GIAPPONE: SULL'ORLO DELL'ABISSO
di Tiziano Terzani
Nella casa di un amico ai piedi del monte Fuji, la notte mi sveglia uno strano, monotono parlare. Esce da una stufetta: «Venerato proprietario, mi manca il kerosene. La prego di riempirini... La prego di riempirini...»
Il Giappone è il Paese delle statistiche e le statistiche - si sa - mentono spudoratamente con la loro matematica esattezza. È vero che il Giappone ha statisticamente più macchinette pro capite di ogni altro Paese al mondo (la popolazione di macchinette automatiche, nelle quali ogni giapponese introduce in media tre milioni di lire all'anno, è attualmente di 5.139.000), eppure presto si scopre che questo non è affatto il Paese meccanizzato e ultramoderno che ci s'era immaginati.
Molte macchine non sono altro che gadgets intesi a rendere più accettabili le modeste condizioni in cui vive il giapponese medio. La maggioranza degli appartamenti non ha il riscaldamento centrale e questa è forse la ragione per cui i giapponesi sono così orgogliosi di far vedere che il sedile del loro gabinetto si riscalda piacevolmente non appena ci si siede sopra. Una magra consolazione nel freddo generale!
Le prime persone vive e vegete alle quali ci si rivolge a Tokyo sono i poliziotti. In questa straripante città che nessuno sa bene dove comincia e dove finisce, i suoi 12 milioni di abitanti si orientano male, specie perché, come in un villaggio, qui non ci sono strade con nomi, ma solo parcelle di terra con numeri; qui non ci sono monumenti - l'unico di tutta la città è quello a un cane per la sua fedeltà - per cui il normale punto di riferimento di ognuno è il co-ban, la cabina della polizia. Ce n'è una davanti a ogni stazione della metropolitana, a ogni incrocio di due strade importanti, in ogni quartiere. Dinanzi a ogni co-ban si formano in continuazione delle piccole code di gente che aspetta il proprio turno per chiedere un'informazione, di solito sull'indirizzo a cui deve recarsi.
«Il signor Tanaka l'aspetta a cena?» domanda il poliziotto. «Attenda un attimo, per favore.» Guarda prima l'indirizzo, poi il suo schedario e prende il telefono. «Signor Tanaka? Il suo ospite straniero è qui al co-ban. Venga a prenderlo per favore.» Io, il numero di telefono del signor Tanaka certo non glielo avevo dato!
Statisticamente parlando i giapponesi sono oggi uno dei popoli più ricchi del mondo: il reddito annuale medio è sui 10.000 dollari USA per persona. Eppure i giapponesi che incontro durante le mie passeggiate mattutine mi paiono tutt'altro che ricchi. I loro appartamenti non saranno «stalle da conigli», come sono stati descritti in un rapporto della Comunità europea, ma certo non destano alcuna invidia. Persino le case degli alti funzionari del governo e dell'industria sono così minuscole e fragili che pochi operai europei accetterebbero di viverci.
È vero, sì, che la maggior parte delle famiglie ha una lavatrice, ma è anche vero che la maggior parte della gente non ha il posto per metterla: le lavatrici qui stanno sotto cuffie di nyion davanti alla porta di casa. È vero, sì, che la maggioranza dei giapponesi possiede uno o più televisori, un videoregistratore e un sistema stereofonico, ma è altrettanto vero che il 66 per cento delle comunità giapponesi non ha ancora normali cloache. Molti giapponesi continuano a lavarsi nei bagni pubblici. E chi è fortunato da avere il bagno in casa fa ben attenzione a coprire l'acqua della vasca con un apposito coperchio di plastica perché rimanga calda e tutti i membri della famiglia possano lavarcisi l'uno dopo l'altro. È vero che i giapponesi si vantano di saper giocare a golf, ma molti fanno semplicemente roteare la loro mazza davanti alla porta di casa, sopra un tappetino verde di erba di plastica, colpendo una palla inunaginaria.
Chiaramente si vorrebbe imparare la lingua per avere accesso alla mentalità della gente. Il primo incontro col mio maestro è andato così: «Conosce qualche proverbio giapponese?» mi chiede. «No.» «Allora incominci a imparare questo: 'Se tira vento i fabbricanti di tini di legno diventano ricchi'.» «E perché?» «Semplice», dice lui. «Il vento solleva la polvere, la polvere acceca, i ciechi per guadagnarsi da vivere suonano strumenti a corda, le corde sono fatte di budella dei gatti, quanti più gatti vengono ammazzati tanti più topi scorrazzano per la città, i topi fanno buchi nei tini di legno, più tini di legno devono essere rifatti più i loro fabbricanti diventano ricchi. Logico, non le pare? Questa è anche la logica della lingua giapponese.»
Viaggiando nella metropolitana di Tokyo s'imparano le prime semplici lezioni sulla giapponesità. I treni sono puntuali, i controllori e capistazione sono efficienti e precisi. Con la mano inguantata di bianco e i gesti da robot, salutano le luci gialle dei treni in arrivo e si accomiatano da quelle rosse che scompaiono nel buio di una galleria. Le uniformi predominano nella massa umana. Gli scolaretti sembrano tutti piccoli ammiragli Yamamoto o cadetti di un'accademia militare prussiana. Le bambine sembrano tutte delle crocerossine.
da: In Asia
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