di tabacco preparata con la corteccia interna, essiccata e tritata, del salice rosso mescolata a radici di altre piante), arriva e "tocca" qualcuno di loro.

Dopo l'Inipi, si svolgono quattro diversi cicli di danza di mattina e altrettanti di pomeriggio. Fra un ciclo e l'altro viene fatta passare la pipa, che va fumata solo dopo averla offerta alle quattro direzioni, al cielo, da cui viene l'anima, e alla terra, da cui viene il corpo. La pipa rappresenta la via che porta al cielo, e il fumo è sacro e purifica: tutti, aspirate boccate di fumo, lo soffiano fra le mani e se lo passano sul corpo. Alcuni uomini, a turno, portano la pipa ai danzatori, ponendosigli davanti, con Sidney Keith nel mezzo, sempre danzando. Anch'essi fumano; poi possono fumare i partecipanti.

Mi ritrovo a danzare, ad alzare le braccia e il pensiero, quando gli altri lo fanno. Mi accorgo che inizia il piercing, il rituale culminante nelle trafitture.


IL PIERCING

Dopo gli omaggi ai poteri delle quattro direzioni, i punti cardinali più cielo e terra, alto e basso, un indiano per volta si va a sdraiare sopra una pelle di bisonte di fianco all'albero-palo centrale, da cui pendono - lo si nota ora meglio - lunghe corde, oltre alle stoffe multicolori e ai sacchettini colorati che portano le offerte di carne, la carne dei presenti, donata facendosela tagliare soprattutto dalle spalle ma anche da altre parti del corpo.

Arriva ad affiancarli l'"intercessore", un indiano sui quarant'anni, munito di penna d'aquila (con questa, durante la danza, libera i danzatori dalle cattive influenze: arriva loro dietro mentre danzano e, fischiando forte nell'osso d'aquila, "solleva" quattro volte con la penna, sempre nello stesso identico modo, qualcosa d'invisibile che lui invece squadra con attenzione "vedendolo" sopra la spalla sinistra dei danzatori).

L'"intercessore" si abbassa accanto all'uomo disteso a fianco del tronco del pioppo e, circondato da altri danzatori, afferra due lembi di pelle dal suo petto, nei punti che Sidney Keith aveva cerchiato di rosso, li stringe fra le dita, li buca con un punteruolo e vi introduce un bastoncino facendo sgorgare sangue. Il bastoncino sporge, così, in due punti, restando per una buona metà sotto la pelle. I bastoncini vengono legati alle corde appese all'albero, poi l'uomo viene fatto alzare mentre gli altri continuano a sventolargli attorno penne d'aquila.

Ora l'uomo è pronto e si allontana dal palo, tenuto per mano dall'intercessore. Resta in piedi e danza con la corda ora tesa, ora lasciata molle. S'è allontanato dal centro dell'universo, è ora simbolicamente nel mondo della carne e della materia, i lacci simboleggiano l'ignoranza che ostacola nel cercare di vedere la luce. Ma nello stesso momento, sono il legame con lo Spirito. Il Lakota balla per liberarsi e dopo un pò, anche mezz'ora in alcuni casi, tira la corda arretrando di scatto. Il bastoncino strappa pezzi di carne. Lo spirito si è liberato dall'ignoranza (mi dirà, poi, Sidney Keith: "abbiamo solo il nostro corpo, da offrire").

Gli altri urlano, l'uomo che s'è liberato dai lacci corre tutto attorno al cerchio, accompagnato dall'intercessore, mentre gli altri danzatori guardano da tutt'altra parte. La gente, attorno, urla o tace. Dopo di lui un uomo si fa fissare alle spalle, con lo stesso sistema, quattro teschi di bisonte e compie due giri completi trascinandoseli dietro, arrancando, lentamente, poi partendo di scatto e strappando. Un bambino che avrà dieci anni si fa trafiggere, sapremo poi, perchè la madre è guarita da una grave malattia. Danzano pure i genitori del bambino e anche il padre si fa trafiggere.

Il bambino, magro e dai lineamenti delicati, strappa i bastoncini e piange correndo, viene abbracciato dai danzatori e da Sidney Keith, dalle donne che lo sventagliano con le penne d'aquila e dall'intercessore che gli tampona le ferite con salvia selvatica bloccando il sangue. Le ferite si cicatrizzano presto. Intanto noi sotto le frasche danziamo. Molti invece stanno seduti, per terra o su seggiole da campeggio, e seguono gli eventi con aria che sembra indifferente.

Solo nel pomeriggio del terzo giorno della danza anch'io inizio a guardare dove tutti guardano, in un punto per nulla definito sopra le fronde del pioppo. Lì non c'è nulla se non l'azzurro del cielo. Secondo i Lakota esiste un occhio interiore, "chante ishia", "l'occhio del cuore". Che stiano guardando con quello? L'avrò anch'io?

