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IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
Casadio Farolfi
"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei Continua... |
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I DIRITTI NEGATI NEI PARADISI TURISTICI
Tra il turismo dei monumenti e il turismo dell'incontro umano c'è una gamma di sfumature, dove si colloca anche il quesito se sia opportuno fare turismo in quei paesi che violano sistematicamente i diritti dell'uomo. Per alcuni si tratta di una questione etica, per altri di filosofia del viaggio, per altri ancora forse è un quesito inutile.
Posto che il turismo stesso è ormai divenuto un nuovo diritto dell'uomo, come comportarsi da turisti dove i diritti dell'uomo vengono negati?
Il problema delle "vacanze sotto dittatura", diciamo così, a rischio di banalizzare, uscì già alla Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile di Lanzarote (Isole Canarie, 1995), ma tale era la sua portata che dopo qualche imbarazzo venne accantonato, forse per il timore di sollevare un vespaio.
La mia impressione è che sinora Amnesty International abbia sottovalutato l'importanza del turismo come fattore potenzialmente influente sulle scelte dei governi responsabili delle violazioni. Un conto, infatti, è leggere sui giornali notizie di un grave sopruso avvenuto a migliaia di chilometri di distanza dal proprio divano. Altro è testimoniarlo, seppur occasionalmente, nel corso di una vacanza: l'indignazione e la protesta di chi ha visto sono cento volte più forti. Comprensibilmente, non tutti hanno vocazione al patrocinio di cause sociali, in ferie. Soprattutto coloro che decidono di isolarsi in asettici divertimentifici impermeabili alle realtà locali, così come ho visto fare in un villaggio turistico di Haiti, dove si festeggiava mentre fuori la gente veniva trucidata a colpi di machete. Ma non è detto neppure che il turista medio abbia la vocazione a nascondere la testa sotto la sabbia, come si dice facciano gli struzzi. Anche la gamma di sensibilità delle coscienze individuali è molto ampia.
Nel 1997 presso il centro Donnalavorodonna di Milano partì un progetto di formazione multiregionale intitolato "valorizzazione e conservazione del patrimonio ambientale e culturale attraverso attività turistiche".
In quell'occasione tenni un seminario su etica e turismo e assegnai ad alcune corsiste una tesina intitolata: "E' sostenibile il turismo nei Paesi che negano i diritti umani?". Superato lo shock iniziale (ammetto l'intento provocatorio, in senso buono) quattro ragazze svolsero il tema giungendo praticamente alle stesse conclusioni, piuttosto articolate e non dogmatiche. E cioè: il turismo in certi Paesi è insostenibile se va a rimpinguare le casse di una dispotica oligarchia istituzionale, senza o con scarso beneficio per le comunità locali. E' sostenibile, invece, se consente di entrare in contatto con le persone colpite dall'ingiustizia sociale, amplificandone le istanze, sia in loco sia da casa, una volta rientrati. In altri termini, la condizione dell'accettabilità del turismo in tali contesti sarebbe la partecipazione critica, con la conseguente pubblica denuncia degli abusi.
Il 7 maggio 2000 al Palazzo delle Stelline di Milano in un convegno intitolato "La coscienza degli struzzi", organizzato nell'ambito dei Viaggi di Outis, ho cercato di fare il punto sulle possibili declinazioni del binomio turismo e diritti umani, interpellando Rossana Bonadei, direttrice del corso di perfezionamento in "Mediazione culturale e gestione del Turismo" dell'Università di Bergamo, l'inviato del Corriere della Sera Maurizio Chierici, don Carlo Mazza della Pastorale del Turismo e Alfredo Somoza, presidente della Associazione italiana turismo responsabile. Il dibattito ora prosegue idealmente l'8 giugno sera, a Nervesa di Treviso, nel corso della "Festa intorno al mondo" organizzata dalla Cooperativa sociale "Viaggi&Miraggi".
In definitiva: andare? Non andare? Andare e protestare?
La campagna lanciata nel 1999 dall'Associazione italiana turismo responsabile per il boicottaggio del turismo in Myanmar (ex Birmania) è stata un'iniziativa innovativa, nel suo genere prima in Europa. E' ormai noto alla comunità internazionale che il governo dittatoriale birmano viola sistematicamente i diritti dell'uomo, e che i proventi del turismo internazionale finiscono nelle tasche dei sanguinari militari golpisti.
Su sollecitazione degli stessi birmani e in primo luogo del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi (costretta agli arresti domiciliari) Aitr ha esortato a boicottare il turismo in questo paese. Nonostante alcune perplessità iniziali, sorte anche in seno all'associazione, nel maggio del 2000 questa campagna è uscita autorevolmente rinforzata da una risoluzione del Parlamento Europeo. Con una risoluzione approvata il 18 maggio 2000, il Parlamento Europeo ha infatti deliberato affinché vengano bloccati gli investimenti delle imprese dell'Unione Europea e il flusso turistico con destinazione la Birmania. Le autorità di Rangoon vengono formalmente accusate di violazione dei diritti umani, di intimidazione dei dirigenti dell'opposizione e del reclutamento di bambini soldati. "Molte delle nuove strutture turistiche", si legge nel documento che sconsiglia i cittadini dei governi Ue di recarsi in Myanmar come turisti , "sono state create utilizzando il lavoro forzato".
Esiste dunque una terza via: quella dell'astensione attiva.
La questione del boicottaggio di una destinazione turistica, come forma di pressione per la sua democratizzazione, è complessa e controversa. Nel caso del Sudafrica pre-apartheid diede qualche risultato, ma l'embargo turistico non fu globale. Se Mizgin Sen del Kurdistan Information Centre di Londra scoraggia in particolare le donne a fare turismo in Turchia, dove a tutt'oggi i Curdi vengono discriminati e perseguitati in maniera intollerabile, Sue Wheat di Tourism Concern dubita dell'efficacia del boicottaggio e obietta: "E' più produttivo incoraggiare il dialogo tra il viaggiatore e le comunità locali, con la speranza di usare tale contatto come leva". Va da sé, a meno che i turisti non lascino a casa la coscienza. O siano interessati soltanto ai pesci colorati dei fondali. Ciò non toglie che Tourism Concern abbia recentemente esortato al boicottaggio delle famose guide Lonely Planet, finché quella dedicata alla Birmania non sarà ritirata.
Certo, se per decidere in quale paese andare in vacanza il turista dovesse basarsi sull'ultimo rapporto di Amnesty International, avrebbe difficoltà a trovare una destinazione al contempo paradisiaca e "politicamente corretta". Consapevolezza, questa sembra essere ancora una volta la parola chiave per viaggiare senza arrecare danni, né a sé né agli altri. Quella consapevolezza che manca ai turisti tutto compreso/niente capito. Dopodiché, ciascuno faccia le proprie vacanze come crede, e decida se alzare o meno la testa dalla sabbia.
Coccolati ostaggi degli enti e degli operatori turistici, delle compagnie di volo e delle catene alberghiere, fino a ieri noi pellegrini laici con gli occhiali rosa, nomadi del benessere e dello svago, potevamo ignorare la tortura e la miseria endemica dilaganti dietro i bungalow tropicali. Oggi almeno se ne discute, ed è già un successo.
Fonte: Studi per la Pace
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