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IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
Casadio Farolfi
"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei Continua... |
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IL PRIMO VIAGGIO DI CRISTOFORO COLOMBO
di William Least Heat-Moon
Una calma ingannevole precedette l'alba di quel venerdi, 3 agosto, con l'acqua del Rio Tinto che riposava quieta come l'aria, senza far presagire che il mondo di li a poco sarebbe stato riplasmato in profondità, ampiamente, con forza e talvolta con violenza. Ogni inizio ha migliaia di inizi che ne hanno altre migliaia ciascuno, sicché ogni principio porta con sé innumerevoli antecedenti. Posto che è sempre miope dire di qualsiasi cosa: «Tutto ebbe inizio in quel dato momento e in quel dato luogo», possiamo miopemente affermare che la trasformazione dell'America a opera dell'Europa e la trasformazione dell'Europa a opera dell'America ebbe inizio su un pigro e anonimo fiume spagnolo nei pressi dell'altrettanto anonima città di Palos, vicino al confine portoghese. Il re del Portogallo, cioè della principale potenza navale dell'epoca, aveva rifiutato di finanziare una spedizione esattamente come quella che si accingevano a intraprendere le tre imbarcazioni pronte a salpare con la marea, mezz'ora prima dell'alba estiva.
Cristoforo Colombo, il comandante della piccola flotta, ricevette la comunione in una cappella vicina prima di salire a bordo della nave ammiraglia e, «in Nomine Domini Nostri Jesu Christi», impartire l'ordine di levare le ancore dei tre vascelli di legno, piuttosto piccoli anche in base agli standard del 1492. I marinai si chinarono sui lunghi remi e frustarono la superficie levigata del fiume, magari intonando un canto adatto all'impresa, facendo muovere le navi cariche di provviste sufficienti a molti mesi di traversata. Novanta uomini cominciarono cosí un lungo viaggio su acque inesplorate verso una terra mai vista ma in qualche modo immaginata, tra i gemiti del legno e il cigolio dei remi, sotto le vele flosce, nella speranza di trovare una rotta mai sperimentata per raggiungere 1'Asia, culla di una civiltà piu antica di quella europea. I marinai non sapevano che le coste su cui sarebbero approdati appartenevano in realtà a quello che ben presto sarebbe stato ribattezzato il «Nuovo Mondo», un continente abitato da popoli i cui antenati erano giunti li da almeno venticinque mila anni. Inoltre, fatto ancora piu importante, i marinai erano l'esigua avanguardia di un movimento di uomini che non solo avrebbe schiuso agli Europei nuovi territori ma che avrebbe altresi inaugurato una nuova era, un'era che si sarebbe lentamente, e talvolta catastroficamente, diffusa in tutto il mondo. Quei pochi marinai, inconsapevolmente ma con motivazioni altamente materialistiche, avrebbero dato origine a concezioni della civiltà del tutto nuove. Manovrando i remi, quegli abili marinai non si rendevano certamente conto del fatto che cosí stavano spingendo se stessi e tutti coloro che sarebbero venuti dopo verso un'epoca nuova che avrebbe dato un nuovo significato al concetto di umanità.
Quando la Santa Maria, la Pinta e la Niña superarono i banchi di sabbia che proteggevano il fiume dall'Atlantico, un centinaio di miglia a ovest dello Stretto di Gibilterra, erano le otto del mattino. Il vento che proveniva dal mare gonfiò le vele pendenti e costrinse la flotta a puntare a sud finché, dopo il calar del sole, il comandante ordinò di far rotta verso le Isole Canarie. Gli uomini poterono vedere la linea del litorale per tutto il primo giorno di navigazione, ma quando si svegliarono l'indomani la terra era ormai scomparsa.
[...] Cionondimeno, sapendo che i suoi uomini avevano paura di superare il punto di non ritorno e di essere condannati alla morte in mare, Colombo, con prudenza e saggezza, annotava ogni giorno due diversi dati riguardanti la distanza coperta dalle navi quotidianamente: uno «reale», o presunto tale in base ai suoi calcoli, e uno per difetto a beneficio dell'equipaggio. La stima minore serviva inoltre a non alimentare troppe aspettative e a far si che gli uomini sopportassero piú facilmente le lunghe giornate trascorse in mare senza segni dell'avvicinarsi dell'approdo. Qualcuno di loro aveva sentito di sicuro che per raggiungere l'India navigando verso ovest e ritornare in Spagna era necessaria una flotta capace di resistere in mare per tre anni; dunque, giacché appariva improbabile incappare in terre ignote fra l'Europa e l'Asia dove approvvigionarsi, chi si fosse imbarcato in un viaggio del genere, si diceva, sarebbe morto senz'altro. Colombo, almeno come esploratore, era fortunato: anche gli errori di geografia gli furono spesso utili. Il suo successo fu il frutto di molte cose: un'incredibile determinazione, un grande coraggio, notevoli doti di navigatore e di leader. Ma piú importante di tutte fu la sua capacità di convincere Ferdinando e Isabella, quest'ultima in special modo, della possibilità che le sue tesi fossero corrette. Se il continente americano non si fosse trovato li in mezzo, Colombo e i suoi uomini sarebbero quasi certamente morti prima di raggiungere il Giappone, cinque volte piú lontano dalla Spagna di quanto prevedessero i calcoli del genovese. Una delle annotazioni piú significative fra quelle rintracciabili sui libri appartenuti a Colombo è un passo del filosofo e letterato romano, nato in Spagna, Lucio Anneo Seneca: «Verrà un'epoca in cui l'Oceano scioglierà le catene dell'universo, e apparirà un'immensa terra, e Tifi rivelerà nuovi mondi, né piú esisterà sul globo terrestre un'ultima Tule! [Islanda]». Ecco un altro errore che incoraggiò Colombo: Tifi è il pilota della leggendaria Argo, la nave di Giasone; ma il nome citato da Seneca era in realtà quello di Teti, una ninfa del mare. Per somma ironia, la versione della profezia trascritta da Colombo in maniera errata, volontariamente o no, è assai piú attinente all'esito reale del suo viaggio che non a quello che lui s'immaginava.