Vicino al cerchio e al campo delle tende, separato da una piccola pianura erbosa cosparsa di tane di cani della prateria, c'è il fiume. Sulla strada, dalla parte opposta, passano auto lentamente; non direi che i guidatori degnino la danza di un'occhiata. Ogni tanto arriva qualcuno. Arriva anche un'auto della polizia, scivola lenta dalla strada sull'erba, aggira silenziosa l'accampamento, resta lì per qualche minuto, poi s'allontana. A tratti, voltandomi, vedo giovani Lakota a cavallo trotterellare indifferenti. Dietro di noi, danza un'inglesina che ha le mestruazioni e quindi deve stare fuori dal cerchio: la sua "energia" disturberebbe la cerimonia. Vicino a noi, Rainbow, un quechua dell'Ecuador il cui padre è venuto a vivere da molto tempo nel Nord Dakota. Rainbow ha chiesto il permesso a Sidney di poter partecipare al "piercing" l'anno prossimo.

Bisogna compiere il piercing almeno quattro volte nella vita, non importa quando né in quale Danza del Sole. Un giovane si fa appendere al palo, con due bastoncini e due cinghie legate al pioppo; viene tenuto sospeso dagli altri danzatori, che d'improvviso lo lasciano andare. Urla, il sangue e la carne strappata volano. Corre attorno mentre tutti ululano. Sidney sta tergendosi il sudore. Sua moglie si gira per un attimo a guardare l'uomo che termina il suo giro trionfale.

 

NELLE RISERVE

Il piercing era stato vietato negli anni venti. Fools Crow e pochi altri leader spirituali avevano ostinatamente continuato a eseguirlo di nascosto nelle riserve. Solo nel 1952 il piercing fu permesso di nuovo. Da allora viene praticato apertamente, e ha ripreso ad essere la più importante delle cerimonie Lakota, il nucleo centrale della vita dei Lakota.

Il sacro è avvicinato attraverso il movimento ritualizzato del corpo, il canto, il sacrificio, l'esibizione del proprio valore. E sembra che questa ripresa dei rituali abbia coinciso con un certo calo dell'alcolismo, il quale tuttora colpisce un buon terzo della popolazione. La Danza del Sole e il piercing sono stati anch'essi, forse, alla base della ripresa della fierezza tradizionale dei Lakota, popolo che si fregia di non essere mai stato sconfitto in combattimento dagli Usa.

I Lakota non vennero sconfitti in combattimento neppure nel 1973, quando occuparono il villaggio di Wounded Knee e lo tennero per settantun giorni, proclamandosi nazione indipendente. Naturalmente la Guardia Nazionale statunitense prese subito d'assedio quel luogo storico, dove lo struggente simbolo del massacro del 1890 pesava sulle coscienze degli Americani. Non a caso esso venne scelto dai capi radicali dell'American Indian Movement per quest'ultimo, impossibile atto di ribellione, che portò loro solidarietà internazionale e fece riesplodere la questione indiana.

Anche nel 1973 Wounded Knee significò lutti e arresti: almeno 70 uccisioni di militanti dell'AIM, circa trecento aggressioni dal 1973 al 1976, uno stato di assedio permanente, processi falsati, un Lakota, Leonard Peltier, arrestato nel 1975 e in carcere da allora con due ergastoli per imputazioni rivelatesi precostituite dall'FBI. Questi avvenimenti andarono a peggiorare la già precaria convivenza fra bianchi e pellirosse.

Oggi sotto l'apparente rassegnazione cova la rabbia. E, liberato Mandela, liberato Sakharov, tolte le dittature sudamericane, resta Peltier, nel mondo dominato dai bianchi, a simboleggiare la lotta per la libertà, per di più nel paese che pretende di esportare anche con la forza la democrazia e i diritti umani. Anche in questo caso, gli indiani sono gli ultimi. Peltier potrà mai raggiungere la notorietà di Mandela, ed essere liberato? Per ora, sembra avviato a raggiungere il record di permanenza in carcere del nero di Azania-Sudafrica.


LE DUE WOUNDED KNEE

I Lakota nel 1973 occuparono Wounded Knee per protestare contro Dick Wilson, capo del governo tribale, accusato di corruzione e di disinteresse verso i bisogni della tribù. Anche nel 1973, come in molte occasioni, fu Fools Crow a imporre la propria autorità e a mediare tra le parti, su richiesta del Governo degli Stati Uniti.

Wounded Knee è una riserva gialla e verde dove solo una piccola serie di alture coperte di pini ("Pine Ridge", appunto, La Cresta dei Pini) taglia un poco l'orizzonte piatto. La nudità del paesaggio emana un fascino particolare. Nel centro dell'avvallamento di Wounded Knee, un cartello storico del massacro; poco più in alto, la fossa comune ricoperta da un cimitero nuovo su cui incombe una chiesa cattolica. Si avvicinano indiani sbucati da chissà dove che chiedono soldi per il dentista e per la famiglia, magari in cambio di orecchini di perline. Poi scompaiono. Più avanti, dietro un angolo, compare il villaggio. Casette unifamiliari in puro stile yankee, ma decrepite, sembrano abbandonate.

In cuor loro, i Lakota non si sono ancora rassegnati alla perdiata del nomadismo. Non amano la casa. Non ci sono visitatori. Ma noi cerchiamo una donna, ci manda da lei una nostra amica, già stata da lei. Ha quattro figli, sono disoccupati. Il marito, probabilmente, è alcolizzato. Prendiamo un pò di bigiotteria, altre donne ci invitano a vedere il loro artigianato. Le case, nell'interno, sono disordinatissime, i muri scrostati, i mobili rotti. Tutti i televisori sono accesi, si vedono partite di baseball, serial, pubblicità. Il Terzo Mondo, nella più ricca e potente Nazione del mondo, fa ancora più male.


LA GUARIGIONE

Alla Danza del Sole invece non si beve. La gente piange, durante la cerimonia e alla fine della danza, e alcuni vanno in trance, soprattutto quando si toccano, scambiandosi quelle strane energie che tutti i popoli "differenti" sembrano riuscire a sentire e far circolare. A un certo punto, infatti, tutti i danzatori passano davanti a tutti i partecipanti, sempre danzando, e a uno a uno gli "passano" la forza che hanno ricevuto dalla danza. E' la cerimonia della guarigione.

A ognuno sventagliano con la piuma d'aquila sul corpo, nei punti vitali, dove fischiano anche con le ossa d'aquila. Ci si trova davanti alle loro ferite aperte o appena rimarginate. Ai loro occhi, che guardano ancora verso l'alto. Questo rituale va avanti per mezzora almeno, estenuante e carico, intenso. Alcune donne piangono, toccate dalle piume d'aquila.

Solo l'ultimo giorno, quando in dieci ballano appesi ai ganci, e c'è il parossismo, forse sento un barlume di quello che loro chiamano "il tocco dello spirito": una trance sorprendentemente dolce, sospesa, straordinariamente tranquilla. Alla fine della danza, un corteo raccoglie tutti dietro una donna che piange. I tamburi rallentano il ritmo. Qualche giro attorno al cerchio, nel silenzio. Sembra tutto finito. Ma esce dai ranghi un anziano Lakota e tiene un lunghissimo discorso.

E' il più vecchio fra i presenti, sembrerebbe. Parla almeno per mezzora, in piedi, in lingua Lakota. Riusciamo a captare solo poche parole, Meta kuye Oya shin, siamo tutti parenti, Wakan Tanka, Tunkashila. Per la prima volta durante tutta la Danza, tutti sono attenti e seguono le parole con estrema partecipazione, non c'è il solito andirivieni. Nessun commento, alla fine. Solo un rullo di tamburo che tutti i suonatori battono all'unisono, con un "Hey!" sommesso. Di nuovo, sembra tutto finito, passa una decina di minuti.

Ma c'è un'altra sorpresa. La Danza della Pentola. Un Lakota incredibilmente grasso, vestito da uccello (un tacchino), colorato in viso di indaco, danza da solo, mentre un giovane resta fermo vicino a una pentola. Il Tacchino infine prende dalla pentola qualcosa, e la mostra a Sidney. Non vedo bene, è lontano. Non mi sono mai mosso, per tutta la durata della danza, dal mio posto. Saprò poi che era la testa di un cane. Ultimo avvenimento, il give away, il dare: le famiglie dei danzatori regalano a tutti qualcosa. A noi arrivano tovagliette e fazzoletti, arnesi da cucina. Quindi alcuni fra i presenti cominciano a offrire soldi, a Sidney Keith.

Ogni volta, Sidney dice al microfono chi li ha offerti e per cosa. Per la danza del prossimo anno. Per il viaggio dei suonatori, che vengono da molto lontano. Questi fanno rullare di nuovo i tamburi, sorridenti e improvvisamente ilari, e passano tutti insieme a stringere la mano di chi ha offerto. Ora è tutto finito davvero. Sono le tre del pomeriggio. Mangiamo insieme, la famiglia di Sidney offre. Lunga coda davanti a un pentolone, poi si mangia con piatti di carta su panche.

Il fiume è là in fondo, i cani della prateria spuntano dalle loro tane, sporgendo appena la testa. Ci sono nuvole sopra la prateria. Il pioppo resta lì in mezzo. I Lakota hanno combattuto ancora.
 

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E' fatto divieto di pubblicazione sia totale che parziale in altra sede senza una ns. specifica autorizzazione. I trasgressori saranno perseguiti a norma di legge.



Grazie per il racconto,conciso ma assolutamente completo nei fatti che anche io ho vissuto,le emozioni ce le porteremo per sempre nel Anima e nel petto.Una voce al Popolo Lakota.....e a chi parla la stessa lingua,quella del Cuore.

Daniele

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