[...] La notte avanzava, le vele si tendevano spettrali sotto la luna, le prue tagliavano i neri marosi, i marinai stanchi cedevano con riluttanza al sonno. Quelli che si addormentarono, si sarebbero svegliati al cospetto non solo del Nuovo Mondo delle Americhe ma anche di un Nuovo Mondo di concetti e oggetti, politiche e possibilità, geni e genocidi. Neppure il comandante, l'uomo dall'immaginazione e dalla comprensione piú ampia fra quelli a bordo delle tre navi, il futuro Ammiraglio del Mare Oceano, avrebbe mai capito bene a che cosa avevano dato vita quelle prue di legno. [...]
Venerdi 12 ottobre, alle due del mattino, Juan Rodriguez Bermejo, a bordo della Pinta, urlò ai compagni: «Tierra! Tierra!» Davanti a loro, fiocamente illuminata dalla luna, sorgeva una scarpata biancastra sopra la linea di una costa scura. In base alle supposizioni di Colombo, doveva essere un pezzo d'Asia, forse un'isola dalle parti del Giappone. Dunque avevano avuto ragione, lui e pochi altri: la distanza fra l'Europa e l'Estremo Oriente non era poi cosí grande! La sua flotta aveva attraversato il Mare Oceano in soli trentatre giorni di navigazione e senza particolari difficoltà (i fondatori inglesi di Jamestown, in Virginia, avrebbero viaggiato in mare per quattro mesi e mezzo nel 1607). La traversata era stata molto piú agevole che ardua, tranne che per le incertezze degli equipaggi.
Una cosa è certa: grazie a Colombo duemila anni di teorie geografiche sull'Atlantico, per lo piú sbagliate e puramente immaginarie, venivano archiviate come leggende. In poco piú di un mese, tre piccole imbarcazioni di legno con lo scafo a forma di noce americana avevano ridisegnato la mappa del pianeta azzurro. I marinai erano senz'altro in procinto di scoprire ricchezze favolose. Fin qui, la soddisfazione del comandante era pienamente motivata. Tuttavia, se egli avesse saputo dove si trovava veramente, la sua delusione sarebbe stata profonda. Colombo non voleva scoprire una coppia di continenti gemelli grandi come l'Asia, lui voleva tracciare una nuova rotta marittima per raggiungere le ricchezze dell'Oriente, voleva gli onori e il denaro connessi a quel preciso risultato. Inoltre, voleva conquistare al cristianesimo le anime degli abitanti di terre sconosciute all'Europa.
Martín Alonso Pinzón verificò l'avvistamento e ordinò di fare fuoco con un cannone per comunicare la notizia alle navi sorelle; poi i suoi uomini ridussero le vele per permettere alla Niña e alla Santa Maria di raggiungere la Pinta. Quando le navi furono affiancate, Colombo gridò: «"Señor Martin Alonso, avete trovato terra!", e Pinzón rispose: "Signore, la mia ricompensa non è perduta!"; e Colombo replicò: "Vi do cinquemila maravedi, come regalo!"». Il comandante, che evidentemente aveva già deciso di arrogarsi il diritto alla rendita annua (e al giubbone) per l'avvistamento del misterioso lumbre, offri al capitano un premio di consolazione che dovette sembrare a quest'ultimo tutt'altro che soddisfacente. Il marinaio Bermejo (noto anche come Rodrigo de Triana), il primo europeo ad avvistare davvero la costa del Nuovo Mondo cinque secoli dopo i vichinghi, a quanto pare non ricevette nulla.
Dove si trovava precisamente quel tratto di costa, quell'isoletta chiamata Guanahani dai suoi abitanti e ribattezzata San Salvador da Colombo? Gli storici concordano nel situare San Salvador fra le Bahamas o fra le Caicos, a sud del medesimo arcipelago, dove in tutto ci sono piu di settecento isole, isolotti e affioramenti. Negli ultimi centocinquant'anni, studiosi e marinai hanno indicato nove posti diversi, alcuni troppo distanti fra loro per essere credibili. Gli storici piu accreditati citano una di queste due isole, distanti sessanta miglia l'una dall'altra: Watling e Samana Cay. Nel 1926, gli Inglesi cambiarono il nome di Watling in San Salvador sperando di porre fine alla disputa, ma studi recenti avvalorano fortemente la candidatura di Samana Cay.
Le navi spagnole andarono avanti e indietro lungo il litorale finché il mattino non rivelò un ancoraggio sicuro, da cui alcuni uomini armati sarebbero scesi a terra sulle lance.
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